Milano | Cordusio – San Tomaso in Terramara, il sepolto vivo e l’impronta di Gesù

A Milano, nella centralissima via Broletto, a due passi dal Cordusio, si trova una graziosa chiesa annunciata da un bel pronao che ricorda i più classici templi romani, sorretto da 8 granitiche colonne. E’ sormontato da un tipico timpano triangolare (a dire il vero un po’ ricoperto dal classico color ruggine dovuto allo sfregamento del passare dei vicini tram nella via). Si tratta della chiesa dedicata a San Tomaso in Terramara o Terramala.

Più che per le architetture, questa chiesa è nota soprattutto per una lugubre leggenda e l’impronta del piede di Gesù Cristo.

Diversi appellativi toccarono a questa antica chiesa: San Tome, San Tomaso ad Crucem, San Tomaso in terra Mala o Amara e per finire San Tomaso in Terramara. Fra le interpretazioni di questa denominazione vi è anche quella per cui un tale nome sarebbe stato proferito da Sant’Ambrogio, a causa dell’abbondante numero di Ariani che allora abitavano in queste adiacenze.

Altri la credono derivata dal fatto che, nel 1300, a causa della sua avarizia, il parroco della chiesa si rifiutò di celebrare il funerale di una povera famiglia per un loro caro, che non poteva permettersi di pagarlo. Il caso volle che il Duca della città Giovanni Maria Visconti, passando a cavallo presso la chiesa, scorse la povera vedova in lacrime. Venuto a conoscenza dell’accaduto pagò egli stesso il funerale e ingaggiò l’avaro prete meditando vendetta. Così quando la bara fu calata nella fossa, il Visconti ordinò al prete di entrare nella cassa insieme al morto. L’uomo di chiesa cercò aiuto nella folla, ma, conoscendo la sua pessima condotta, nessuno corse in suo aiuto. Fu così sepolto vivo mentre urlava “Oh terra mala!” e da allora quel luogo venne battezzato col nome di “terra amara”.

Ad altri sembra infine più verosimile che l’appellativo dipenda dal fatto che “in Terra Mala o Amara” avrebbe tratto origine da un nucleo di clero e fedeli immigrato in città forse per sfuggire alle invasioni ungare o saracene del X secolo e che avrebbe mantenuto il nome della località d’origine – Terramara, appunto.

Semplice leggenda? Verità? Per scoprirlo bisognerebbe esplorare le fondamenta dell’edificio sacro e chissà che, prima o poi, il mistero non venga svelato.

Memorie di una chiesa di San Tomaso si hanno fin dal principio dell’XI secolo, ma non si sa se queste siano da attribuirsi all’altro San Tomaso in Arce Sicariorum (poco discosta dall’attuale), oppure alla nostra.

La chiesa che possiamo ammirare oggi non ha più nulla di antico. Nel 1574, Carlo Borromeo elevò la chiesa a collegiata, riunendovi i canonicati di pievi periferiche soppresse o riorganizzate (Brebbia, Monate). Ne seguì un programma di ridefinizione architettonica che risulta in corso attorno al 1580. Scopo delle opere era quello di ribaltare l’ingresso verso la strada pubblica (in origine la facciata sera a Ovest in un angusto vicolo, dove oggi si trova l’altare maggiore), in ciò assecondando le disposizioni del cardinale per rendere gli spazi ecclesiastici più accessibili ai fedeli. Tuttavia si scelse di mantenere l’antico orientamento a est, pur nell’ambito del nuovo respiro tardo cinquecentesco conferito alla fabbrica. Giuseppe Mongeri, ispezionando porzioni della facciata (oggi sopravvissuta solo in parte per il ribaltamento della costruzione, effettivamente eseguito decenni avanti), ossia “avanzo di porta coi pilastri a capitelli ionici” (Ponzoni), ne attribuì il disegno a Vincenzo Seregni, seppur in contrasto con le più antiche fonti (Borsieri, cit. in Mezzanotte) che individuavano l’autore in Giuseppe Meda, secondo la lezione oggi prevalente.

A partire dal 1602 il progetto fu ripreso e portato in qualche modo a completamento. È, invece, poco chiaro quando si giunse all’orientamento attuale, con ingresso da via Broletto, forse già nel XVII sec. (Mezzanotte: “nel Seicento si discusse per mutar posto alla facciata”), forse nel corso del secolo successivo. 

Ultimo grande intervento alla chiesa avvenne nel 1827 per opera dell’ingegnere Giuseppe Arganini, il quale diede alla chiesa l’aspetto esteriore di tempio pagano.

La facciata principale, costruita in pietra calcarea, è formata da un pronao esastilo con capitelli ionici che sorreggono una trabeazione con fregio (iscrizione “Divo Thomae Apostolo”) e grande timpano. Sopra al pronao si apre una grande lunetta vetrata. La facciata è conclusa da un frontone centrato da un orologio scolpito e disegnato. Il pronao è rialzato di quattro gradini rispetto il livello del marciapiede. L’ingresso avviene da tre porte lignee con portale in granito.

Sul fianco sinistro della chiesa, dopo la navata centrale, s’innalza il piccolo campanile.

L’interno si presenta a navata unica voltata a botte, terminante con abside semicircolare affiancata, ai lati, da due ambienti accessibili dal presbiterio: a destra la sagrestia, a sinistra il campanile.

La chiesa è suddivisa in cinque campate: solo le tre centrali introducono alle cappelle laterali, le restanti si presentano come grandi nicchioni per ospitare i confessionali.

Le cappelle laterali, voltate a botte, sono rialzate di un gradino sopra la navata e sono chiuse da balaustre in marmo. partendo dall’entrata, dal lato sinistro, sono dedicate: al Crocifisso; a san Carlo; alle Sacre Reliquie (già cappella di S. Martino; poi del Sacro Cuore, cfr. Ponzoni); a destra: alla Madonna (con “simulacro appartenente alla soppressa chiesa di S. Nazaro in Pietrasanta [da] S. Carlo regalata al cessare della peste”; Ponzoni); a san Giovanni Battista (già a sant’Antonio); alla Madonna del rosario.

La navata è scandita da larghe lesene ioniche sopra alle quali corre una trabeazione con fregio decorato, che percorre tutto il perimetro della chiesa e dalla quale spicca la volta a botte. Il soffitto della navata è affrescato e, in corrispondenza delle prime e terze cappelle laterali, illuminato da due grandi finestroni rettangolari. Purtroppo la volta, come si può notare, avrebbe bisogno di un bel restauro.

La zona presbiteriale è innalzata di tre gradini ed è chiusa da una balaustra in marmo. Nel presbiterio, sopra ulteriori due gradini, svetta l’altare tridentino in marmo, realizzato da Giuseppe Zanoia. Al centro un tempietto circolare fa da cornice ad una statua mariana lignea di antica fattura (1300?).

Ai lati dell’altare maggiore, due lunette affrescate sono attribuite a Aurelio Luini.

L’abside, con pareti intervallate da lesene ioniche, è illuminata da cinque finestre ed è occupata da un coro ligneo.

All’interno della chiesa si trovano anche un antico affresco dedicato che dovrebbe rappresentare Sant’Anna e una giovane Madonna con il Bambin Gesù, opera medievale (probabilmente residuo della primitiva chiesa).

La seconda scultura interessante è la statua della Vergine. Questa statua, con tutta la teca lignea che la conteneva, fu portata in questa chiesa con una solenne processione il 15 dicembre 1887 dalla vicinissima chiesetta di San Nazaro in Pietrasanta. Per qualche anno venne collocata sull’altar maggiore, mentre, dall’inizio del 1900, fu sistemata in via definitiva nella prima cappella a destra, entrando in chiesa. La corona che si vede in capo alla Vergine le fu posata da San Carlo Borromeo in persona. 

Purtroppo la preziosa statua diversi anni fa venne profanata e il Bambino Gesù con le braccine tese ai piedi della Madonna che si vede nella prima foto qui di seguito, venne rubato e mai più ritrovato, lasciando la madonna a contemplare la nuvola vuota.

Sempre nella stessa cappella è visibile a muro, in basso, alla sinistra dell’altare una lastra di marmo particolare. Si tratta dell’impronta del piede di Gesù Cristo (vestigium pedis), scolpita su una lapide in marmo.

Collocata nel 1597 dall’arcivescovo di Milano Federico Borromeo, nipote di Carlo, l’orma si rifà ad un’antica tradizione (vestigium pedis), oggi per lo più sconosciuta.

In Italia, a parte questa, ce n’è solo un altra, a Roma, presso la chiesetta di Santa Maria in Palmis (Quo Vadis), sull’Appia antica. (La tradizione narra che san Pietro, fuggendo dalla persecuzione di Nerone, abbia avuto in quel punto la visione di Cristo il quale gli abbia chiesto Quo Vadis? Domanda questa, che san Pietro interpretò come invito a tornare indietro, per farsi martirizzare).
Altrove, in giro per il mondo, si possono trovare altre impronte simili, celebre ad esempio è quella di Gerusalemmel’edicola dell’Ascensione. (Quella pietra è motivo di speciale adorazione da parte dei cristiani poiché rappresenterebbe l’ultimo punto sulla terra nel quale pose piede il Verbo incarnato, prima di ascendere al cielo).

Per finire, il pavimento della chiesa è in marmo grigio e marmo rosso di Verona. Nella parte centrale della navata un mosaico a pavimento la percorre longitudinalmente fino ai piedi del presbiterio. 

Ultima curiosità è la bizzarra presenza di un “ponticello” che unisce l’ex palazzo della canonica con la parte superiore dell’abside. Potrebbe essere un probabile accesso secondario per i sacerdoti alla chiesa? Purtroppo dagli anni Sessanta troneggia ingombrante, un nuovo palazzo, oggi hotel.

Come dicevamo, la chiesa necessita di un bel restauro, non solo nelle decorazioni e negli affreschi del soffitto a botte, ma anche nelle pareti laterali, come si vede dalla foto qui di seguito.

E poi ci piacerebbe venisse un po’ più rispettata, senza scarabocchi e sopratutto senza moto e bici parcheggiate davanti.

Referenze fotografiche: Roberto arsuffi; Tommolo; Andrea Cherchi; Milano Divina

Fonti: “Le Chiese di Milano”, Ponzoni 1929; “Le Chiese di Milano”, Electa 2006; Lombardia Beni Culturali; StoriadiMilano .it

Centro Storico, Chiesa, Via Broletto, Cordusio, Via Dante, San Tomaso in Terramara

Per l'utilizzo delle immagini scrivere a info@dodecaedrourbano.com

1 commento su “Milano | Cordusio – San Tomaso in Terramara, il sepolto vivo e l’impronta di Gesù”

  1. Un’altra impronta più celebre a milano si trova in un confessionale posto nella chiesa di sant Alessandro nella piazza omonima. Per quanto abbia visitato la chiesa dallw facciata neoclassica di San Tommaso , non mi ero mai accorto di quest’altra orma.

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