A Porta Romana, a lato di Corso Lodi si trova tra le vie Salmini e Verona un vecchio edificio degli anni Trenta che presto lascerà il posto a una nuova costruzione residenziale.
Nel 2014 l’azienda dei trasporti milanese ha messo in vendita alcuni immobili per fare cassa e poter acquistare nuovi mezzi.
Ringraziamo per le informazioni: Tullio Terna Vincenti
La rimessa detta di via Salmini, probabilmente a motivo della posizione iniziale del suo ingresso o semplicemente perché raggiungibile da questa strada, era stata di proprietà della Soc. An. Compagnia Autobus di Milano (C.A.M.), del gruppo FIAT, che aveva avuto in gestione dal Comune le prime linee di autobus a Milano a partire dal 1925 e per circa un decennio.
L’1 gennaio 1934 il Comune assume in proprio la gestione delle linee autobus urbane creando il Servizio Automobilistico Comunale (S.A.C.) e il 1 marzo l’affida all’A.T.M., che continua a servirsi di Salmini per il rimessaggio e la manutenzione di veicoli con motore a scoppio.
Con l’avvento dell’autarchia seguita alle sanzioni, dal ’35-36 il deposito viene utilizzato anche per la trasformazione a gasogeno di autobus preesistenti e – come avviene al deposito di viale Campania – per immagazzinare l’enorme quantità di legna che serve per i bruciatori, curando anche il ricovero e l’alimentazione dei mezzi a gasogeno ai capilinea.
Nel frattempo, con la crescita della rete filoviaria e quindi del numero di veicoli elettrici, ormai abbandonato il garage di via Cusio, il vecchio deposito di viale Brianza – già rimessa dei tram a cavalli della S.A.O. – si dimostra sempre più insufficiente.
Da fine giugno 1939 la CE, Circolare Esterna antenata della 90/91, ma che al momento copre solo i lati Nord ed Est della città, da viale Molise viene estesa a piazzale Lodi. È quindi risultato comodo da qui prolungare il bifilare lungo il corso Lodi fino al deposito Salmini, dove può così esservi rimessato almeno temporaneamente un certo numero di filobus.
Solo nel 1942-43 si potrà dare adeguato respiro alla gestione dei filobus, cui viene destinato – anziché il nuovo deposito Zara per i quali era stato previsto – il deposito Molise, aperto nel 1939 ma sino ad allora riservato solo agli autobus.
Tuttavia nel 1943 il deposito Salmini ospita ancora un certo numero di vetture filoviarie e disgraziatamente in quel maledetto agosto, con il bombardamento nella notte tra il 12 e il 13, il deposito viene colpito da spezzoni incendiari che ne distruggono le rimesse e le vetture posteggiate.
Quasi per paradosso invece il ben più grande deposito Molise esce indenne dalla guerra.
Il deposito Salmini viene ricostruito e riparato, ma sarà utilizzato solo per gli autobus e, in particolare, dagli anni ’50 soprattutto per quelli extraurbani e suburbani. A causa delle sue ridotte dimensioni molti mezzi, soprattutto i lunghi articolati, non vi trovano posto e devono essere posteggiati all’aperto, dapprima lungo il corso Lodi – di cui qualcuno ricorda certamente negli anni ’60 le lunghe file degli enormi articolati Alfa Romeo 140 A in parcheggio su entrambi i lati della carreggiata centrale fra p.le Medaglie d’Oro e p.le Lodi – e poi sullo sterrato centrale di viale Isonzo, qui esposti agli atti di teppismo, tanto da costringere poi l’ATM al ricovero dei mezzi soprattutto nel deposito di Molise.
Successivamente, con il progressivo ritiro dell’ATM dai servizi extraurbani iniziando dalla Milano-Melegnano-Lodi, il diminuito numero di veicoli operanti nell’area può essere concentrato soprattutto a Molise, con sempre nuove generazioni, per poi passare al nuovo deposito di San Donato dal 3 maggio 2011.
Nel corso degli anni quello che fu il deposito Salmini degli autobus, e per un breve periodo dei filobus, è divenuto deposito del Comune di Milano, utilizzato anche per le vetture requisite o rimosse dalla polizia.
Al racconto fatto dal nostro amico appassionato di trasporti Tullio Terna Vincenti, aggiungiamo questo racconto fatto da Giorgio M Bologna che racconta in maniera curiosa Una mattina al deposito di via Verona 5 a Milano.
Questa mattina sono andato a riprendere la mia macchina rimossa dalla Polizia Municipale. Il deposito che raggiungo a piedi è un edificio giallastro, con un portale verniciato di grigio-interni-di-scuola-media, completamente anonimo.
Il citofono è una levetta, da dentro qualcuno apre la pesantissima cancellata in acciaio quel tanto che basta per permettere a un umano magro di entrare e essere avvolto da una sensazione di malinconia profondissima, la stessa che può essere generata dal misto tra un canile, un carcere e un salone delle feste dell’oratorio abbandonato da qualche mese.
Una volta negli uffici – una stanza con un vetro tutto sditazzato in cui lavorano un uomo e una donna – mi rendo conto che non c’è nessun odore, nessun rumore, nessuno sguardo particolare o di quelli severi che si subiscono entrando negli uffici postali.
Lei è al computer e alla modulistica, lui alle relazioni con il pubblico.
Non ci sono mobili, solo sedie per l’attesa che aspettano dei sederi che non dovranno mai attendere seduti e una pennellata di smalto bianco distesa a terra che non dovrà mai far rispettare la privacy a nessuna fila curiosa.
La penna con la quale si firmano i moduli per il rilascio della propria auto è legata con un cordino da alpinista. La biro però non funziona più e la sua sostituta è appoggiata lì vicino, ma senza imbracatura.
Fuori dalle finestre a vetro singolo – ma con dei serramenti sottili in ferro bellissimi – tutte le macchine sono in file disordinate sotto il cielo metalizzato.
Sembrano guardarti negli occhi, come se ti chiedessero informazioni sul perché sono finite in quel posto.
Hanno tutte quell’aria impolverata, con la loro contravvenzione ripiegata sotto il tergicristallo. Alcune sembrano lì da giorni: nessuno che si è curato di raddrizzare le gomme prima di piazzarle su un asfalto rovinatissimo e pieno di buche, nessuno che accende un motore, una radio o apre una portiera o suona il clacson.
Ci sono tante macchine e non ce n’è nemmeno una.Poi – dopo il dovuto riscatto all’esattore gentile e depresso come Wall Street nel ’29 – esco dall’ufficio: i passi suonano a vuoto contro il pavimento e rimbalzano contro il soffitto buio.
Sono all’aperto tra 4 mura di cinta, la luce lattiginosa abbaglia.
Tra tutte quelle macchine vuote vedo un’anteriore che non mi ha ancora notato, è un po’ ammaccato dal tempo e dai miei parcheggi, ma sempre pacato e a modo.Dalla distanza schiaccio sul telecomando il tasto con il lucchetto aperto, le luci delle 4 frecce lampeggiano felicissime.
Intorno a noi: musi lunghi sui quali iniziano a cadere le prime gocce di pioggia.
In attesa di scoprire cosa sarà costruito al posto del deposito, ecco una serie di foto che abbiamo scattato a ricordo di cos’era questo spazio urbano che forse sarà cancellato per sempre. Peccato per le vecchie colonnine in ghisa che si trovano all’interno del garage e peccato anche per la vecchia insegna ATM, che potrebbe essere salvata.
Il nuovo intervento è condotto dal Gruppo Bluestonee per ora non circolano in rete progetti o rendering.
Qualche cosa andrebbe salvata. La soprintendenza non ha niente da dire?
Spero sia uno scherzo. L edificio non si tocca
Spero che tu stia scherzando!
L’edificio non è niente di che, non ci vedo alcun pregio (insegna/colonnine si possono salvare per successivo riutilizzo).
Lo spazio a disposizione è molto grande… speriamo in un bel progetto…
Peccato perché ha un fascino da archeologia industriale e di storia recente di Milano.
Faranno le so.ite palazzina residenziali per wannabe fighetti intellighentzia
Non è assolutamente degno di nota questo edificio, da radere al suolo
Un edificio che rappresenta un pò l’anima della zona e che ben si sposa con gli edifici circostanti.
Si presterebbe benissimo ad un recupero per fini di spazio pubblico con recupero ex industriale (ristorante con area all’aperto nell’ampio cortile oppure un centro civico/sportivo, nel grande cortile ci possono stare comodamente dei campetti di calcio/tennis.
Demolirlo per costruirci un bel palazzone di sei piani (magari bellissimo ma che nulla centra col contesto)…..bhe siamo abituati a ste cose ..ma non ci si abitua mai. Forse non lo abbattono ma creano dei loft con dei giardini nel cortile (il progetto si chiama urban garden…)
Lei parla di ristorante ma evidentemente ignora bellamente che a meno di quattro metri dall’edificio c’è già un ristorante (e un pub frequentatissimo, e spostandoci di dieci metri altri due ristoranti e locali hipster vari). Se lei fosse il proprietario, le piacerebbe? 🙂
Bello ciarlare di progetti di recupero (Di cosa, poi?) ignorando bellamente il contesto.
Chi arriva a dire che questo decrepito palazzo ha fascino probabilmente dirà anche che Luciana Littizzetto dovrebbe candidarsi a Miss Italia edizione 2018. Dai, su: è un edificio che potrebbe far concorrenza alla Dolce Euchessina! Piuttosto, mi dico: ma invece di costruire l’ennesimo condimonio, perché non destinare l’area per costruire degli indispensabili parcheggi sotterranei coperti poi da un bel giardino?
I famelici costruttori – di cui confesso non m’importa un fico secco – porebbero far 2 soldini con i box e i residenti migliorerebbero la qualità della propria vita evitando di perdere tempo a cercar posteggio. E in più si avrebbe una piccola area verde.
Va be’, scusate. Ho sognato abbastanza: costruiamo pure l’ennesimo condominio cazzuto
Ho avuto modo di vedere il progetto.
Si chiama Urban Garden perché all’interno (la nuova costruzione manterrà l’allineamento con i palazzi adiacenti) ci sarà un ampio giardino semi-pubblico aperto ai bambini.
L’affaccio interno è interessante, con delle ampie logge che creano movimento.
L’affaccio su strada, a mio parere, è molto pesante (anche in questo caso logge su tutta la facciata), non si inserisce bene.
Ci saranno ovviamente parcheggi interrati.
Ma qui non è in discussione se il condominio sia bello o brutto: il punto è che chi risiede in quella zona (come in tante altre) ha pochi spazi per stare all’aperto, pochi spazi per praticare sport e pochi spazi per giocare. Un utilizzo intelligente di quest’area poteva un po’ ovviare a tutto ciò. E poi anche se fanno i posti auto interrati, se uno dei condòmini dovesse fare una cena o una festa di laurea (cito a caso) gli ospiti non saprebbero dove posteggiare e assisteremmo a quelle scene oscene (gioco di parole) di automobili infilate in qualunque buco libero, tipo passi carrai, marciapiedi o incroci. La viviblità di una città si misura anche così
C’e’ chi pensa che il Comune sia “dopato” dagli oneri di urbanizzazione per far quadrare i bilanci e che quindi una seria politica di spazi pubblici/servizi sia al momento impossibile visto che finanziariamente “rendono” molto meno.
Be’, se proprio volesse far quadrare i bilanci potrebbero costruire palazzoni da 45 piani stile Hong Kong. Poi sono ca**i di chi ci va ad abitare. Io ritengo che un comune moderno debba guardare ai servizi ai cittadini e ad aumentare la vivibilità di una città. Se proprio vogliono fare cassa, ci sono immobili comunali che non rendono un centesimo.
Per questo ritengo importantissimo il prossimo referendum che punta a dare autonomia fiscale e gestionale alla Lombardia. Sarebbe un toccasana per tutti i residenti-contribuenti ed eviterebbe la corsa all’onere di urbanizzazione, che trovo tanto assurda