Milano | Porta Magenta – Il Palazzo Enel in ristrutturazione

L’edificio in via Carducci, progettato nel 1952 da Gio Ponti per la società Edison, è un classico edificio per uffici del periodo: molto essenziale, forse troppo, presenta una facciata scandita da 124 finestre tutte identiche, rettangolari e strette, con infissi in alluminio e un’entrata centrale molto ampia che occupa due piani in altezza e presenta una immensa tettoia in acciaio e vetro.

Il tempo e l’incuria da sempre hanno reso questo palazzo poco amato (si inserisce a forza tra un bell’esempio di palazzo Art-Decò e un classico palazzo eclettico di fine Ottocento) che per giunta si colloca arretrato rispetto all’allineamento stradale, secondo un piano urbanistico che prevedeva una via Carducci più larga e moderna.

Nel 2001 alcuni piani erano stati riadattati e arredati dallo studio dell’Architetto Michele De Lucchi che lo ha predisposto come nuova sede per Enel Power, ma si trattò di lavori interni, mentre la parte esterna dell’edificio crediamo non sia mai stata toccata dagli anni Cinquanta.

In questi giorni è in corso il restauro e la completa riqualificazione, attendiamo di vedere come sarà una volta terminato. Ci chiediamo anche se non sarebbe il caso che le due pareti cieche ai lati dei palazzi confinanti, esposti per l’arretramento dell’allineamento di gronda, venissero riqualificate con un bel murale magari.

 

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10 commenti su “Milano | Porta Magenta – Il Palazzo Enel in ristrutturazione”

  1. Il palazzo dell’ Enel collocato li è come un pugno nell’occhio quindi speriamo che la ristrutturazione riguardi non solo l’esterno ma anche l’interno.
    Detto questo il primo tratto di via Carducci che va da Cadorna a Largo D’Ancona va interamente riqualificato piantumando alberi e creando marciapiedi molto più larghi in modo da consentire alle migliaia di persone che lo percorrono quotidianamente ( pendolari, universitari e turisti ) una gradevole passeggiata per raggiungere sia i propri uffici che attrazioni turistiche come il cenacolo, San Maurizio , Sant’Ambrogio etc..La portata dei marciapiedi di oggi non è sufficiente a gestire il flusso di persone creando situazioni pericolose con numerosi passanti che camminano per strada. Sempre in quel tratto a causa dell’alta affluenza pedonale il flusso di macchine andrebbe ridotto creando o una zona a traffico pedonale privilegiato o restringendo la carreggiata ad una sola corsia e non due com’è oggi.

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  2. Il murale per le pareti cieche magari anche no, nel senso che ci sono anche soluzioni diverse per valorizzare un muro cieco – dal verde rampicante che fiorisce e cambia colore con le stagioni a strutture artistiche a bassorilievo, oppure colori particolari o strutture specchianti per dare prospettive nuove.
    Per carità, non che i murales sian brutti ma per ricucire un palazzo moderno con uno art decò ed uno eclettico, magari si può pensare a qualcosa di più originale, per una volta. (in ogni caso meglio i murales di niente, ovviamente)

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    • I palazzi moderni rientranti, con conseguenti muri ciechi dei palazzi d’epoca adiacenti, derivano dalla folle idea anni 50 di allargare tutti i corsi per far passare più “màghine”, come direbbero a Roma, sventrando interi quartieri storici…

      Idea per fortuna abortita che però ha lasciato cicatrici ovunque, specialmente in corso Garibaldi e, in misura minore, in corso di Porta Romana e in molte altre strade del centro.

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      • Per correttezza storica, gli sventramenti ed allagamenti delle vie (lasciati incompiuti coi risultati che tutti conosciamo) non sono del tutto una “folle idea degli anni 50” ma derivano dal piano Pavia Masera del 1912 e dallo sciagurato piano Albertini del 1935, ed infatti erano in pieno svolgimento quando sono arrivati i bombardieri alleati a dare una mano.

        Il piano del 1953 aveva altre priorità (è il piano dei grandi quartieroni periferici), anche se certo non ha fatto moltissimo per risolvere i problemi creati dai due precedenti (in parte perchè le priorità erano comprensibilmente ben altre ed in parte perchè cambiare lo status quo speculativo dei due piani precedenti non faceva in fondo comodo a nessuno).

        In pratica abbiam dovuto aspettare gli anni 60 del boom economico e della motorizzazione di massa per accorgerci che allargare le strade per far passar più auto in centro non aveva molto senso (in quel periodo infatti gli sventramenti/allargamenti cessano): della serie in Italia arriviamo sempre con l’ultimo treno 🙂

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  3. Vogliamo parlare della finta ciclabile presente in quel tratto di strada? Una sorta di roulette russa per chi la percorre…. e fortunato chi riesce ad arrivare davanti al palazzo Enel senza essere investito.

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  4. Prego Urbanfile, di cui apprezzo quotidianamente lo sforzo per far luce su zone grigie, problematiche e necessità della nostra città, di non promuovere l’utilizzo dei murales come strumento risolutivo di situazioni architettoniche incomplete o non riuscite.
    Pur non apprezzando particolarmente il murales, ritengo sia una forma d’arte interessante che però, proprio per le sue radici legate alla contestazione, perde molto del suo significato e della suo messaggio dal momento in cui diventa “lecito” e “autorizzato”. Ritengo inoltre che, con l’invasione di tag e imbrattamuri scatenati che girano per la città, utilizzare i muri irrisolti del centro storico per dipingere pur magnifici murales, rischi di far passare il concetto che tutto sommato scrivere e/o dipingere sui muri delle proprietà private si possa fare allegramente.

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    • Concordo ma non esageriamo con le “radici legate alla contestazione”: la tradizione di arte popolare sui muri delle case ha radici profondissime (basta vedere gli antichi borghi delle valli Lombarde e in Svizzera ed Austria).
      Che poi ormai i murales siano oggi ridotti ad un manierismo un po’ accademico (son carini ma sempre la solita solfa che rischia di andar fuori dagli occhi se la piazzi dovunque) è un altro discorso.

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