Milano | Baggio – Quale futuro per l’ex Istituto Marchiondi?

A Baggio, lontano dai riflettori di Porta Nuova, di CityLife e del Duomo, c’è un edificio ritenuto da molti studiosi come uno dei più importanti esempi al mondo di brutalismo, nota corrente architettonica novecentesca. Si tratta dell’ex Istituto Marchiondi.

L’istituto Marchiondi, successivamente Marchiondi Spagliardi, venne fondato nell’Ottocento, con la finalità di educare i ragazzi “difficili”, di fornire loro, e ai figli provenienti di famiglie disagiate, un minimo di formazione scolastica e professionale.

Tra i suoi allievi dell’epoca più famosi ci fu il pittore Giovanni Segantini.

L’edificio originario, a pianta esagonale, ricopriva una vasta area centrale in via Quadronno al 26, dietro piazza Cardinal Ferrari. Durante la Seconda Guerra Mondiale venne colpito duramente dai bombardamenti riducendolo in macerie. Dopo la guerra l’area venne riqualificata e destinata ad altri scopi, al suo posto oggi vi è il Giardino Oriana Fallaci e uno dei più bei palazzi di Milano (secondo noi), via Quadronno 24, progetto di Mangiarotti.

Così per l’istituto venne scelto un altro luogo perciò si trovò un lotto a Baggio.

Si deliberò, quindi, di realizzare una nuova sede per l’istituto, e la progettazione venne affidata al famoso architetto Vittoriano Viganò, allievo di Giò Ponti, il quale si stava dedicando allo studio dell’uso dei materiali poveri nonché ai rapporti tra spazi aperti e città, in modo da realizzare un’estetica anti elegante e “non finita” in contrapposizione alla cultura borghese.

Il nuovo istituto di educazione fu quindi trasferito a Baggio in via Noale nel 1957 assumendo la denominazione Marchiondi Spagliardi.

L’edificio consiste in un complesso caratterizzato dalla semplicità planimetrica, costituito dall’aggregazione di una serie di singoli edifici, il cui fulcro è un fabbricato ad uso convitto, di 4 piani fuori terra e un fabbricato monopiano: foresteria, aule, soggiorno collettivo, uffici, servizi, per una superficie pedonabile di oltre 10.000 mq (circa 12.000 mq di area pertinenziale). Definito edificio “neo- brutalista”, con cemento armato a vista, è considerato di primaria importanza nell’evoluzione dell’architettura moderna mondiale ed è frutto di una stretta collaborazione tra il progettista e gli educatori, in un atteggiamento sociale e pedagogico altamente avanzato, soprattutto per l’epoca. Non vennero previste sbarre nei reparti, ma spazi comunicanti e aperti idonei a favorire la socializzazione democratica degli ospiti. L’obiettivo era di costruire non una prigione, ma una “scuola di vita”. Il complesso è circondato da un muro basso che non da’ l’impressione di un luogo di reclusione.

Oramai da decenni l’ex Istituto Marchiondi è un edificio di cemento abbandonato alla periferia di Baggio.

La storia di questo complesso è paradossale. Un gioiello architettonico firmato da Vittoriano Viganò e considerato un capolavoro «brutalista», dove possiamo trovare persino un plastico del progetto esposto al Moma di New York. La struttura venne chiusa nel 1970 e da alcuni anni quegli edifici sono sottoposti a vincolo della Sovrintendenza ai beni architettonici.

Questo vincolo, però, invece di tutelare l’edificio, ne sta compromettendo il futuro, lasciandolo nel totale degrado e abbandono già da molti anni. L’abbandono, oltre a rendere la struttura deteriorata e decadente, spesso è stata luogo di rifugio per senzatetto, portando degrado anche al circondario.

Marco Bestetti, presidente del Municipio 7 nei giorni scorsi ha fatto un sopralluogo per verificare le pessime condizioni della struttura e per chiedere al Comune di murare i varchi aperti lungo il suo perimetro, per evitare future occupazioni.
Il presidente chiede comunque che sia fatto qualcosa in più. Come chiedere alla Sovrintendenza di rimuovere il suo vincolo monumentale per consentire finalmente la riqualificazione dell’area, che il quartiere aspetta da troppo tempo.

Nel 2014 il Politecnico realizzò un progetto per il recupero del complesso edilizio, trasformandolo in residenza per gli studenti universitari del Politecnico. Ma a quanto pare il Politecnico ha dovuto rinunciare ufficialmente al progetto di riqualificazione del Marchiondi per i costi insostenibili dovuti a tutti i cavilli burocratici da affrontare.

Nel 2009, il Comune aveva firmato la convenzione che assegna la struttura in uso gratuito per 30 anni al Politecnico, a fronte di una ristrutturazione e trasformazione.

Dopo un iniziale entusiasmo, i tecnici dovettero ammettere che l’operazione non era più sostenibile dal punto di vista ambientale (zone inquinate e contaminate), tecnico (i vincoli imposti dalla Sovrintendenza sono troppo stringenti), economico-finanziario (un luogo non adatto e difficile da raggiungere per una residenza per studenti e un’errata stima iniziale sul modello di gestione). Il risultato di tutte queste considerazioni ha portato alla rinuncia del Politecnico a dare un futuro all’ex istituto Marchiondi.

Un peccato, perché forse sarebbe stata un’ottima occasione per il suo recupero.

Di seguito il progetto del Dip. di Progettazione dell’Architettura

Prof. Arch. Massimo Fortis

Per l'utilizzo delle immagini scrivere a info@dodecaedrourbano.com

7 commenti su “Milano | Baggio – Quale futuro per l’ex Istituto Marchiondi?”

  1. Segnalo il sito di questa organizzazione che si prefigge di salvaguardare edifici notevoli del brutalismo:
    http://www.sosbrutalism.org/
    Ovviamente il Marchiondi è tra quelli più importanti da salvare.

    A volte mi chiedo se il vincolo si veramente un bene. Lo sarebbe se lo stato si occupasse anche di fornire le risorse per conservare il bene vincolato, non solo in forma di contributo finanziario al proprietario, ma anche con altre forme tipo la totale esenzione e,detraibilità filscale dei lavori eseguiti allo scopo di conservare io bene.

    Vi immaginate il QT8 vincolato con tutti gli abitanti nell’impossibilità di conservare gli immobili vissuti da 70 anni, magari dovendoli portare allo stato di origine? Fossero tutti ricchi… ma ricchi sul serio…

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  2. come suo solito Viganò dimostrò anche qui una progettazione per uno scopo immaginato e non reale. ovvero, la percezione dello spazio da parte dei suoi fruitori non fu presa in considerazione dall’architetto quale dato di fatto, sia pure statistico, ma teorizzata a priori dal progettista sulla base del solo proprio filtro personale (bias), ovvero della proiezione di se stesso nel prossimo.

    E infatti, la decantata apertura dell’edificio si risolve in una angosciante alternanza di finestre ed elementi in calcestruzzo nudo propri del brutalismo, una successione di “lame”, di ombre, di angoli ciechi ed inaccessibili.

    E infatti il vincolo ha lasciato in piedi uno scheletro vuoto, che svolse male la sua funzione quando la svolgeva e non è più in grado di svolgerne un’altra se non a prezzo di una costosissima ristrutturazione. L’edificio è diventato un triste monumento di se stesso, al pari dell’edificio di architettura di via Ampere (in cui Viganò “immaginò” un open space al posto delle aule che si rivelò immediatamente impossibile, imponendo la riprogettazione dell’interno) o dell’isola pedonale di corso Sempione (in cui Viganò “immaginò” la trasformazione della piazza in teatro con tanto di gradinate la cui unica funzione rimasta è essere di impiccio per chi dall’Arco della Pace vuole raggiungere il Parco).

    demoliamolo e dimentichiamo, sono ricordi di un modo triste di fare architettura.

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    • E’ in parte vero, come però è anche vero che l’Istituto Marchiondi era alla fin fine un riformatorio, ossia un luogo che a quei tempi aveva generalmente le sbarre alle finestre e non certo gli spazi interni che si vedono nelle foto.

      In ogni caso, il tuo commento mi ha fatto venire in mente il giudizio sulla Maison Jaoul di Le Corbusier (contemporanea) espresso da Marie Jaoul, una ragazzina che ebbe la “fortuna” di viverci dentro fino a 19 anni.

      https://www.unich.it/progettistisidiventa/TRADUZIONI/Jaoul-INFANZIA-NELLA-MAISON-JAOUL.pdf

      Nell’amarezza delle sue frasi finali forse si legge un giudizio su un certo modo di fare architettura che non ci appartiene più.

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      • La domanda che sta alla base della mia riflessione è la seguente:

        è meglio, per lo scopo per cui esiste questo edificio, cioè la rieducazione dei giovani, e dunque uno scopo eminentemente rivolto alla psicologia degli stessi – di cui due delle chiavi fondamentali sono la percezione e l’emotività – avere le sbarre alle finestre in un riformatorio, cioè essere resi costantemente coscienti della propria limitazione di libertà attraverso un segno fisico importante, o avere un edificio in cui si arriva a rendersi conto col tempo la libertà è una illusione “interna” immaginata dal progettista e dagli educatori, e le limitazioni ci sono ma sono “dissimulate”?

        Oggi noi possiamo rispondere a questa domanda, ex-post chiaramente, e si potrebbe dire che è facile (relativamente) dare risposte ex-post.

        Ma proprio qui sta quello che dovrebbe essere il “plus” dell’architetto, ovvero essere in grado di prevedere ragionevolmente le conseguenze delle proprie azioni progettuali prima di intraprenderle, nonché di distinguere in qual misura egli possa realmente ed efficacemente intervenire sull’ambiente umano su cui agisce.

        “plus” che Viganò non aveva.

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  3. Vanno aggiunte alcune altre considerazioni sul Marchiondi, con il prolungamento della M1 da via Bisceglie, al Quartiere Olmi, ci saranno ben 2 fermate della metropolitana quasi attaccate alla struttura: Baggio-Via Bagarotti (davanti a Via Castrovillari-Noale), e Quartiere Olmi proprio appena dopo il ponte ciclo-pedonale di via Mosca.
    Se il progetto della M1 avanzerà tra pochi anni (probabilmente nel 2026), il Marchiondi sarà perfettamente raggiungibile con la rete della Metropolitana.
    In effetti questo potrebbe anche causare evidenti interessi speculativi sull’area attualmente abbandonata dal lontano 1985, e molto degradata.
    Si tratta quindi di capire come recuperarla, e per quale scopo sociale o di aggregazione del quartiere, evitando beninteso l’ennesimo e assolutamente inutile Centro Commerciale.
    In proposito tre anni fà l’allora candidato Sindaco di Milano Giuseppe Sala, aveva dichiarato nella sua prima uscita al Parco delle Cave, che a Baggio proponeva tre interventi: 1 Sistemazione vasca Parco Cave in Via Cancano; 2 Sistemazione di Via Cusago; 3 Marchiondi da Recuperare.
    Al momento pare che solo il primo intervento sia in corso di definizione, mentre per gli altri due non ci sono ulteriori notizie, e questo è veramente negativo.
    Probabilmente si dovrebbe mettere in piedi un tavolo tra vari soggetti per decidere il “Che Fare” del Marchiondi, ovvero se Restaurarlo (con un progetto di utilizzo sociale dietro anche tenendo conto del futuro arrivo della M1); o se rimossi i vincoli (sempre se possibile), realizzare altro abbattendolo (al limite un Parco attrezzato), ma stando attenti a non spalancare le porte agli affamati speculatori, mettendo precisi paletti all’operazione.
    Certo che gli abitanti del quartiere Baggio assistono a questa stucchevole telenovelas dal lontano 1985, e la fine positiva non si vede.
    Se poi tra qualche settimana ci saranno anche le Elezioni Europee si potrebbe pure pensare maliziosamente che qualche politicante furbacchione tira fuori la vicenda tanto per dire “Noi Adesso Faremo Questo e Quello”.
    Nel frattempo nel rudere del Marchiondi, le erbacce crescono e quello che resta continua a cadere inesorabilmente a pezzi, mentre i Politicanti chiaccherano in maniera assolutamente inconcludente ma guarda caso in certi momenti, e con certi appuntamenti elettorali!
    Cambierà finalmente un giorno la musica, e sarà costruito un nuovo futuro per il Marchiondi?
    Cosa dice il Sindaco delle Periferie, o dei quartieri di questa penosa vicenda che aveva aperto la sua campagna elettorale?

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  4. Forse il previsto prolungamento della M1, la cui fermata di Baggio sarà molto vicina al Marchiondi, potrebbe essere un elemento a favore di possibili investimenti di riqualificazione dell’ edificio

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  5. Qualcvuno sbaglia molto quando racconta che il Marchindi di via Quadronno fosse come una prigione con sbarre alle finestre e cosi via.
    Io sono stato ospite dell’Istituto dal 1953 fino al 1957.La finalita’ iniziale era
    quello di un centro correzzionale,ma dopo la guerra era piu’ un Orfanatrofio che Istituto di correzzione.Se sia stato bombardato non lo so’,nel 1953 di macerie o simili,neanche l’ombra.Dal ’54 fino al ’57 l’Istituto fu`trsferito a Cesenatico sul lungomare,anche li’ die sbarre neanche l’ombra.
    So’ per certo,da miei compagni trasferiti a Baggio che l’Istituto fu’ citato da diversi giornali come Istituto modello,percio’….Ciao

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