Milano | Porta Genova – La casa del Mago, la basilica e la chimica nazionale

Chi di voi sa che una tra le chiese più antiche di Milano, San Vincenzo, era stata chiamata la Casa del Mago durante tutto l’Ottocento?

La Basilica si trova in un piccolo fazzoletto di verde al centro di un ben compatto quartiere a Porta Genova. L’origine è antichissima: fu infatti costruita sul luogo di un tempio romano eretto sulla via per Vigevano e forse dedicato a Giove o di un oratorio che si trovava al centro di una necropoli romana, di cui alcuni reperti sono murati sul fianco sinistro esterno della chiesa. La zona apparteneva al vescovo Odelperto ed era denominata Prata, da qui l’appellativo di San Vincenzo in Prato. La chiesa conserva l’aspetto paleocristiano del primo tipo canonico, simbolo della semplicità che caratterizzava le prime chiese milanesi, compresa la Basilica Vetus (al posto dell’odierno Duomo) e molto simile allo stile di Ravenna.

Fondata dal re longobardo Desiderio, fuori le mura nell’anno 770, dedicandola alla Vergine in origine, pare, si trattasse di un oratorio o una cappella rotonda.

Alla “nuova” chiesa venne aggiunto un monastero benedettino nel 806. Dopo il ritrovamento, avvenuto nel 859, dei resti di San Vincenzo in una cripta nel cimitero nelle vicinanze della basilica, la chiesa cambiò denominazione e probabilmente venne anche ingrandita come la vediamo tutt’oggi. L’edificio venne restaurato e riedificato tra il IX e XI secolo perché oramai cadente, mantenendo però le antiche forme. Nel 1386 l’abate Beno dei Petroni di Bernareggio fece riparare e decorare la chiesa. Nel 1464 gli Zavattari lavorarono alle decorazioni dell’abside (per intenderci gli stessi che decorarono la Cappella di Teodolinda nel Duomo di Monza).

Nuovo stravolgimento per l’antica basilica avvenne nel 1520 quando il monastero venne soppresso e la struttura in seguito restaurata e adibita a parrocchia venne dotata di un campanile barocco (fino ad allora mancante). Nel 1729 la chiesa fu restaurata e imbiancata nuovamente, e vennero collocati all’interno dipinti di Giuseppe Ripamonti e Pietro Maggi. Momento più drastico della sua esistenza fu quando nel 1789, in seguito alle leggi napoleoniche, fu sconsacrata (come avvenne per molte altre chiese) per essere adibita a magazzino militare, stalla e caserma.

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Ed eccoci arrivati al momento in cui la basilica venne soprannominata Casa del Mago.

Nella Milano nuovamente austriaca, Francesco (o Franco) Bossi chiese al governo, nel maggio 1799, l’autorizzazione ad installare una fabbrica di acido solforico e di altri prodotti chimici. Così nacque la prima fabbrica chimica italiana nel 1801, nell’area dell’allora convento di San Girolamo, dalle parti di Porta Vercellina, lungo il “naviglio Morto” oggi via Carducci.

Oltre all’acido solforico, Bossi produceva anche acido cloridrico, acido nitrico, cloruro di ammonio, solfati di sodio, di potassio, di magnesio e di rame. L’acido nitrico era, fra l’altro, usato per la preparazione delle lastre per la stampa delle monete da parte della Zecca.

Ben presto i fumi e i miasmi della produzione all’interno della chiesa sconsacrata di San Girolamo si fecero sentire, provocando la protesta degli abitanti della zona e dei gendarmi, ospitati nello stesso convento. Tanto che il 13 giugno 1802 fu emessa un’ordinanza che obbligava Bossi a smettere subito la produzione. Nel novembre dello stesso sfortunato anno 1802 il povero Bossi, pieno di debiti, dovette cedere la sua quota nell’impresa al socio L. Diotto e a un certo Michele Fornara (detto il Folcione), una specie di impiantista che aveva costruito le apparecchiature. I tre soci litigarono per qualche tempo e Bossi uscì definitivamente di scena proprio nel momento in cui, nonostante l’inquinamento, gli affari cominciavano ad andare meglio.

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Giuseppe Candiani

I guai non finirono, nel 1807 il prefetto del Dipartimento dell’Olona (la Repubblica italiana si era nel frattempo trasformata in Regno Italico) fece compiere un ennesimo sopralluogo nella fabbrica di acido solforico, ora della ditta Fornara & C.; ancora una volta venne constatata la nocività delle esalazioni gassose irritanti e il Prefetto ordinò il definitivo trasferimento della fabbrica. Nel 1808, dopo lunghe discussioni, la fabbrica Fornara si trasferì in San Vincenzo in Prato, la nostra chiesa sconsacrata, più appropriata perché all’epoca sorgeva in una zona più aperta e in mezzo ai prati, abbastanza isolata. La chiesa di San Vincenzo venne venduta ai due soci per lire 10.193, che vi portarono il laboratorio chimico. Convertirono il campanile in ciminiera e purtroppo danneggiarono gravemente parti della vecchia struttura e distruggendo gli affreschi quattrocenteschi che ne decoravano l’interno. Per questo l’antica basilica per tutto l’Ottocento venne battezzata la Casa del Mago, per via dei fumi e vapori che uscivano dalle finestre, dai molti comignoli  e da ogni pertugio. L’interno era illuminato dalle caldaie su cui si trovavano storte e alambicchi.

“Casa del Mago” fu immortalata nel 1880 dall’architetto e incisore Luigi Conconi (1852-1917), il quale realizzò un paio di acqueforti che rappresentano l’interno di questa fabbrica. La prima è intitolata proprio “La casa del mago” e la seconda “Le streghe”, oltre ad una rara foto d’epoca.

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Dobbiamo attendere il 1880, anche su sollecitazione delle Commissioni cittadine facenti capo all’Accademia di Belle Arti di Brera, perchè la Basilica ritorni ad essere una chiesa. L’architetto Gaetano Landriani, già responsabile dei restauri alla vicina Basilica di sant’Ambrogio, e con l’aiuto di G. Maggi, la restaurò conferendole un aspetto neopaelocristiano con estese reinterpretazioni talvolta arbitrarie come la ricostruzione delle absidiole laterali, l’abbattimento del campanile con la sua ricostruzione in “stile” piuttosto discutibile, oltre ad un arredo in stile neoromanico. Le decorazioni neopaelocristiane erano opera del pittore Attilio Nicora, delle quali oggi sono conservate solo poche tracce, come il dipinto nel catino absidale.

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Nel secolo scorso gli arch. Vito e Gustavo Latis hanno seguito con continuità i vari interventi susseguitisi negli anni dal 1953 al 1989 per riportare  la chiesa ad un più puro ed originario aspetto, ripulendola dalle decorazioni ottocentesche che rendevano l’interno un falso storico. Così l’alto presbiterio con balaustre e colonnine venne semplificato lasciando solo le murature storiche, oltre ad eliminare le pitture decorative realizzate dal Nicora.

Sull’altare maggiore è visibile un bell’affresco della Crocifissione del XV secolo detto la Madonna del pianto proveniente dalla vicina chiesa di San Calocero demolita negli anni 50 e attribuito alla scuola degli Zavattari. Nella navatella di destra è collocato un frammento di affresco sempre proveniente da S. Calocero, la Madonna dell’aiuto; nella navatella sinistra una colonna romana che sosteneva fino al 1885 la prima campata dell’arcata sinistra. La cripta è, assieme a quella di San Giovanni in Conca, l’unica cripta romanica originale rimasta a Milano. Mentre il battistero ottagonale che si trova all’esterno, sulla sinistra, è opera dell’architetto Paolo Mezzanotte e venne aggiunto nel 1932 con la benedizione del cardinale Schuster: la Pietra santa qui contenuta e facente parte del fonte battesimale, proviene dalla chiesa di S. Nazaro in Pietra Santa, demolita nel 1889 per lasciare spazio alla nuova Via Dante. Le tre semplici porte in rame sbalzato sono dello scultore Geminiano Cibau.

 Oggi la chiesa è un po’ assediata dalle solite auto e da molta negligenza, come si evince anche dalle nostre foto.

Fonti: Le chiese di Milano (Electa), Wikipedia, Lombardia Beni Culturali e Società Chimica Italiana

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Per l'utilizzo delle immagini scrivere a info@dodecaedrourbano.com

2 commenti su “Milano | Porta Genova – La casa del Mago, la basilica e la chimica nazionale”

  1. Non posso credere che solo vent’anni fa si sia approvato lo scempio di eliminare tutti gli affreschi ottocenteschi, sostituendoli con un semplice intonaco bianco. Che tristezza.

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  2. al contrario, io preferisco che la chiesa si avvicini all’aspetto “originale” (ok, so che è difficile da definire, ma l’esterno è del XIV secolo al più tardi), e il bianco indica che non abbiamo testimonianze attendibili su com’erano le pareti, oltre a mettere più in evidenza le parti che invece sono originali

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