Milano | Porta Vercellina – Il Borgo delle Oche, tra il carcere e le Grazie

Il Borgo delle Oche, oggi praticamente scomparso e dimenticato, si trovava nell’estrema parte occidentale dell’attuale via San Vittore, a ridosso degli antichi bastioni.

L’area è oggi identificabile nelle vie: Matteo Bandello, Via Morozzo della Rocca, Bernardino Zenale e via San Vittore.

Sino a oltre la metà dell’Ottocento, questa zona era ancora coltivata a campi e poco urbanizzata, sino al

La zona a ridosso delle mura di Porta Vercellina, che comprende corso Magenta e via San Vittore, rimasta coltivata a orti e poco urbanizzata sino a metà Ottocento, lentamente cambierà aspetto dopo l’unità d’Italia. Qui inizieranno a prender forma nuovi edifici residenziali, industriali e pubblici, come la costruzione del Nuovo Carcere detto di San Vittore, iniziata nel maggio del 1872, mentre viene inaugurato il 24 giugno del 1879 durante il Regno d’Italia da Umberto I.

Una delibera del 13 settembre 1865 confermava il toponimo di via delle Ochette all’odierna via Matteo Bandello. In antico la via prendeva il nome di Strada ai Cappuccini di Porta Vercellina nella parte meridionale e quindi vicolo delle Ochette nella parte settentrionale (verso l’attuale Corso Magenta). Mentre la via all’epoca denominata Borgo delle Oche corrisponde all’odierna via Zenale.

Perché questo appellativo alquanto bizzarro, Borgo delle Oche e Ochette? Il nome le veniva dall’appellativo popolare dato, per la foggia dell’abito delle monache che qui avevano un convento. Erano probabilmente le Orsoline del convento di S. Lucia in Porta Vercellina, soppresso nel 1770. La dedica della via a Matteo Bandello è successiva al 1902.

Ma chi era Matteo Bandello? Ecclesiastico e letterato (Castelnuovo Scrivia, Alessandria, 1485 – Bazens, Francia, 1561), da molti venne considerato il Boccaccio lombardo, studiò a Milano. Da alcuni studiosi è considerato il più importante novelliere del Rinascimento. Ai suoi classici della novellistica italiana si sono variamente ispirati autori come Lope de Vega, Shakespeare, Painter, Stendhal.

In via Bandello noteremo, partendo dal fondo, una cortina di edifici in mattoni e decorazioni in cotto che piega poi verso via San Vittore. Il lato dei numeri pari costituisce un unicum di cittadella industriale di fine Ottocento praticamente intatto: sono le “Case Candiani”, cioè il palazzo padronale, le abitazioni operaie e le (scomparse) fornaci della Carlo Candiani e C., stabilitesi qui a partire dal 1868, l’azienda che ha prodotto, fra le altre, le terrecotte e le statue del Museo di Storia Naturale di Milano inaugurato nel 1892. Purtroppo alcuni di questi palazzi sono praticamente in rovina.

Il palazzo posto all’angolo con via Vico, sorse nel tardo ottocento per opera dell’architetto Luigi Broggi, che si ispirò alle Cucine Economiche da lui stesso progettate nel 1882. Lo stabile è diviso in tre parti: alla parte padronale al numero 20 si associa l’ingresso principale ad angolo, dove il portale è sormontato da un balcone che si estende lungo tutto il perimetro della casa, il tutto decorato in cotto con tanto di lesene, finestre bifore, fregi e grottesche. Sono proprio i ricchissimi dettagli della decorazione in cotto, come i capitelli delle lesene o le decorazioni delle cornici delle finestre bifore a rendere caratteristica la palazzina. L’abbondante utilizzo di decorazioni in cotto fungeva da “vetrina” per i prodotti dell’attività della famiglia Candiani.

Di fronte all’angolo con via San Vittore 45, si trova un elegante palazzo residenziale progettato nel 1963 da Giacinto Baldizzone.

In questo tratto finale di via San Vittore, la variante al piano regolatore tracciato a partire dal 1934 da Cesare Albertini, vide tracciare nuove strade e nuove lottizzazioni per una nuova borghesia milanese stava sfruttando per le proprie nuove residenze.

Qui si trovava, lungo la via san Vittore, nel tratto compreso tra le vie Bandello Zenale, corrispondente all’odierno numero 32, il convento delle “Ochette” eretto nel 1626.

Il convento accoglieva dodici zitelle e due inservienti, le quali seguivano le regole di S. Francesco, e attendevano ad allevare nobili fanciulle nella pietà cristiana e nei buoni costumi.

Dopo il 1636 nel convento, su disegno di Carlo Buzzi (già architetto della fabbrica del Duomo), fu eretta una chiesa pubblica, S. Maria di Loreto, ad una sola navata, con tre cappelle e la cui pala dell’altare maggiore rappresentava la Vergine di Loreto con S. Chiara e il Card. Federico Borromeo. Il monastero fu soppresso durante il periodo napoleonico; rimase tuttavia il conservatorio, destinato però alle orfanelle, ma esse pure nel 1841 passarono all’Orfanotrofio della Stella (le Stelline). Il monastero fu acquistato dai Fatebenefratelli di Porta Nuova, ai quali passò, quindi, anche la chiesa di S. Maria di Loreto.

I frati l’8 ottobre 1847 iniziarono la ricostruzione del vecchio edificio, con architettura più nobile e monumentale. L’incarico fu affidato all’architetto Moraglia, il quale disegnò una solenne costruzione neoclassica, secondo il gusto del tempo. La costruzione fu compiuta nel 1860 e il 6 agosto veniva benedetta la nuova chiesa. Il complesso era preceduto da un’imponente propileo formato da 14 grandiose colonne monolitiche di granito, senza base e con capitelli dorici. L’alta trabeazione è conchiusa da due timpani triangolari corrispondenti agli ingressi di chiesa (a destra) e ospedale.

Sia la chiesa di santa Maria di Loreto che l’attiguo Ospedale vennero abbattuti quando il nuovo piano regolatore sancì l’apertura, tra le vie Bandello e Zenale, di un’ulteriore viuzza: la Morozzo della Rocca, finalizzata a meglio lottizzare ulteriormente i terreni. Al loro posto saranno costruiti nuovi condomini.

Anche se non mancano edifici più classici e liberty come in via Zenale.

Poco oltre, sempre in via San Vittore al civico 40 si trova un gioiellino architettonico del 1927 progettato dal grande Gio Ponti assieme all’inseparabile Emilio Lancia.

Si tratta di Casa Borletti, un esempio di moderna costruite realizzata per la nuova borghesia imprenditoriale cittadina, che suscitò da subito l’attenzione del mondo dell’architettura. E’ caratterizzata dal coronamento a obelischi, anche se il progettista Giò Ponti qui sperimenta una sobrietà formale fatta di linee semplici ed elementari, di figure geometriche e moduli ripetitivi che si alternano in facciata riuscendo, nel loro ripetersi ritmico, a dare un’idea di austerità formale alleggerita dalla essenzialità delle geometrie. Con la nuova “casa all’italiana” è possibile rintracciare una impegnativa ricerca di novità formali: gli equilibri fra i vuoti e i pieni con l’alternarsi di finestre e nicchie, geometrici elementi decorativi in facciata; le colonne dell’atrio sormontate da urne marmoree, un po’ dovunque memorie di sapore egiziano e proto-futuriste, con un alto livello estetico e materico.

Concludiamo il nostro viaggio nel “Borgo delle Oche” con l’altro pezzo d’architettura della zona, Casa e Studio Portaluppi in via Morozzo della Rocca 5.

La casa progettata da Piero Portaluppi, costruita in cortina, presenta un’unica facciata pubblica che, nella prima versione del progetto, era risolta da una severa griglia cartesiana. La superficie, priva di aggetti e rivestita da una pelle uniforme di lastre in pietra, era infatti compartita in settori quadrati regolari, entro i quali si inscrivevano sia le bucature, sia i campi opachi.

Fonte: Le Strade di Milano, Newton Peridici 1991; Le Chiese di Milano, Ponzoni 1929; Ordine degli Architetti; Lombardia Beni Culturali; Il Tesoro dei Poveri, Silvana Periodici 2001; Piero Portaluppi, Skira edizioni; Case Milanesi 1923-1973 Hoepli; Gio Ponti e Milano Quodlibet

Per l'utilizzo delle immagini scrivere a info@dodecaedrourbano.com

3 commenti su “Milano | Porta Vercellina – Il Borgo delle Oche, tra il carcere e le Grazie”

  1. Grazie ,abito in via m.della rocca da esattamente 60 anni,prima al 5 e poi al 10 ed ho apprezzato particolarmente dettagli delle vie che ho percorso durante tutta la mia vita. Amo la mia città e conoscere la sua storia attraverso edifici toponimi e cronache antiche. Tenere viva la memoria del passato è un modo per partecipare all’eternità.

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