Milano | Città Giardino: la soluzione che già esisteva per l’urbanistica post-Covid e i progetti che cambieranno la città

Testo ing. Francesco Barbieri

Da settimane ci si interroga su quale possa essere la soluzione ai problemi emersi durante l’emergenza sanitaria causata dalla pandemia globale di Covid-19. La riflessione è profonda, e non si limita a ripensare alle sole nostre abitudini, ma a rivalutare l’intera struttura delle nostre attività, arrivando a mettere in discussione anche il modo in cui pensiamo e costruiamo le nostre città. La risposta, in realtà, è sotto i nostri occhi da più di 100 anni.

Le opportunità offerte dall’emergenza sanitaria

La pandemia mondiale causata dall’infezione di Covid-19 sta portando ad un profondo cambiamento dell’economia, della società e dei rapporti umani, che solo ora stanno lentamente e gradualmente riprendendo, nel tentativo di tornare alla normalità. Quello che però questa emergenza ci offre è la possibilità di ripensare il nostro modo di vivere.

L’opportunità è quella di aprire un confronto ed un dibattito che da anni è necessario, ma che ora può e deve essere trattato più seriamente e a larga scala. La sensibilità che le persone e le istituzioni hanno maturato in questi mesi nei confronti dell’ambiente e del nostro rapporto con esso permettono di garantire che questo dibattito sia esteso a tutti. La pandemia ha dimostrato come, senza un corretto equilibrio tra uomo, costruzioni e ambiente, i risultati provocati da situazioni come quella attuale sono potenzialmente devastanti. Mai come oggi risulta quindi evidente la necessità di ripensare e ridefinire completamente il rapporto tra l’uomo, le città e la natura.

«Risulta evidente la necessità di ripensare e ridefinire completamente il rapporto tra l’uomo, le città e la natura»

Il momento rappresenta l’occasione perfetta per investire ulteriori risorse ed energie nello sviluppo del tessuto urbano e nella rivalorizzazione delle periferie – quegli ambienti sub-urbani che da troppo tempo sono fonte di problemi sociali ed economici – puntando su nuovi progetti di crescita sostenibile. Non a caso, nella Legge di Bilancio entrata in vigore a gennaio 2020 è stato previsto lo stanziamento di ben 8.5 miliardi di euro, spalmati nei prossimi 13 anni, destinati a progetti di rigenerazione urbana, con l’obbiettivo di ridurre i fenomeni di marginalizzazione sociale e degrado urbano. Lo scorso ottobre, finalmente, è stato pubblicato il primo bando, che muoverà 850 milioni di euro: l’occasione è unica ed i tempi sono più che mai maturi.

Il modello della città-giardino

È necessario quindi un nuovo modello urbanistico post-pandemia, nel quale la città ideale deve essere accessibile e a misura d’uomo, garante di sicurezza e con una densità equilibrata e bilanciata con l’ambiente naturale che la circonda. Un tessuto urbano nel quale trovano spazio le funzioni abitative, commerciali, industriali e ricreative, legate tra loro attraverso un giusto equilibrio con lo spazio naturale. Questo fine deve essere perseguito a tutti i livelli della scala urbanistica, partendo da edifici sostenibili e arrivando a vere e proprie città basate su ecosistemi urbani.

Nel seguire questi princìpi, torna quindi di estrema attualità il tema della cosiddetta città-giardino. Si tratta di un modello di pianificazione urbanistica nella quale i quartieri e gli isolati sono circondati da cinture verdi, che contengono aree residenziali, commerciali, industriali e agricole in proporzione tra loro. Il tema è stato affrontato per la prima volta da Ebenezer Howard nel 1898 e mirava a coniugare i benefici provenienti da un ambiente rurale e quelli provenienti da uno urbano, cercando di evitare gli svantaggi di entrambi. È nato così un concetto che ha poi ispirato la nascita di numerose città-giardino in tutto il mondo.

«Nella città-giardino i quartieri e gli isolati sono circondati da cinture verdi, che contengono aree residenziali, commerciali, industriali e agricole in proporzione tra loro»

La teoria di Howard si sviluppa quando la Seconda Rivoluzione Industriale aveva portato allo spostamento di gran parte della popolazione rurale verso le nuove metropoli. E’ in questa occasione che emergono i primi problemi relativi alla industrializzazione, come l’inquinamento, il sovraffollamento delle periferie e la diffusione di malattie. Il prototipo di Howard si distingueva dalle altre teorie dell’epoca in quanto non escludeva i vantaggi portati dal progresso tecnologico e industriale e prevedeva una serie di parametri ben definiti in termini di superficie di sviluppo e di abitanti, la chiara collocazione dei servizi pubblici e di quelli privati all’interno del tessuto urbano, la determinazione di un limite ben definito.

Una equilibrata densità dei quartieri urbani permette non solo di limitare eventuali contagi in una situazione di emergenza come quella che stiamo vivendo, ma anche di mantenere attivi i servizi essenziali per i cittadini durante periodi di confinamento sociale, come hanno evidenziato le moltitudini di dati statistici elaborati in questi mesi, dai quali emerge che paesi e città con equilibrati valori di densità abitativa e delle attività produttive hanno attenuato la velocità di diffusione del contagio.

Questo modello ideale si contrappone alla situazione reale di numerose città e periferie del mondo, nelle quali sorgono centinaia di palazzi e condomini nei quali trovano dimora migliaia di persone. Qui mancano i servizi essenziali e l’intera vita degli abitanti si basa sull’utilizzo delle automobili e sugli spostamenti verso i grandi mall di periferia.

Risulta chiaro come l’applicazione di un modello come quello della città-giardino necessitasse di chiare e mirate politiche urbanistiche, soprattutto negli anni del boom economico ed edilizio, nel quale si è costruito troppo e male. Finalmente però, oggi qualcosa sembra muoversi, con le amministrazioni delle principali città mondiali che sembrano essersi rese conto della necessità di cambiare direzione. Questa nuova consapevolezza sta portando allo sviluppo di importanti e ambiziosi progetti nel tentativo di riparare i danni fatti.

I progetti lanciati da Milano

Tra le grandi città mondiali che si stanno attivando, Milano è la capofila in Italia e non solo: infatti, dai progetti del Politecnico a quelli del C40, la città lombarda si candida sempre di più a diventare il punto di riferimento per le politiche urbanistiche di tante altre realtà. Questo mentre Fridays For Future lancia l’allarme: Milano è infatti una città più cementificate in Italia ed in Europa, con oltre 125 ettari di suolo consumati solo negli ultimi sette anni e la superficie antropizzata che ha ormai raggiunto il 58% dell’intero territorio comunale. È anche per questo che il sindaco Beppe Sala e l’assessore all’urbanistica Pierfrancesco Maran stanno puntando su una nuova strategia che metterà al centro delle politiche di crescita della città la sostenibilità ambientale e sociale.

Il Financial Times e Wired hanno dedicato interi articoli ad uno dei punti fondamentali dell’ambiziosa strategia per il rilancio dell’urbanistica milanese. Si tratta del progetto 15-Minutes City, un modello lanciato già qualche anni fa dal professor Carlos Moreno della Sorbona e ripreso dalle sindache di Parigi e Barcellona, Anna Hidalgo e Ada Colau.

Il progetto è stato accolto come ambizioso e visionario, ma si basa in realtà su quello che dovrebbe essere un principio fondamentale della nostra urbanistica: rendere disponibili ed accessibili i servizi principali delle città ad ogni singolo cittadino, con una passeggiata a piedi o in bicicletta di non più di un quarto d’ora, appunto. Servizi pubblici, parchi, luoghi di lavoro e di svago possono così essere raggiunti senza necessariamente ricorrere a mezzi pubblici e soprattutto privati, incentivando la creazione di aree protette dalla congestione del traffico. Questo principio si è perso negli anni, vittima anch’esso del boom economico e dell’era del consumismo, nel quale i piccoli commercianti e i negozianti di quartiere hanno lasciato il posto ai grandi mall e ai centri commerciali, provocando la condanna a morte dei nostri centri storici.

Ora, grazie al progetto avviato dal gruppo C40, che riunisce le principali 40 città metropolitane mondiali attorno ad un tavolo di lavoro che sviluppa e condivide progetti di urbanistica e sviluppo sostenibili, la tematica è finalmente passata dalla teoria alla pratica. A Milano, con il sindaco Beppe Sala in prima linea, è in corso un primo e graduale approccio al progetto, che è in via di sviluppo in aree circostanti a Corso Buenos Aires e nel quartiere di Isola. L’emergenza sanitaria causata dal Covid-19 ha sicuramente facilitato la diffusione dei concetti alla base del progetto e aumentato la sensibilità dei cittadini verso la riscoperta e la necessità dell’economia di quartiere.

«Servizi pubblici, parchi, luoghi di lavoro e di svago possono così essere raggiunti senza necessariamente ricorrere a mezzi pubblici e privati»

Ma i cittadini che cosa ne pensano? Da uno studio effettuato da Arup su oltre 5 mila persone residenti a Milano, Berlino, Londra, Parigi e Madrid è stato evidenziato come tra il 30 e il 59% degli intervistati ha considerato l’ipotesi di cambiare città durante il primo lockdown, mentre tra il 12 e il 41% effettivamente lo ha fatto. Lo studio ha inoltre cercato di misurare le effettive tempistiche necessarie ai cittadini per raggiungere luoghi fondamentali come scuole, servizi e verde pubblico, mostrando come Milano sia in realtà una delle migliori a livello europeo, con tempi di percorrenza medi tra i 9 ed i 13 minuti.

Sempre a Milano, il Politecnico – anche per quest’anno primo ateneo italiano secondo QS World University Rankings – è capofila del progetto Safely Connected – Sustainable Common Accessibility of Lively Downtowns for Healthy People, una iniziativa promossa dall’Istituto Europeo per l’Innovazione e la Tecnologia che mira a creare spazi urbani vivibili. Il programma cercherà di rendere vivo il centro della città, rilanciando e sostenendo l’attività economica, in particolare per i commercianti locali, in linea però con la realtà delle limitazioni dei tempi dell’emergenza sanitaria. Il prototipo è un sistema flessibile e agile dello spazio pubblico, basato sulla convivenza di molteplici attività urbane, sulla mobilità pedonale e dolce, sullo sviluppo dei dehors, sulla valorizzazione del verde pubblico e sul rafforzamento del commercio di vicinato. Verrà testato per la prima volta nel comune francese di Saint-Germain-en-Laye, ma avrà un enorme potenziale di estensione e replica in città più grandi o in quartieri di città metropolitane.

«…un sistema flessibile e agile dello spazio pubblico, basato sulla convivenza di molteplici attività urbane, sulla mobilità pedonale e dolce, sullo sviluppo dei dehors, sulla valorizzazione del verde pubblico e sul rafforzamento del commercio di vicinato»

Con la situazione attuale, hanno preso sempre più forza le teorie e i progetti dell’architetto Stefano Boeri, sulle quali proprio Milano aveva puntato per la realizzazione del Bosco Verticale, il grattacielo verde che si affaccia sul nuovo parco BAM, la Biblioteca degli Alberi di Milano. Il concetto di Boeri è semplice: la città post-Covid deve essere un borgo autosufficiente, basato sulla convivenza di ambienti funzionali e sociali, accessibili ed ecosostenibili. Da qui l’idea del suo nuovo progetto: quello di incentivare il ripopolamento dei borghi italiani, partendo dalla necessità delle persone di vivere nella natura e di conciliare famiglia e tempo libero con l’attività lavorativa. Insieme al Politecnico di Milano, l’architetto ha promosso uno studio che ha fatto emergere che il 72% dei comuni italiani ha meno di 5 mila abitanti e che 2381 comuni dei 5383 analizzati sono in stato avanzato di abbandono, e sta valutando la possibilità di individuare tra questi alcuni borghi sui quali poter sviluppare progetti pilota nei prossimi anni.

«La città post-Covid deve essere un borgo autosufficiente, basato sulla convivenza di ambienti funzionali e sociali, accessibili ed ecosostenibili»

L’idea può essere vincente, in quanto aiutata da un fenomeno che non è affatto nuovo: già da alcuni anni nella città italiane e francesi è stata notata la tendenza degli abitanti a trasferirsi fuori dai loro centri, accelerando negli ultimi mesi a causa dell’emergenza sanitaria. Nel 2019 il sociologo francese Eric Charmes parlava addirittura di La revanche des villages, ovvero della rivincita dei villaggi dopo anni di divario crescente in termini di ricchezza e di crescita economica.

Proprio dalla collaborazione tra Stefano Boeri e la Città Metropolitana di Milano è nato anche il progetto ForestaMi, che punta all’incredibile obbiettivo di censire tutti gli alberi presenti sul territorio metropolitano di Milano e a piantarne ulteriori 3 milioni di esemplari entro il 2030. La speranza è che nel tempo questo progetto non si limiti a rappresentare un intervento superficiale, nel quale vengono seminati alberi qua e là, ma che sia supportato e sostenuto da altre politiche di valorizzazione del tessuto urbano.

Lo scenario è lo stesso anche oltre manica: mentre Milano si svuota, complice l’applicazione sempre più diffusa e intensiva dello smart-working, anche a New York è stato assegnato lo stesso destino. La situazione è quella di una città deserta, a tal punto che sono in molti a chiedersi se città come la Grande Mela torneranno mai ad essere le stesse una volta terminata l’emergenza. È qui che lo studio di design WATG sta elaborando Green Block, un provocatorio e paradossale progetto che mira a non sacrificare le virtù dello spazio urbano e quelle dell’ambiente rurale, bensì combinandole e facendole convivere: i princìpi, insomma, della città-giardino.

Mentre, con la diffusione intensiva dello smart-working, le grandi multinazionali e le amministrazioni pubbliche si stanno interrogando sulla ancora effettiva necessità di costruire grattacieli e uffici per migliaia di dipendenti, resta da capire se questi primi e graduali approcci resteranno tali o sfoceranno nelle grandi politiche di rivalorizzazione urbana e sociale delle quali c’è urgente bisogno.

A Vision Of Europe

Dal 1992, A Vision Of Europe – un’associazione internazionale per la promozione del dibattito sulla città, la sua architettura ed il suo sviluppo – promuove il dibattito su nuove proposte di riqualificazione delle città europee, basate sui principi tradizionali degli spazi urbani e sullo sviluppo ambientale e tecnologico afferenti all’idea di ecologia urbana, ponendo la salvaguardia delle città storiche e lo sviluppo a misura d’uomo delle aree urbane contemporanee.

AVOE promuove il modello di una città sana, basato sull’equilibrio tra l’ambiente naturale e quello artificiale, chiamata della Eco-Compact City. Si tratta di una città costruita e sviluppata in equilibrio con l’ambiente naturale, dotata di un chiaro limite, di un rapporto ottimale tra densità e rete di spazi pubblici, scanditi da isolati urbani a destinazione mista. Una città compatta consuma meno territorio e permette pedonalità, trasporto pubblico, sicurezza, efficienza energetica e amministrativa. La città eco-compatta è composta da un raggruppamento organico di quartieri e distretti, ma può anche svilupparsi come una vera e propria metropoli.

La Eco-Compact City è una città costruita e sviluppata in equilibrio con l’ambiente naturale, dotata di un rapporto ottimale tra densità e rete di spazi pubblici, scanditi da isolati urbani a destinazione mista»

Il valore ottimale di densità che caratterizza la Eco-Compact City permette l’esistenza di un sistema commerciale basato sui negozi di vicinato e permette la realizzazione di una efficiente rete di trasporto pubblico. Ai suoi abitanti è permesso di vivere all’interno di un ambiente ad alta accessibilità pedonale che incoraggia gli spostamenti a piedi, l’uso del sistema di trasporto pubblico e scoraggia l’uso intensivo dell’automobile. L’obbiettivo principale di questo modello è di creare un ambiente urbano che ottimizzi l’uso delle risorse naturali e riduca drammaticamente l’inquinamento dell’aria e del paesaggio naturale.

Per avere maggiori informazioni sui progetti di A Vision Of Europe e conoscere il modello della Eco-Compact City:
www.avoe.org
www.ecocompactcity.org

Photo Credits: (1) A View of Home © Fas Khan – (2) Square Mile, London © Kota London – (3) Notre Dame, Paris © Franz Marc Frei – (4) Biblioteca degli Alberi, Milano © BAM Milano – (5) Bosco Verticale, Milano © Arup – (6) Brooklyn Bridge Park, New York © Etienne Frossard – (7) Arc de Triomphe, Paris © Bertrand Langlois

Per l'utilizzo delle immagini scrivere a info@dodecaedrourbano.com

14 commenti su “Milano | Città Giardino: la soluzione che già esisteva per l’urbanistica post-Covid e i progetti che cambieranno la città”

  1. Una interessante carrellata dei temi di cui attualmente si parla, ma faccio fatica a raccapezzarmi su quale sia la via da seguire.

    Milano è troppo densa o è quella dove ci si sposta meno per raggiungere i servizi? Le due cose van di pari passo.

    Dobbiamo sparpagliarci sul territorio nei borghi? L’ Île-de-France ha 12 milioni di abitanti ammucchiati su una superficie la metà della Lombardia, che di abitanti ne ha 10…siamo più avanti. E i vari “borghi” della Brianza, hanno veramente bisogno di essere ripopolati come esorta Boeri?

    Parliamo di post covid e di nuovi scenari e poi diciamo che sono le mall ed i centri commerciali ad avere ucciso il negozio di vicinato? Quello era vero 10 anni fa…adesso è internet che uccide le mall, mentre paradossalmente i supermercati tornano ad essere negozi di vicinato (gli unici format che crescono sono i vari “express” o “local” – gli ipermercati sono moribondi….)

    Comunque gli articoli sono importanti anche solo se fanno riflettere e ho quindi molto apprezzato l’esposizione anche se alla fine non ho ben capito quale fosse il punto che si voleva dimostrare.

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  2. Ti temi trattati sono molto sofisticati e al limite della superscazzola…

    Sinceramente ritengo che nel breve periodo Milano abbina bisogno di più verde in centro (non 3 milioni di alberi piantati nei parchi o al bordo delle tangenziali) e un decongestionamento delle auto dai marciapiedi tramite un controllo più serrato degno di una città del primo mondo e dal centro cittadino tramite un obolo di pagamento per chi entra in Area C che va oltre la mancetta di 5 euro quando un biglietto ATM di andata e ritorno ne costa 4.
    Per il resto I temi qui trattati vanno bene per una conferenza di visionari….

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  3. Le linee guida sono corrette, poi non so se ci arriveremo mai purtroppo. Più verde in città (molto di più), una città molto ma molto più pedonale per far vivere le strade e aiutare il commercio di vicinato.
    Iniziamo pedonalizzando qualcosa? È da tempo di piazza castello che a Milano non c’è una pedonalizzazione importante. Proviamo con corso Garibaldi? Via Marghera? Piazza Diaz? Corso Buenos Aires? Piazza Fontana?

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  4. Se seguo la logica dell’articolo, il futuro delle città e di Milano dovrebbero essere posti come Cascina Merlata: pieno di verde, autosufficiente grazie al centro commerciale, perfettamente collegato con infrastrutture di trasporto, con uffici e servizi a meno di 15 minuti, ci puoi girare bene in bici o a piedi.

    Quindi c’è qualcosa che tocca.

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  5. Le piazze.

    Ovvero le non piazze di Milano. Ossia neglia anni 80 e anche da prima le uniche piazzette di quartiere sono state rubate, sequestrate ai cittadini e trasformate in parcheggi discarica a cielo aperto per automobili.

    Se vogliamo recuperare una dimensione umana e di quartiere del vivere dobbiamo continuare sulla strada del ri-pedonalizzare le piazzette sparse in ogni quartiere.

    Posti di umanizzazione dei singoli quartieri. Allora si che i negozi di vicinato possono riaprire perché la gente ha un motivo in più per uscire a piedi o in bicicletta a comprare il pane, il latte e le uova.

    La città dei 5 minuti.
    Si costruisce riprendendo le piazze.
    Alberate.

    Piccole oasi che allontanano l’arroganza e il rumore e il fastidio della città delle auto.
    La città entro i 5 minuti.

    Possiamo farlo a Milano.

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    • Devo ammettere che è molto più sensato Wf della lunga serie di esperti, espertini ed espertoni citati nell’articolo 😉

      Tra l’altro la piazza ha il vantaggio di essere da secoli una cosa profondamente italiana. Ce l’abbiamo nel DNA e non valorizzarla per seguire i trend alla moda del mondo globale, sarebbe criminale.

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        • Ecco, WF, il massimo che ti è concesso su questo blog è di esprimerti col linguaggio dei segni. Un pollice in su può andar bene. Ora riposati che sarai stanco

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          • Mi sa che “Wf” e “Si Tav” hanno bisticciato.

            Ma anzichè rincorrervi tra i vari post, non potreste sfidarvi a duello come si faceva una volta?
            Magari in una piazza (se sceglie Wf) o in un parcheggio (se sceglie Si Tav)

          • ???
            Più che altro siTav ha un disturbo profondo della personalità che lo obbliga a inseguire ogni mio commento…

            Nella vana speranza di riequilibrare agli occhi del mondo le mie osservazioni con le sue minkiate.

            Ha un delirio e una vera ossessione nei miei confronti.

            Sono lusingato e inquietato allo stesso tempo.

            Se fosse un film sarebbe un serial killer che spia i vicini dalle finestre…

            Un bravo psichiatra potrebbe aiutarlo nei suoi pensieri ossessivi compulsivi.
            ???
            Che pena poverello.

    • Che carino che sei, WF. Che commento profondo, intelligente e pragmatico. Per nulla sognatore e banale. Sono commosso dalla tua lungimiranza: “Si costruisce riprendendo le piazze”.
      Minchia…da brividi.
      Poi il bello è che ti commenti da solo. Sei un poveraccio

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  6. L’articolo va preso per quello che è: si parla di un modello del 1898 che, anche se corretto dal punto di vista teorico, deve essere applicato alla realtà attuale. Questo vuol dire che risulta ovvio come Milano non possa mai diventare una vera città-giardino, ma non significa che vada rasa al suolo, ma che si possono – anzi, si devono – pensare una serie di interventi e soluzioni per cercare di migliorare la sua situazione, così come quella di tutte le grandi città. In questa serie di idee e progetti che sono stati citati, Milano è senz’altro capofila e – a mio modesto parere – sta dimostrando che sul tema è sensibile, che gli interventi piacciano o meno. Solo il tempo ci dirà se effettivamente queste soluzioni saranno efficaci e daranno dei risultati – come è stato scritto nell’articolo – o se saranno solamente operazioni sporadiche per fare qualche numero piantando alberi.

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