Milano | Nosedo – Il Porto di Mare e l’idrovia

Milano e il mare… un rapporto quasi impossibile eppure da secoli agognato. Milano è da sempre stata una città d’acqua, canali e rogge che l’hanno caratterizzata sin dall’epoca romana, tanto che gli stessi romani fecero un porto dove oggi scorre il traffico in via Larga.

Oggi, si torna a parlare del canale fluviale Milano-Cremona, infatti la Commissione europea ha inserito il collegamento Milano-Adriatico tra gli interventi prioritari. A quel punto è entrata in scena l’Aipo (Agenzia interregionale per il fiume Po), i cui tecnici hanno predisposto un nuovo studio di fattibilità.

Il progetto più consistente di collegare Milano con l’Adriatico attraverso un canale che si collegasse con il fiume Po a Cremona venne studiato all’inizio del 1900. Nella Milano progressista di inizio secolo si pensò bene di sostituire la vecchia Darsena di Porta Ticinese e la Cerchia dei Navigli con un nuovo porto commerciale più importante per una città industriale quale stava trasformandosi la città, il traffico nautico sui Navigli milanesi era molto congestionato all’epoca.

Così il Genio Civile nel 1907 presenta un progetto che prevede la realizzazione di un porto a Rogoredo a sud di Porta Romana, punto naturale di convergenza delle acque che colano dalla città. Dopo l’approvazione del progetto nel 1917, l’anno dopo si costituisce l’azienda portuale e in quello successivo cominciano i lavori con lo scavo del bacino portuale e di spezzoni di canale verso Cremona per 20 chilometri. Ma nel 1922 i lavori vengono sospesi, forse per mancanza di fondi. Nel frattempo i bacini alle porte di Rogoredo si riempirono d’acqua di falda e l’area negli anni seguenti si trasforma in una gigantesca cava per la ghiaia.

Negli anni ’30 il progetto venne ripreso dall’Ing. Baselli del Comune e ampliato nel suo contesto. Si pensava di realizzare un collegamento tra il Naviglio Pavese e l’area di Rogoredo con un nuovo canale, addirittura si parlava di un nuovo Naviglio Grande dal Lago Maggiore al Porto di Rogoredo e un canale di comunicazione Milano-Cremona per raggiungere il Po. Nel 1941 il progetto era pronto, ma lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale come è immaginabile affossa nuovamente il progetto.

Si rimette mano al canale nel 1953, senza effettivamente iniziare i lavori. Negli anni che precedettero l’istituzione della Regione Lombardia nel 1970, il collegamento idroviario via Po con l’Adriatico viene riaffermato nei documenti programmatici come scelta strategica per lo sviluppo dell’economia lombarda e nel 1972 viene istituita un’apposita azienda, si dà inizio ai lavori e si scava un canale da Cremona all’Adda.

Nel frattempo il 31 marzo 1979 l’ultimo barcone giungeva in Darsena col suo carico di sabbia. Fu la fine degli usi commerciali delle vie d’acqua milanesi, la gomma aveva avuto la meglio sui traffici commerciali. Milano da quel giorno rimarrà una città senza porto.

Il progetto “Porto di Mare” rimase sempre bloccato. Nel 1991 arrivò anche la Metropolitana (a cui venne dedicata l’opera mai conclusa, in origine il nome della fermata doveva essere “Fabio Massimo”) ma dell’acqua e dei battelli non se ne vedeva nulla all’orizzonte.

Nel 2000 il Consorzio fu messo in liquidazione, liquidando così anche l’ultima speranza di vedere un porto commerciale a Milano. Il canale scavato da Cremona verso l’Adda giace tra i campi inutilizzato, addirittura negli ultimi anni si è reso anche responsabile di danni ai campi vicini a causa dell’assenza totale di manutenzione e la Regione dovrà sborsare altri soldi per risistemare l’alveo.

Nel 2009, infine, il colpo di grazia venne dal progetto di costruire nella zona la “Cittadella della Giustizia” andando così a far naufragare definitivamente il progetto del porto e a distruggere un’ulteriore area verde di Milano. Slittato di un anno, il progetto con l’avallo del ministero della giustizia, è stato poi ripresentato nel 2010 ma successivamente accantonato.

Ora si riparla, come dicevamo, nuovamente del canale Milano Cremona, come riferiscono dall’Aipo (Agenzia interregionale per il fiume Po) è previsto un tracciato di circa 60 chilometri e sette conche, con salti d’acqua che consentiranno di produrre anche energia elettrica. L’idrovia permetterà il passaggio di imbarcazioni fino a 110 metri di lunghezza per 11 di larghezza, con un carico da 1.600 a tre mila tonnellate. Secondo l’Aipo, l’opera avrebbe un limitato impatto ambientale perché utilizzerà, con i necessari adeguamenti, un canale già esistente, il Muzza. Il porto fluviale sorgerà nell’area est di Milano, all’intersezione tra le Brebemi e la nuova tangenziale Est esterna, dove incrocia anche l’Alta velocità. «Non vogliamo fare il canale a tutti i costi – sottolinea Mille – ma abbiamo solo dato uno strumento a chi (Europa, Stato, Regione) dovrà decidere». I lavori potranno ricevere dall’Europa un cofinanziamento fino al 40 per cento. Costo complessivo 1,7 miliardi di euro. Una cifra da brividi. «Si potrebbe procedere per stralci», puntualizza l’ingegnere dell’Aipo.

La Regione sembra interessata e il presidente Roberto Maroni ha delegato l’assessore Viviana Beccalossi a occuparsene. Il trasporto fluviale sicuramente è meno impattante di quello su gomma. Una chiatta di 1.350 tonnellate movimenta un carico pari a 75 Tir o a 67 vagoni. Chissà se dopo cent’anni Milano si doterà di una connessione fluviale importante o anche questa volta il tutto si concluderà col solito bluff all’italiana?

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2 commenti su “Milano | Nosedo – Il Porto di Mare e l’idrovia”

  1. La cittadella della giustizia non la faranno mai…e quel pezzo di parco appena ultimato che conduce a Chiaravalle è bene che rimanga a parco valorizzando i corsi d’acqua esistenti…certo tutta la zona sud (corvetto, via quaranta, cinquecento) avrebbe bisogno di un pò di investimenti privati per realizzare qualche progetto di pregio che la riqualifichi.
    Al corvetto il comune sta ristrutturando le case popolari dei primi 900 (e i risultati sono buoni perchè sono belle architetture) ma rimangono i problemi sugli abitanti (quelli abusivi) e su sistemi di controllo e anti degrado da parte degli inquilini (su parabole selvaggie, stendini, balconi utilizzati come ripostigli…) Andrebbe ipotizzata qualche struttura ad alto contenuto sociale riutilizzando spazi esistenti che funga da polo attrattore (un po come Fondazione Prada, Mudec)

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