Non siamo gli unici ad aver notato le incongruenze di piazza XXIV Maggio rinnovata.
Valerio M. Visintin che scrive per il Corriere della Sera, su ViviMilano nella rubrica Mangiare a Milano, si è preso la briga di esternare qualcosa che ha trovato assurda e che forse poche persone riescono a comprendere, la selva di semafori comparsa in piazza XXIV Maggio. Tra pali orrendi e semafori pare più un bosco tecnico che una bella piazza. Forse andrebbe un po’ rivista la situazione.
Di seguito riportiamo il gustoso articolo del 16 Aprile scorso:
Piazza XXIV Maggio: la foresta di semafori
All’Osteria della Stazione di via Popoli Uniti si mangia bene, spendendo il giusto.
Comincio così, con una notizia che spero possa esservi utile, per assolvere al mio compito istituzionale e passare a occuparmi, una tantum, di tutt’altro argomento.
Scusatemi. Si tratta comunque di una questione cittadina.
Mi riferisco alla piazza XXIV Maggio. È un morso di città che addento quasi ogni giorno, per recarmi nel torvo studiolo dal quale vi scrivo.
Capirete, dunque, il sollievo nel vederla stamattina ricondotta finalmente alla viabilità automobilistica, dopo un anno di cantieri.
La sorpresa è stata tale da indurmi ad accostare l’auto e dare un’occhiata intorno.
Bentornata, piazza XXIV Maggio.
Bella non è bella. Con quel vasto tappeto di asfalto e pietre. Serena non è, con quei casotti di mattoncini marroni, vagamente carcerari, che incapsulano mercato e pescheria. E tuttavia, non mi affliggo: è noto che per gli urbanisti milanesi l’estetica è un effetto collaterale. Un terno al Lotto col biglietto raccolto da terra.
Verde non è verde. Ma le piantumazioni sono ancora acerbe. Ci vorranno tempo e pazienza.
In compenso, salta agli occhi un rigoglio salgariano di semafori.
In vita mia, non ne ho mai visti tanti tutti assieme. È un bosco metropolitano di pali e lucette rosse verdi e gialle.
Abbagliato da tanta fertilità, arretro di un passo e con l’indice mi metto a contare quelli che vedo. Ma ce ne sono altri dietro alla monumentale porta napoleonica.
E allora? Monto in auto per guadare la piazza e completare il conto. Non l’avessi mai fatto. Mi si spalanca davanti al volante un dedalo di cerchi concentrici, rotonde e rotondine, frecce, divieti, gimcane. E di semafori.
Semafori e semafori. Non so quali per noi e quali per gli altri. Ma li guardo dal basso in alto con un certo timore.
Semafori e semafori, che sembrano essersi radunati per una surreale manifestazione di piazza.
Non so come e non so dopo quante infrazioni involontarie sbuco fortunosamente dal labirinto.
Riaccosto. Scendo. Riprendo il conto, ruotando l’indice in aria.
Un signore mi addocchia e scuote la testa con un mezzo ghigno. Ricambio lo sguardo, imbarazzato per il gesto puerile nel quale mi ha colto.
– No no. Guardi, sorrido perché li ho contati anch’io. Sa quanti sono in tutta la piazza? 58.
Stordito, ma orgoglioso, osservo il panorama. Dopo il bosco verticale, Milano ha l’onore di battezzare una nuova, geniale e ancor più ardita primogenitura: la foresta di semafori.