Se osserverete una qualsiasi mappa di Milano, noterete una strana composizione urbanistica composta da tre vie disposte in diagonale nella regolare ortogonalità formata dalle vie tracciate sul finire dell’Ottocento nell’area di Porta Vittoria.
Le vie che si intersecano diagonalmente anziché ad angolo retto sono: via Marcona, via Archimede e via Sottocorno (compresa anche la breve via Lincoln.
Il perché di questa anomalia nel disegno urbanistico di quest’area è presto detto, si tratta del “fantasma” di una stazione ferroviaria soppressa. Infatti in questo luogo nel 1846 venne attestata la seconda stazione di Milano (la prima stazione fu quella di Porta Nuova, capolinea della linea Milano-Monza, entrata in servizio nel 1840).
L’ingegnere veneziano Giovanni Milani venne incaricato di progettare una stazione bella e funzionale ma si dovette scontrare con mille difficoltà come succede ancora oggi. Tra le molte difficoltà vi fu anche l’idea di portare la stazione più prossima al Duomo, vicina al Verziere. Ma alla fine per convenienza venne scelta l’area fuori dalle mura spagnole.
Il disegno per la stazione di Porta Tosa, mai realizzato La proposta per una stazione sino al Verziere
La Stazione Ferdinandea a Porta Tosa (oggi porta Vittoria), sorta in fondo al Borgo della Stella (oggi via Corridoni, che all’epoca prendeva il nome da una chiesetta intitolata a Santa Maria della Stella), che collegava la città con Venezia e fu anche palcoscenico di feroci scontri durante le Cinque Giornate di Milano.
Al contrario della prima stazione per Monza, che ancora possiamo ammirare in viale Monte Grappa (Hotel NH palazzo Moscova) a Porta Nuova, questa di Porta Tosa era formata da miseri fabbricati oggi scomparsi.
Infatti le vicissitudini economiche della società ferroviaria furono complesse e negative e, per poter dare inizio a un servizio essenziale fra Milano e Treviglio, anziché impegnarsi nella costruzione del monumentale complesso progettato dal Milani, si dovette ripiegare su un più modesto edificio mancante perfino di quei minimi servizi per i viaggiatori quali biglietteria, sala d’attesa e servizi igienici.
Tanto squallida doveva apparire da far scrivere ad un cronista dell’epoca: “Brutta e meschina questa stazione, costruita in un regime di lesina stringata”. La parte più graziosa era costituita dal padiglione in legno del caffè gestito dal Gnocchi che sopravvisse lunghi anni alla costruzione principale; perché la stazione Ferdinandea […] quando il 1 ottobre 1857 la linea ferroviaria di Venezia fu portata a compimento, era già condannata a sparire”.
Della mancanza di un vero fabbricato che fungesse da stazione vera e propria ne approfittò un lungimirante caffettiere milanese di nome Baldassare Gnocchi, già proprietario di un caffè nella Galleria de Cristoforis in San Babila. Qui, a sue spese edificò un grazioso edificio, somigliante un piccolo castello, proprio accanto all’ingresso della stazione. Il Gnocchi divenne il primo dei tanti caffè ferroviari che di lì a poco sorgeranno, assumendo in questo caso il ruolo di sala d’attesa, biglietteria e toilettes. Purtroppo, il 22 Marzo 1848, il caffè venne dato alle fiamme dai soldati croati con all’interno il corpo esanime del povero gestore d’allora, Leopoldo Parma. Comunque, quaranta giorni dopo l’incendio il caffè venne ripristinato.
Proprio dalla stazione di Porta Tosa, nel 1858, quasi per ironia, il feretro del Maresciallo Radetzky lasciò Milano.
La stazione i Porta Tosa ad un certo punto della sua storia parve destinata a diventare la prima Stazione Centrale di Milano, ma alla fine non se ne fece nulla, anche perché la nuova stazione venne inaugurata nel 1864 in piazza Fiume, l’odierna piazza della Repubblica.
Così lentamente la stazione di Porta Tosa perse importanza e se ne decise la dismissione definitiva nel 1876. L’intera area venne lottizzata e i binari rimasi sino al “bivio dell’Acquabella” (piazzale Susa) vennero completamente rimossi lasciando però l’orientamento delle vie che seguivano ancora la direttrice ferroviaria.
Al centro della lottizzazione, dove si trovava la stazione, venne lasciato un piccolo quadrilatero tagliato dalla via Lincoln, dove vennero erette eleganti villette, come quartiere per i ferrovieri.
Il quartiere Lincoln è costituito da una serie di casette unifamiliari a due piani, costruite nel 1886 appunto per i ferrovieri, e dotate di un piccolo giardinetto coltivabile. Si snodano ai due lati della breve via ancora acciottolata con la tradizionale rizzada, per concludersi in una piazzetta un tempo ombrosa e oggi utilizzata come brutto parcheggio (almeno venissero piantati degli alberi).
L’iniziativa era stata promossa dalla Società Edificatrice di Abitazioni operaie, fondata nel 1878 con lo scopo di edificare case per una élite operaia da cedere a riscatto. I circa 118 alloggi che costituiscono il “villaggio” rappresentano tuttavia la drastica riduzione di un progetto molto più ambizioso elaborato dagli ingegneri Ceruti, Mazzocchi e Poggi, che avrebbe dovuto configurare la zona di Porta Vittoria come una vera e propria ‘‘città operaia’’ ai margini della città, composta da 307 abitazioni unifamiliari, e 31 edifici ad appartamenti in affitto per un totale di 3.500 abitanti. Abbandonato il progetto per mancanza di fondi, la Società procedeva quindi alla realizzazione del ‘‘villaggio’’che oggi costituisce una sorta di ‘‘oasi’’ tra gli edifici circostanti.
Volevamo sottolineare anche la particolarità della vicina via Sottocorno (Pasquale Sottocorno, fu eroe popolare nella rivolta delle 5 giornate del 1948), la quale lentamente si sta popolando di locali e ristoranti molto graziosi. Via per giunta, abbastanza graziosa composta da edifici della fine dell’Ottocento e pochi esempi moderni.
Leggo sempre con grande piacere i Suoi articoli, che sono sempre puntuali, precisi ed allo stesso tempo avvincenti. Grazie per il servizio che rende alla comunità, che vede ogni giorno Milano con occhi diversi grazie al Suo sguardo vigile.
Che non sia giunto il momento, per Via Sottocorno, di togliere ALMENO una delle due file di autovetture posteggiate?