Ad Affori, quartiere che si trova a nord ovest del centro di Milano, c’è la chiesa parrocchiale di Santa Giustina. L’aspetto attuale è l’ultimo intervento realizzato nel 1853 su progetto dell’architetto Giacomo Moraglia (1791 – 1860), uno dei progettisti neoclassici più in voga della città e nella Lombardia austriaca: quattro anni dopo la chiesa era pronta per la consacrazione.
In origine qui si trovava una cappella dedicata alla martire padovana Giustina, da subito una delle più venerate dagli abitanti del luogo. Nel 1454 la cappella divenne una vera e propria chiesa, eretta in stile rinascimentale, e già negli anni successivi, con l’arrivo ad Affori di contadini dalle zone di Como e Bergamo, si dovette procedere ad ampliamenti dell’edificio, ormai angusto. Ma come abbiamo visto, non bastò, e alla metà dell’Ottocento si pensò di erigere una più grande chiesa per la comunità sempre più numerosa.
L’edificio, a croce greca con cupola (anche se non venne mai realizzata), all’incrocio dei quattro bracci, secondo uno schema molto comune nell’edilizia sacra neoclassica (basti pensare a un’altra chiesa dello stesso Moraglia, la basilica di Gallarate, che segue questo modello), presenta una monumentale facciata. La parte centrale, in cui si apre un austero portale ad architrave piatta, è caratterizzata, alle estremità, da due coppie di lesene corinzie scanalate, che sostengono un cornicione. Nell’ordine superiore si apre un lunettone semicircolare cieco, con un affresco sbiadito. La facciata presenta notevoli somiglianze con altre fronti del Moraglia, come quella di S. Maria della Visitazione a Milano (1838), o quella della parrocchiale di Chiari, presso Brescia (1845 – 46). Alla destra della facciata si alza un alto campanile coevo, con cella campanaria a serliane e cupolino a pinnacolo. L’interno, austero e semplice nelle sue forme, nonostante l’accademica decorazione di Achille Albertazzi (1927), è sostenuto da quattro grandiose colonne corinzie che sorreggono la cupola. Durante la Seconda Guerra Mondiale, durante i bombardamenti, la chiesa subì gravi danni, specie alla parte absidale , che una volta riparata, venne dipinta con affreschi che prima non aveva.
La chiesa dopo i bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale
La chiesa conserva numerose opere d’arte, per lo più contemporanee. Si entra attraverso le porte dai battenti bronzei degli scultori Zegna e Abram, inaugurate nel 1990, e raffiguranti episodi della vita e Passione di Cristo. La cappella a destra è dedicata a S. Giuseppe, il cui culto, come quello di Giustina, fu sempre molto seguito ad Affori: sull’altare, un’edicola rinascimentale unico resto della vecchia chiesa quattrocentesca, si trova una statua marmorea del Divino Falegname, opera di artista ignoto, datata 1721. La cappella sinistra è, invece, adibita a battistero, e presenta acquasantiere e fonte battesimali probabilmente provenienti dalla vecchia chiesa: sull’altare, oggi, si trova un Battesimo di Gesù di inizio ‘600, opera anonima, ma assegnabile alla scuola lombarda, proveniente dalla villa del cavalier Prandoni, che si sovrappone a un affresco monocromo dell’Albertazzi basato sulla analogo soggetto di Daniele Crespi, del 1625, oggi a Brera.
Il presbiterio è caratterizzato dalla presenza dell’imponente altar maggiore, opera di Luigi Clerichetti (1862), cognato di quel Luigi Taccioli, proprietario della contigua villa Litta, e di Luigi Marchesi (fratello del famoso scultore Pompeo), che realizzò il tempietto circolare su sei colonnine corinzie. Nell’abisde gli affreschi, che narrano storie di S. Carlo Borromeo e di S. Antonio Maria Zaccaria, sono opere di fine ‘8 – inizio ‘900 di Luigi Valtorta e dell’allievo Davide Beghè. Al centro dell’abside troneggia la sedia presbiteriale in uso nell’antica chiesa, in noce, opera di un anonimo ebanista di fine XVI secolo, molto probabilmente coetaneo di Carlo Borromeo, con medaglioni raffiguranti santi e simboli di Cristo.
Foto Thomas Villa
Ma nella chiesa troviamo forse l’opera più preziosa e curiosa della chiesa, la Vergine delle Rocce. Si tratta di un dipinto a olio del 1503 circa, trasportato su tavola e raffigurante il soggetto leonardesco nella sua seconda edizione, quella che è esposta a Londra alla National Gallery, preparato per la chiesa scomparsa di San Francesco Grande. La tavola venne donata alla parrocchia di Affori dal cavaliere Luigi Taccioli, proprietario di Villa Litta, con suo testamento del 10 settembre 1844, consegnata dagli eredi Erico e Gaetano Taccioli nel 1861. L’opera preziosa, non è mai stata attribuita con certezza, Marco d’Oggiono, pupillo di Leonardo, è il nome più probabile dell’autore, ma nel corso del tempo si è attribuito il dipinto allo stesso Leonardo o a Luini. Studi hanno attribuito l’opera realizzata a più mani, il grande Maestro potrebeb aver realizzato i volti di Maria e dell’Angelo, mentre il paesaggio pare più d’impronta del Luini. Allievi del Luini hanno poi completato l’opera e grossolani restauri avvenuti nel corso dei secoli hanno compromesso alcuni tratti.
Venne esposta nel 1939 alla Mostra di Leonardo da Vinci al Castello Sforzesco, fu richiesta a Parigi nel 1962 ed esposta nel Museo Poldi Pezzoli nel 1982 nella rassegna Zenale e Leonardo. Il dipinto è ancora oggi oggetto di studi da parte di famosi critici d’arte.
refuso nel testo, “Vergine” e non “Venere” delle rocce.
Grazie