Di origine quattrocentesca, Palazzo Archinto si affaccia sulle attuali vie Olmetto e Piatti. L’edificio storico, anche se ricostruito dopo i bombardamenti dell’agosto del 1943 , è in questi giorni in fase di riqualificazione e ristrutturazione.
Sarà occupato dall’istituto scolastico della St. Louis School per gli studenti delle superiori (da 14 a 18 anni), a partire da settembre 2019. La maggior parte delle classi si affaccerà sulle bellissime corti e giardini interni del palazzo.
Il Palazzo Archinto raggiunse la sua massima fama nelle prima metà del Settecento, ed è l’esito di una serie di riforme promosse nel tempo sull’antica dimora. Avendo proceduto all’accorpamento di alcune proprietà limitrofe, alla fine del Seicento, vennero promossi i primi importanti interventi da parte di Filippo Archinto (1644-1712). Nel 1715 l’insieme della proprietà fu ereditato da Carlo Archinto (1669-1732), figlio di Filippo e di Camilla Stampa; i suoi interessi per l’arte e l’architettura, il rapporto mecenatistico che lo unì a Filippo Argelati, fanno pensare che sia stato proprio lui l’artefice del rinnovamento del palazzo, che contribuì a dotare di numerose opere d’arte e di una ricca biblioteca, come nel 1737 testimonia la Descrizione di Milano di Serviliano Latuada. E’ da ricondurre, sempre a Carlo Archinto, la decisione di intervenire sul cuore più rappresentativo del palazzo, con importanti interventi sul piano architettonico, oltre che su quello decorativo.
Il palazzo all’epoca si presentò al massimo del suo splendore, ornato da un ciclo di decorazioni ad affresco eseguite tra il 1730 e il 1731 da Giambattista Tiepolo e da alcuni suoi collaboratori, tra cui Vittorio Maria Bigari (autonomo rispetto a Tiepolo), Andrea Lanzani e il quadraturista Stefano Orlandi.
I soggetti dei dipinti, commissionati da Carlo Archinto per celebrare le nozze del figlio maggiore Filippo (1697-1751) con Giulia Borromeo (la mostra di New York alla Frick Collection, mette forti dubbi su questa spiegazione riduttiva), comprendevano L’Apoteosi di Romolo, L’Incoronazione di Bacco e Arianna, Giunone, La Fortuna e Venere, Il Trionfo delle Arti e delle Scienze, Il Tempo scopre la Verità, Apollo e Fetonte, Storie di Scipione, Perseo e Andromeda.
Al cantiere lavorò anche Alessandro Magnasco, eseguendo, in collaborazione con un anonimo paesaggista, quattro sopraporte con le Allegorie dei quattro Elementi.
Sarebbe bello se in alcune stanze del rinnovato palazzo venissero applicate ai soffitti delle stampe che riproducessero, anche in bianco e nero, gli affreschi perduti.
Qui di seguito alcune immagini che mostrano la grande perdita che Milano ha subito durante la Seconda Guerra Mondiale.
L’assetto del palazzo, come abbiamo detto poco sopra, fu frutto dell’accorpamento di più edifici contigui, perciò ancora oggi appare di forma irregolare: il cortile quadrangolare porticato con accesso da via Olmetto – il cui portale fu realizzato nel 1817 da Carlo Amati – può essere considerato il fulcro della riforma architettonica apportata nel Sei-Settecento, di cui non si conosce l’autore. Sul piano architettonico, la riforma settecentesca ha saputo sfruttare sapientemente le preesistenze e l’irregolarità del sito, configurando una nuova scenografica sequenza di spazi aperti, collegando il primo cortile, seicentesco, con un secondo cortile ed il giardino sul fondo. Gli spazi interni sono stati articolati in appartamenti altamente rappresentativi, riservati ai diversi esponenti della famiglia.
Un secondo cortile, più piccolo, è separato dal retrostante giardino da un braccio obliquo: un doppio colonnato sormontato da una terrazza che in origine collegava il corpo residenziale a quello delle rimesse. Al piano terra dell’edificio erano ubicati gli ambienti di servizio e le rimesse. In realtà esisteva, come consuetudine, un appartamento al piano terreno, con affaccio sul giardino, generalmente riservato all’uso estivo, perché più fresco. Mentre al piano nobile, servito dallo scalone monumentale che si apriva sul lato destro del cortile principale, attraverso una sequenza di stanze affrescate si giungeva alla “sala con l’affresco del Tiepolo del Trionfo delle Arti e delle Scienze”, che si trovava in testa al corpo che separava i due cortili e permetteva l’accesso alla favolosa terrazza col glicine.
Gli appartamenti padronali comprendevano anche una cappella e diversi ambienti riservati alla preziosa biblioteca, iprincipali dei quali con scaffali in noce intagliati, con affaccio sul giardino.
Non avendo eredi diretti, Carlo Archinto (1734-1804), figlio di Filippo, nominò proprio erede universale Giuseppe Archinto (1783-1861), figlio del cugino Luigi (1742-1821).
Nel 1825 Giuseppe costruì un più “sontuoso” palazzo in via della Passione (Zona di Porta Monforte), e vendette il palazzo a Giuseppe Tirelli che, a sua volta, nel 1827 cedette a terzi la porzione del complesso corrispondente all’attuale via Piatti 6.
Tra il 1805 e il 1839 venne realizzata la cosiddetta “torretta” neogotica in mattoni affacciata sul giardino, contraddistinta da archi ogivali e merlature.
Nel 1853 l’edificio fu acquistato dall’Amministrazione dei Luoghi Pii Elemosinieri (oggi ASP Golgi-Redaelli) che lo destinò a sede dei propri uffici.
Nel 1943 l’edificio venne gravemente danneggiato dai bombardamenti aerei, che comportarono anche la perdita pressoché totale delle decorazioni degli ambienti interni compresi i cicli di Lanzani, Tiepolo, Bigari e Magnasco.
Il palazzo fu ricostruito su progetto dell’architetto Luigi Dodi tra il 1955 e il 1967. A testimonianza dell’originario assetto settecentesco di Palazzo Archinto, oltre a parte del prospetto frontale, restano oggi il cortile di accesso e la terrazza con balaustre affacciata sul piccolo giardino, che vanta la più antica pianta di glicine di Milano.
Dei cicli decorativi tiepoleschi si conservano – in loco, nella ex Sala Consiglio – una medaglia ad affresco riferita a Vittorio Maria Bigari e – in deposito presso le Civiche Raccolte d’Arte Applicata del Castello Sforzesco – un grande lacerto dipinto da Tiepolo e dal quadraturista Orlandi.
Oltre ad aver ospitato sino al 2016 gli uffici amministrativi dell’Azienda di Servizi alla Persona Golgi Redaelli, Palazzo Archinto ospita ancora l’Archivio storico dell’istituzione, con ingresso da via Piatti 8. Il resto del palazzo ospiterà una nuova sede della St. Louis School.
Fonte: TESORO DEI POVERI. Il patrimonio artistico (ex Eca) di Milano Silvana, 2001; TIEPOLO IN MILAN: The Lost Frescoes of Palazzo Archinto) Paul Holberton Publishing, 2019.
Bellissimo articolo, conoscevo il palazzo solo nel nome e non così in dettaglio. Spero davvero che con la riqualificazione si riproduca il più possibile quello che c’era un tempo, spesso all’estero si ricostruisce e riproduce parte di opere perse come alcune parti mancanti di vasi o statue per far vedere com’era, magari come detto nell’articolo potrebbero riprodurre i soffitti perduti affidandosi a esperti di Brera o del Poldi Pezzoli, sarebbe un’ottima cosa per le prossime generazioni non far sparire nell’oblio alcuni dei capolavori persi di Milano
Non mi spingerei fino a rifare gli affreschi, che sarebbero purtroppo solo un falso, ma concordo sul fatto che in Italia c’è un approccio esasperatamente conservativo al restauro che non esiste in altri paesi.
A Berlino stanno ricostruendo praticamente da zero il castello e nessuno trova niente da ridire, mentre a Varsavia il centro storico, raso al suolo (ma LETTERALMENTE raso al suolo) durante la II GM è stato ricostruito nel dopoguerra tal quale com’era, mattone su mattone.
Un esempio recente ed eclatante dell’eccessivo conservativismo italiano è la Fontana delle Quattro Stagioni a Citylife. È stata oggetto di un restauro iper conservativo che ha lasciato gli angoli sbrecciati e gli arti consumati delle statue così com’erano… eppure questa Fontana risale agli anni 20, ha meno di cent’anni, non si può considerare antica nemmeno secondo i criteri più stringenti… si potevano tranquillamente ripristinare le parti mancanti senza che si potesse invocare l’attentato alla memoria storica.
Avessero ricostruito così tutto il centro storico distrutto dalle bombe!! Come hanno fatto all’estero.
Beh signori… il divieto sul falso storico è: “ una cagata pazzesca.” !