Milano | Commercio – Rivoluzione negozi: il nulla dietro l’angolo

Forse ve ne sarete accorti anche voi, ma da diverso tempo i negozi in città iniziano a “morire”. Parecchie vetrine che si spengono dopo un periodo glorioso durato oltre cent’anni.

Per secoli il commercio è rimasto prevalentemente quello svolto nei mercati o nelle botteghe, dove i prodotti venivano accumulati, e dove si potevano acquistare prodotti alimentari e non. Si andava dal sarto per farsi confezionare un vestito o dal calzolaio per un paio di scarpe. Nei grandi centri urbani si potevano trovare anche botteghe che vendevano un po’ di tutto, prodotti artigianali, il pane e altri alimenti, tessuti o altro ancora. Naturalmente vi erano le taverne o osterie, dove consumare cibo e bere. Mentre i negozi, come li intendiamo ancora oggi, iniziarono a comparire solo sul finire del 1700 e nel primo Ottocento.

Si trattò della comparsa delle vetrine, quella grande rivoluzione che conquistò il mondo e fece la differenza. Piuttosto che vendere merce all’ingrosso, accatastata nelle botteghe si cominciarono a vendere beni esposti in vetrine ben allestite, tra i quali anche beni non di prima necessità.

L’ortolano, il macellaio, il tappezziere, il ferramenta, la pasticceria, la sartoria, la merceria, il negozio di abiti, la cartoleria, la libreria, l’erboristeria, la cappelleria, la drogheria, la tabaccheria, la pelletteria, e molti ancora mostrarono i loro prodotti nelle vetrine. Pian piano i negozi iniziarono a specializzarsi in ogni settore. I palazzi iniziarono ad avere al piano strada una serie di aperture per ospitare i negozi, con le vetrine, per esporre la propria merce, cosa pressoché inesistente nelle architetture più antiche, dove le botteghe spesso erano nel cortile. Così dal diciannovesimo secolo il piccolo negozio con vetrina e qualche forma di illuminazione a gas cominciava a dominare le principali strade delle città, così anche a Milano.

Sempre nell’Ottocento, si diffuse anche la moda di fare una passeggiata ad ammirare le vetrine, in cerca di occasioni e novità, lo shopping. Tanto che si costruirono anche una serie di passaggi e galleria dove vennero allineati gli spazi commerciali, a Milano famosa fu la Galleria de Cristoforis, la “Contrada de Veder”, la prima del genere in Italia, realizzata nel 1832.

Insomma, i negozi iniziarono a diffondersi nella città, un po’ ovunque, animando le strade cittadine. Lentamente si formarono i negozianti, che spesso passarono l’attività ai figli, creando delle vere e proprie realtà dalla storia decennale. Tutto questo fino agli anni Ottanta, quando la “globalizzazione” cominciò a insinuarsi nel nostro contesto che per decenni sembrava inossidabile. Cominciò il franchising, o affiliazione commerciale, il nuovo sistema per aprire nuove attività come rivenditore indipendente legato però ad un marchio “globale”. Così in quegli anni aprirono le prime grandi catene internazionali che lentamente affossarono anche negozi storici in attività da decenni.

I grandi supermercati, sviluppatisi a partire dal 1957 (l’Esselunga di viale Regina Giovanna fu il primo in Italia), a loro volta lentamente fecero dimezzare i negozi di alimentari.

Insomma, il pesce grosso cominciò a divorare il pesce piccolo (questo ovunque nel mondo).

Sembrava di aver raggiunto un ottimo stato negli anni Novanta e primi 2000, negozi e catene diffuse in ogni angolo delle città e una buona diffusione che animava le nostre vie. Anche se a dire il vero il commercio iniziò ad essere uguale un po’ troppo in tutte le città globali. Gli alimentari iniziarono a diminuire per colpa dei supermercati, così come altre tipologie commerciali, e fu il boom dell’abbigliamento.

Ancora oggi i negozi più diffusi sono proprio quelli riguardanti il vestiario, a volte gli uni vicini agli altri per decine di metri, di fatto rendendo monotona anche la passeggiata per lo shopping.

Veniamo ai giorni d’oggi, qual è lo stato dei negozi a Milano?

A giudicare da quello che si vede, abbastanza pessimo. L’unica categoria rimasta attiva è in pratica solo l’abbigliamento, come dicevamo, persino i negozi di calzature stanno diminuendo drasticamente. L’e-commerce (l’acquisto dei prodotti via internet) ha preso e sta prendendo il sopravvento, mentre i negozi che si trovano nelle vie meno commerciali col tempo hanno cominciato a chiudere definitivamente o ad essere trasformati in empori dozzinali e di pessimo gusto, lasciando esposta la vetrina con la merce accatastata da magazzino all’ingrosso. Altri negozi si sono trasformati in minimarket dove le vetrine sono state coperte da adesive che occultano l’interno, di fatto riducendone l’utilizzo.

Oppure, altro fenomeno di questi tempi, i temporary shop, negozi dalla durata di qualche mese allestiti frettolosamente e spesso senza alcuna pretesa.

Così come le grandi catene che si accaparrano più negozi possibile unendoli in un unico “store” e magari, se ci sono vetrine in vie secondarie, chiuderle e utilizzarle come retrobottega, rendendole di fatto brutte a vedersi. A questa grande disfatta, possiamo inserire anche un’altra categoria, quella delle librerie, che chiudono una dopo l’altra. Così come le filiali bancarie, oramai ridotte al minimo. Lasciando le nostre belle vetrine, vuote e in abbandono. A questo vanno aggiunte le centinaia di centri commerciali che assediano le città nelle periferie.

Persino in vie altamente commerciali, come via Torino o Corso Buenos Aires, troviamo parecchie vetrine ancora chiuse dopo mesi, senza alcuna attività e in cerca di affittuari, oramai sempre di meno.

Secondo noi, un altro esempio di sciatteria commerciale la possiamo trovare, ad esempio, in piazza dei Mercanti. Infatti ci chiediamo come il Comune abbia permesso o concesso a McDonald’s di chiudere tutte o quasi le vetrine che affacciano sulla piazza (pieno centro di Milano, tra il Cordusio e il Duomo), rendendola di fatto un “retro strada” che certo non si merita.

D’altro passo invece troviamo altri spazi commerciali che lentamente si stanno trasformando in ristoranti e locali per l’intrattenimento, questo però se la zona lo consente, quindi: via il panettiere, il macellaio e il calzolaio e al loro posto la pizzeria, il bistrot, il lunghe bar, ecc…

Insomma, un cambiamento epocale avvenuto in pochissimi anni e che ancora non pare fermarsi per stravolgere il senso stesso delle nostre belle strade cittadine.

Nel 2050 si stima che la popolazione mondiale raggiungerà 9,7 miliardi, con i due terzi di essi che vivranno in aree urbane. Quindi quale futuro ci aspetterà nel settore del retail, come si usa dire oggi (buttando termini in inglese)? Sicuramente dovrà affrontare nuove sfide. Sopravviveranno o avranno un nuovo sviluppo i piccoli spazi commerciali, le botteghe, o ci troveremmo vie senza più negozi e vetrine?

L’obiettivo sarà quello di produrre su richiesta, piuttosto che in grande scala; affittare, piuttosto che acquistare; riparare, piuttosto che rinnovare?

Vedremo più le strade animate come negli anni passati?

Per l'utilizzo delle immagini scrivere a info@dodecaedrourbano.com

54 commenti su “Milano | Commercio – Rivoluzione negozi: il nulla dietro l’angolo”

  1. Le vetrine chiuse e soprattutto le insegne vuote sono un modo di non dover pagare tasse sulle insegne che..superando i 5 metri quadrati sono soggette a imposta. Per cui nemmeno le decorazioni inerenti le categorie vendute sono ammissibili. Aimè

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    • La tassa sulle insegne può essere di poche centinaia di euro l’anno, ovviamente dipende dalle dimensioni. Un negoziante che non si può permettere e che non ne vede l’utilità di investire una cifra simile è destinato a chiudere…

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      • Le tasse sulle insegne sono solo la punta dell’iceberg. Sotto ci sono tasse e imposte a non finire che rendono davvero difficile commercio al dettaglio.
        A questo si aggiunge la concorrenza sleale largamente diffusa di vu cumprà africani amici del PD, che si sono allargati con protervia.
        Spero che tra chi si lamenta non ci siano elettori della sinistra, perche sarebbe come se un vegano si lamentasse dell’insalata che ha nel piatto

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  2. Finché si continuerà ad eleggere sindaci manager e a sviluppare la città a colpi di grandi eventi e di quartieri costruiti da e per banche, assicurazioni e fondi di investimento invece che da persone, fintanto che si continuerà a sviluppare un’economia fine a sé stessa e si cercherà di fare ogni volta il “botto” invece di pensare anche alle cose non produttive (oziare in un parco o chiacchierare con il lattaio è produttivo?) questa sarà l’unica direzione possibile.

    “Città globale” vuol dire anche quartieri globali e negozi globali.

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    • Mi sembra sempliciotto come argomento…

      La crisi del retail c’è in tutto il mondo. Se vai nel Corso principale di qualsiasi media città italiana (non di certo “globale”) vedi gli stessi identici mutandari e finti franchising che vedi a Milano.

      Piuttosto una città come Milano può sostenere negozi di nicchia che solo in una metropoli globale trovano un bacino abbastanza ampio per sostenersi.

      E’ un cambiamento lento ma sta avvenendo secondo me, il problema è sostenere le iniziative innovative e non lasciare tutti gli spazi ai monopolisti grandi e piccoli del franchising (senza fare nomi…. 🙂 )

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  3. Sarà ma sinceramente questa crisi mi sembra colpire molto di più le vie non (o difficilmente) raggiungibili in macchina (es. Via Meravigli vs. Corso Vercelli)…

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      • Bisogna aver qualche ritardo e neanche troppo leggero per paragonare Via della Spiga a una via “normale”: 1) il 95% di chi ci passa sono turisti, che a Milano ci arrivano il più delle volte neanche in macchina; 2) più che negozi sono “centri di rappresentanza” di marchi che possono permettersi di perderci sul punto vendita pur di mettere la bandierina nel quadrilatero.

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        • via Dante? via Melzo? la già citata via Paolo Sarpi?

          bisogna avere qualche ritardo e anche abbastanza pesante per non capire che in una città come Milano a fare shopping in macchina ormai non ci va praticamente più nessuno.

          Chi vuol fare shopping in macchina va al Fiordaliso o ad Arese.

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    • Per carità! La pedonalizzazione ha salvato via Paolo Sarpi.

      I negozietti e le botteghe sono frequentate per lo più da gente locale e si raggiungono a piedi o in bici

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    • Io penso che se Corso Vercelli e via Meravigli le chiudessero proprio al traffico gli shopper raddoppierebbero. Chi vuole fare shopping in una via trafficata rumorosa e con marciapiedi stretti ? Il consumatore sta cambiando my friend !

      Solo che sarà capace di assecondarlo sopravviverà

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  4. Ma seriamente pensate che i negozi chiudano e le vetrine si oscurino per la tassa sulle insegne???? La tassa sulle insegne c’è sempre stata…

    Ma realmente pensate che sia una cosa di Milano e che dipenda dal sindaco o dalla giunta???

    Ma viaggiate mai??? Ma leggete i giornali?? Non lo sapete che è un fenomeno mondiale?

    Non avete mai sentito parlare di Retail Apocalypse?? Chiudono interi centri commerciali, altro che vetrina usata come magazzino……

    La parola AMAZON vi dice niente???

    Mioddio che provincialismo… e con questo livello di capacità di analisi vorremmo essere una metropoli europea e cosmopolita!?

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  5. ma seriamente qualcuno pensa che i negozi chiudano perché c’è la tassa sulle insegne????? (che, tra parentesi, c’è sempre stata…)

    O che sia un fenomeno locale che dipenda dal sindaco e dalla giunta???

    ma viaggiate??? Ma li leggete i giornali???

    è un fenomeno mondiale, chiudono interi centri commerciali, altro che vetrina oscurata….

    Non avete mai sentito parlare di Retail Apocalypse???

    La parola AMAZON vi dice niente????

    https://www.econopoly.ilsole24ore.com/2019/04/27/retail-apocalypse-italia/

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    • “Il tasso di penetrazione degli acquisti online sul totale retail, grazie alla crescita più sostenuta rispetto al canale fisico, guadagna anche quest’anno un punto percentuale, raggiungendo il 6,5%” (https://www.corrierecomunicazioni.it/digital-economy/ecommerce/e-commerce-in-italia-foodgrocery-chiave-dello-sviluppo/)

      Il commercio tradizionale pesa il 93% del mercato. Quindi non è che se choude un negozio è colpa di Amazon. Capisco che i negozianti si possono autoassolvere molto comodamente. Ma il problema è che il negozio della signora Maria non basta più. Ci vogliono idee nuove, un servozio migliore, alrtrimenti la gente i suoi (pochi) soldi non li spende da te.

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      • Non bastavano gli esperti di Architettura, Edilizia, Urbanistica, Agronomia, Aviazione e Viabilità su Urban File!
        Adesso sbarcano i temibili Guru del Retail.

        Che si dimenticano (ad esempio) che nel NON-online è compresa la GDO. Che è quella che ha realmente massacrato il dettaglio tradizionale. 🙂 L’online sta dando il colpo di grazia al resto….

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  6. I proprietari delle mura a fine contratto non rinnovano e se lo fanno chiedono cifre molto alte , ovviamente gli inquilini non se lo possono piu permettere e quindi sono in attesa che arrivi un bel marchio multinazionale della ristorazione o abbigliamento per affittarglielo

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    • Ma cosa dici ? Perché parli a vanvera ??? A parte un paio di vie ben note i contratti di locazione per retail stanno calando in tutto il mondo. Tu probabilmente sei uno di quelli che fino a qualche mese fa sosteneva che tutti i commercianti sono ladri miliardari.

      Se non sai le cose… non parlare !

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      • Rimane il fatto che per aprire un negozio “vero” ci sono costi altissimi, se fai lo stesso online te la cavi con quelche mille euro.
        Ho clienti che lavorano tramite ecommerce che aprirebbero anche un negozio nella loro città, giusto per dare un po’ di luce e vita…
        ma gli affitti sono proibitivi.

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  7. Se non si capisce che bisogna trasformare le vie di negozi in “centri commerciali naturali” farsnno tutti bancarotta…

    Perché la gentr si è rotta i co@/ioni di fare acquisti in mezzo al
    Casino
    Rumore
    Traffico
    Puzza di smog
    Rumore di motori
    Clacson
    Camminare in marciapiedi larghi 30cm per non finire sotto il suv del co@/ione di passaggio che va a 300kmh…

    E se ne va nell outlet dove le auto sono BANDITE.
    E ci sono TAVOLINI IN TRANQUILLITÀ per mangiare ( non fronte taxi copolinea ndr)

    ..
    Fondamentalmente ci sarà un motivo per il quale gli outlet vengono costruiti come la città ideale totalmente PEDONALE!!

    Ci sarà un motivo no…?

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    • “Fondamentalmente ci sarà un motivo per il quale gli outlet vengono costruiti come la città ideale totalmente PEDONALE!!”

      In realtà se guardi la pianta di un outlet o di un centro commerciale, la metà dello spazio è dedicata a uno sterminato ed osceno parcheggio di cemento.
      Non è la mia città ideale….

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      • Complimenti per la tua analisi scientifica. Sono realmente impressionato da questa capacità analitica. Sei per caso un professore della Normale di Pisa ? Ti prego illuminaci con altre analis !

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      • Una città dove la gente si muove a piedi e lascia l’auto in enormi parcheggi di interscambio costruiti sul perimetro?

        Dove devo firmare?

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    • mi trovo d’accordo. i prodotti si trovano online. dal vivo compro l’esperienza, la pace e tutto il resto.
      colla puzza di smog, rumore, paura che i bambini vanno sotto una macchina… col cazzo che vado a fare shopping.

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      • Quel che dici è vero.

        Però è anche vero che nelle zone pedonali ormai trovi praticamente solo ristorazione e bar oppure franchising di mutandari e altre cinesate low cost vendute con mille luci e lustrini per farle sembrare belle.

        Tutti i negozi che frequento per qualche motivo che non capisco, han sempre la loro colonna di auto in sosta davanti. Non è una lode alle auto (tuttaltro) ma solo una constatazione.

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    • Gli outlet hanno tutta un’altra funzione e tutta un’altra concezione. Tu sei ossessionato dall’auto. Sei il vegano dell’automobile. Il talebano della bicicletta e l’imam del via le auto.
      Negli outlet le auto hanno tanti parcheggi. Solo così si possono costruire città a misura d’uomo. Sveglione…

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  8. I negozi chiudono per due motivi fondamentali:
    1) tassazione alle stelle e eccesso di burocrazia con costi insostenibili per la piccola e media impresa.
    2) gli acquisti massivi su amazon e la ricerca da parte dell’utente del “prezzo più basso” che nella maggior parte dei casi significa sfruttamento delle persone e delle risorse.

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    • Corso vittorio emanuele dimostra che se si trasforma la puzza e il rumore in passeggio e no auto si vince anche Amazon…

      È una realtà.
      Ed è quello che ho scritto sopra…

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      • Non ci siamo proprio. Certo, la pedonalizzazione è importante, ma Corso Vittorio è attaccato al Duomo ed alla Galleria. Insomma, chiunque venga a Milano si fa il tour Corso Vittorio – Galleria – Piazza Duomo – Piazza Cordusio – Via Dante – Castello Sforzesco. È il centro della città. Il negozio sfitto di Via Torino lo trovi verso la fine della via, mica agli inizi, attaccato alla Piazza.

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        • Ahahahhahahahaha.

          Ma è CENTRO CITTÀ perché sono zone off limits per le auto.
          Zone pe do na li.

          Ovvio che i turisti facciano il bel giro in zone pe do na li.
          E quindi ipso facto paicevoli da girare…

          Hai detto una ovvietà e una tautologia…
          Sai cos’è una tautologia?

          Arrivaci da te.

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          • I turisti andavano in piazza Duomo e al Castello anche quando c’erano le auto, tanto per dire. Poi sentire Wf dire a chicchessia di dire ovvietà è come il bue che…

          • Secondo me Wf odia le auto perché ha sorpreso sua moglie a bordo con un altro mentre si intrattenevano in incontri ravvicinati del terzo tipo

  9. I negozi di commercio al dettaglio, questa cafonata. Evviva l’e-commerce, i negozi come spazi fisici chiudono e vanno rimpiazzati con residenze di alto standing (è il centro di Milano mica di Pioltello!), gallerie d’arte e sedi di start up. Chi non sta dietro al treno del progresso è condannato ad estinguersi!! Oltretutto acquistare online mi permette di ridurre al minimo i miei spostamenti e minimizzare così la mia ecological footprint, se proprio devo uscire di casa non vado mai oltre la cerchia dei bastioni col mio monopattino elettrico acquistato su Amazon.

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    • Ahaha credo che l medico curante del residente di alto standing gli scoglierebbe di” ridurre al minimo i suoi spostamenti e minimizzare cosi la sua ecological footprint”.No, non uscire di casa, ingrassa pure dentro la cerchia dei bastioni col tuo sfigatissimo monopattino elettrico. Noi cafoni preferiamo il rapporto umano con i negozianti piuttosto che con la paypal ,magari facendo due passi e guardando le vetrine. Auguroni!

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    • Non capisco se il tuo commento sia ironico o meno.

      – I negozi al dettaglio cafoni? WOW. Peck non è una cafonata. I negozi che vendono paccottiglia invece lo sono.
      – Il centro non è fatto solo per i ricchi, la città dev’essere inclusiva. Molte sacche di povertà si trovano in zone semi-centrali. Leggere Saskia Sassen, esperta di economia urbana per rendersi conto dei motivi di questo.
      – Gallerie d’arte e startup (spazi co-working) stanno già prendendo piede, speriamo aumentino.
      – Acquistare online non ridurre la tua impronta ecologica, semmai la aumenta. Fattore risparmio tempo discutibile: i resi sono una bella rottura di palle quando devi andare in posta.
      – Monopattino elettrico semi-clandestino in una città che non ha gli spazi di Los Angeles? Ridicolo, dannoso e cafone. Aiuto. Voglio vederti in zona Sant’Ambrogio / Cinque Vie con il monopattino. Good luck with that.

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  10. Dimostrazione del declino di questo Paese, gente che si litiga e vuol far la prima donna (i signorini sotutto) anche in un forum costruttivo dove si dovrebbero solo scambiar idee

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  11. La realtà è che oggi il consumatore vuole due cose e sono due cose ben diverse che possono convivere tra di loro :

    1) il prezzo
    2) un esperienza piacevole di acquisto

    Se voglio il prezzo più basso e ho le idee chiare su cosa voglio, vado su internet e ricerco il posto dove questo oggetto costa meno. Può essere Amazon ma anche un retailer fisico. Una volta individuato il prezzo più basso mi reco dove questo è in vendita

    2) voglio un esperienza piacevole. Vado in un negozio specializzato dove una addetto alle vendite mi coccola oppure passeggio in un area piacevole alla ricerca di un oggetto che mi possa gratificare.

    In questo ultimo caso ahimè di aree piacevoli con negozi dove passeggiare a Milano ce ne sono un gran poche.

    Tutti gli altri format di retail, ad eccezione del supermercato alimentare sotto casa sono destinati a chiudere, quindi almeno per il bene dei commercianti, speriamo che questo Comune cominci a fare dei seri interventi a favore del pedone in vie come B. Aires, Vercelli, Meravigli etc…

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    • Io non capisco il commercio online per determinati beni (vedi: abbigliamento). In Gran Bretagna c’è una forte crisi delle High Streets (le strade principali) – tutti acquistano online e pure le catene storiche, ben strutturate e con ottima reputazione, chiudono i loro negozi. Io però non capisco dove stia la comodità dell’acquisto online in relazione al vestiario: ogni tessuto è diverso, gli abiti vestono tutti in maniera diversa, le taglie cambiano da marchio a marchio, la consistenza / il colore possono risultare diversi dalla realtà e dalle foto. Com’è possibile che acquistare online sia più comodo di andare in negozio in questo caso? Il reso non viene spedito via posta?

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      • In effetti la storia dell’online che uccide il negozio fisico è ormai discussione da decennio scorso.

        I brand si stanno spostando tutti su una logica omnichannel (l’inglese impera) e il negozio fisico è fondamentale.
        Non si parla più di amazon che uccide il commercio ma di click and collect, click and reserve, click from store ecc ecc.
        Senza negozio fisico in molti settori sei destinato alla morte, così come dieci anni fa senza online sparivi.

        La domanda è perchè la metamorfosi del retail da noi sia così lenta e crei ancora così tanti negozi sfitti o finti sfitti (i vari temporary di stocchisti), ma credo siano le solite dinamiche vischiose che come in tutti i settori rendono lento qualsiasi cambiamento dalle nostre parti.

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        • Il mondo cambia e se decidiamo di acquistare on line e nei centri commerciali poi non chiediamo anche di avere la bottega sotto casa.
          E non lamentiamoci se al posto dei negozi ci saranno appartamenti residenziali piano terra. Nei piccoli centri è già una realtà…

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    • >La realtà è che oggi il consumatore vuole due cose e sono due cose ben
      > diverse che possono convivere tra di loro :

      Primo commento intelligente.

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  12. i negozi, i bar, i ristoranti ecc. contribuiscono a mantenere vivi i centri storici delle città e non solo, anche le vie di zone semiperiferiche e fintantoché ci saranno i negozi resteranno vive e piacevoli; nel momento i cui chiudi una qualsiasi attività commerciale quella strada o quella piazza diventeranno spettrali e scialbe; ma vogliamo capire che i negozi di prossimità sono l’ossatura e la linfa vitale dei quartieri?Vogliamo capire che la popolazione invecchia e che gli anziani non comprano su Amazon e in generale on line?Quando avremo tutti negozi chiusi che ne sarà delle città?Ecco io credo che la politica e le amministrazioni comunali si debbano porre il problema di come far convivere i negozi fisici e il commercio on line che certamente riveste un ruolo fondamentale nell’economia; occorre riportare equilibrio tra le due cose; io sono assolutamente favorevole alla web tax per riportare equità e concorrenza leale alfine di favorire tutti i soggetti senza creare discriminazioni di sorta.

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