La filosofia di un nuovo vivere collettivo, che trae ispirazione dal passato, nella proposta della start-up che sta trasformando un vecchio edificio industriale in viale Monza.
A Precotto, all’altezza del civico 253 del lungo asse viario che congiunge Piazzale Loreto con Sesto San Giovanni, una facciata piuttosto anonima del corpo uffici di una vecchia azienda che confezionava divise, cela uno degli innumerevoli cantieri di trasformazione a cui ci ha abituato negli anni questa città. Qui, però, non si tratta della solita operazione immobiliare residenziale, ci tengono a precisare Andrea Colombo e Vittorio Mauri, che ci accompagnano nella visita al cantiere: la società di cui sono co-fondatori, Tulou, vuole mettere al centro le relazioni sociali degli inquilini che andranno ad abitare le loro realizzazioni.
E cosa intendano inizia a essere chiaro quando illustrano quello che sarà il loro ‘progetto pilota‘, il co-living di viale Monza pensato per essere occupato prevalentemente da giovani lavoratori che desiderano una esperienza abitativa in condivisione, dove creare e sviluppare relazioni sociali.
È difficile immaginare quale sarà la suddivisione degli ambienti. Il cantiere è ancora alle fasi iniziali e si sta provvedendo allo ‘strip out‘, alla rimozione di tutte le parti non essenziali allo sviluppo del progetto finale. I due corpi di fabbrica contigui, quello che affaccia sul viale, che ospitava gli uffici, e la lunga stecca dove aveva luogo lo stoccaggio, sono ormai poco più che ‘scheletri’ che rivelano la loro struttura nuda.
A popolare gli ampi spazi saranno 93 ambienti abitativi che misureranno massimo 28 metri quadri. E’ qui che sta la chiave innovativa della proposta: gli ambiti privati sono ridotti all’essenziale; sono gli ambienti comuni, che occuperanno la gran parte della superficie, a essere centrali. Ambienti dove la vita della comunità che vive l’edificio si organizza per provvedere alle esigenze di ciascuno, in collaborazione e in condivisione.
Una cosa non per tutti. Una scelta di vita per chi vorrà venire ad abitare qui.
D’altronde gli spazi condivisi saranno provvisti di tutto, dalle cucine (dagli angoli dove farsi una colazione veloce a cucine professionali dove organizzare cene conviviali), agli spazi relax, ai frigoriferi personali. Sul tetto (che diverrà piano) ci sarà una terrazza condivisa, con orti dove ciascun inquilino potrà coltivare il proprio cibo e una piccola piscina dove rilassarsi. Ci saranno spazi per il co-working, per allenarsi e passare il tempo libero; persino un cinema per gli abitanti.
Interessante anche come sono stati pensati gli spazi di distribuzione. Al posto di corridoi lineari che danno accesso agli ambienti privati, percorsi ‘sinuosi’ che creano anse e spazi per socializzare, studiati per favorire anche l’incontro casuale tra chi vive nell’edificio, così da rafforzare la creazione della comunità collaborativa che sta alla base di questa filosofia abitativa.
Tolou sarà colei che gestirà questi spazi (la progettazione, di Arup, così come l’aspetto dello sviluppo immobiliare, sono in capo a soggetti ‘esterni’). Provvedendo a gestire i servizi, compreso un concierge per tutto il giorno, ma anche creando iniziative e attività che favoriscano l’incontro e la condivisione.
Infine l’intervento non trascura gli aspetti ecologici e del risparmio energetico, dato che sarà provvisto di impianto geotermico per il riscaldamento e il raffrescamento oltre che di pannelli solari per produrre elettricità. Senza dimenticare l’efficientamento che deriverà dagli elettrodomestici condifvisi e dalla lavanderia comune, oltre che all’acqua depurata presente ad ogni pianodell’immobile.
Alla fine della nostra visita ci fermiamo a fare due chiacchiere con i due giovani co-fondatori di Tulou, Colombo e Mauri, per porre qualche domanda che indaghi più a fondo nella loro visione e in quello che intendono fare.
UF – Cominciamo dalla scelta del vostro nome. Tulou è un’abitazione collettiva contadina fortificata cinese “autosufficiente” che come concetto ricorda vagamente la cascina lombarda.
Il riferimento è chiaramente alla volontà di creare delle comunità vere e proprie all’interno delle vostre realizzazioni e non dei semplici inquilini.
Ci spiegate esattamente cosa volete fare e, soprattutto, come pensate di realizzare il vostro obiettivo?
Innanzitutto partiamo dall’idea che la comunità nasca dall’incontro, per questo i nostri spazi e servizi sono concepiti per facilitare questo momento di scambio e socialità. Le nostre scelte progettuali si allontanano dall’efficienza del vivere e si avvicinano molto di più all’occasione d’incontro. Il nostro obiettivo è quello di raggiungere un modello di co-housing in cui rientrati dopo una giornata di lavoro, prima di accedere alla propria abitazione, ci si ferma a parlare, a raccontarsi la propria giornata, condividere esperienze o momenti di vita quotidiana come succede in famiglia. Sono queste le iniziative di collaborazione che funzionano: stai bene perché vivi insieme agli altri e perché, condividendo anche esperienze e sensazioni, si è in grado di creare ricordi e senso di appartenenza.
Poi c’è un altro elemento centrale per favorire la comunità, la co-progettazione. I co-housing quando nascono generalmente hanno un problema di ‘lead time’; dal momento in cui si decide di andare a vivere insieme, a quello in cui scegli il terreno, fai delle scelte e costruisci trascorre tantissimo tempo. Invece noi facciamo un approccio ‘top down’; cerchiamo di stilare noi stessi la nostra filosofia di abitare, ma vorremmo anche che i primi abitanti possano partecipare alla progettazione dei servizi e di alcune esperienze. Quindi qualche mese prima dell’apertura andremo a selezionare i primi inquilini che costituiranno il nucleo centrale della comunità e che quindi avranno più esposizione e responsabilità. A questi tramite la nostra app favoriremo dei meccanismi tali per cui le persone all’interno della comunità avranno dei ruoli. Tu puoi entrare nella comunità di Tulou come utente semplice, senza ruoli, che fruisce dei servizi e delle attività di esperienza. Nel momento in cui ti attivi per l’altro, ad esempio cucinando, aiutando a sistemare la spesa anche per gli altri, occupandoti dell’orto, organizzando eventi, inizi a scalare questa gerarchia di ruoli, fino ad arrivare ad essere quello che è un responsabile della comunità. Queste figure sono 7 persone che si occupano dei vari servizi strategici. C’è ad esempio il responsabile del ‘social eating’ oppure del gruppo di acquisto… tutti questi hanno responsabilità verso la comunità, ma hanno anche dei ‘reward’, delle premialità, che noi eroghiamo loro per il tempo che investono nell’abilitare la comunità. Inizialmente quindi sarà più presente l’intervento della company che insegnerà, educherà, per poi piano piano staccarsi una volta che la comunità acquisirà autonomia. Così noi immaginiamo un immobile autogestito.
Il concetto di fondo è che la collaborazione, la condivisione, la relazione tra le persone non ti possono essere regalate, ma richiedono impegno, così come succede con le amicizie, devi dedicare del tempo all’altra persona per esserle amico. La nostra intenzione è quella di portare questo concetto all’interno della comunità. Questo non vuol dire che gli spazi non siano costruiti per soddisfare le tue esigenze personali; sono infatti pensati per fornire la massima efficienza, ma il meccanismo che vogliamo raggiungere in generale è quello di un circolo virtuoso in cui le persone si mettono progressivamente a disposizione degli altri. A fine lavoro controlli che tipo di attività sono state organizzate, come le cene condivise, ad esempio. Attraverso un’app paghi per contribuire al costo della spesa e così condividi il pasto con coloro che parteciperanno. Allo stesso modo tu stesso puoi progettare il tuo momento di pasto condiviso.
UF – Quali sono i soggetti a cui vi rivolgete, quali sono gli abitanti ideali delle vostre comunità?
Prima di tutto facciamo un piccolo passo indietro. Tulou nasce come ‘brand’ di residenze in affitto che costruisce diversi format. In viale Monza ad esempio vediamo un modello rivolto ai giovani professionisti, mentre in Bovisa il format sarà un altro, così come a Monza città. L’idea è che Tulou in ciò che costruisce vada molto in verticalità rispetto alle esigenze che individua. Nel caso di viale Monza quindi il target è giovane, professionista, 20 – 35 anni, può essere lo ‘start-upper’, il medico, il creativo, l’impiegato di banca, lo studente che si ferma per un anno, un consulente di passaggio per 6 mesi, può essere chi vuoi. Noi offriamo la freesoul experience (modello di vita basato sul benessere interiore e l’assenza di stress, ndr), entrando ci si registra, si fa application, vengono fornite utenze, il wi – fi, le abitazioni sono già arredate, è tutto molto veloce in modo che si possa entrare a Tulou evitando i lunghi tempi che solitamente comporta il trasferimento. E poi offriamo la comunità, in modo che ci si possa sentire parte della città e dell’immobile. Abbiamo studiato nell’ambito del quartiere Bovisa che le comunità che funzionano sono quelle che si compongono della ‘mixité’. Questo si lega al fatto che storicamente le comunità si compongono per affrontare le avversità della vita; per esempio l’anziano che tiene il bambino alla coppia che deve lavorare, il bambino fa invece compagnia all’anziano mentre ad esempio l’adolescente aiuta nei lavori di fatica. Sono tutte queste dinamiche che formano la comunità. Noi difatti siamo aperti a tutti, però ci aspettiamo più che altro che, in particolare per viale Monza, il target sia quello dei giovani professionisti.
UF – Farete una sorta di selezione per scegliere chi farà parte della comunità?
La co- progettazione a cui facevamo riferimento prima, serve sì per pensare gli spazi, ma allo stesso tempo per selezionare gli abitanti. Ad esempio ci piacerebbe che il primo abitante fosse un medico perché sarebbe bello che questa figura possa dare sempre reperibilità, compatibilmente con i suoi impegni, a tutti gli inquilini; in cambio Tulou si impegna a restituire al medico dei ‘reward’ che possono essere esperienze, servizi, spazi che vengono dati gratuitamente. Ci sono così delle categorie professionali che ci piacerebbe comprendere e che possono fare tanto per la comunità. Al di là della professione, le persone che selezioniamo tramite ‘application’ sono persone che credono fortemente in questo modo di vivere. Non si può dunque creare un vero proprio filtro alla selezione, ma questo si autocrea quando viene proposto questo modello di abitare. Non è per tutti abitare tra i 20 e 35 mq avendo tutto il resto della vita fuori. Ma questo è il bello: è uno stile di abitare intenzionale in cui rinunci a dello spazio privato per vivere nella comunità. In questo senso rispondiamo a una specifica domanda di abitare a Milano, piuttosto che alla domanda generale.
UF – Avete parlato di come gli inquilini di Tulou ricopriranno determinati ruoli all’interno della comunità, tra i quali ci saranno persone addette alla distribuzione della spesa, come si accennava prima. Avete già pensato a come avverrà l’organizzazione?
Sì. Avverrà in modo molto semplice: tutto sarà digitalizzato. Noi selezioneremo i fornitori a chilometro zero di proteine vegetali, animali, formaggi… tutto tramite app. Ogni settimana si potranno selezionare i prodotti, la spesa verrà dunque consegnata all’immobile in un’unica consegna e qui verrà distribuita nel locale dispensa della cucina condivisa da chiunque voglia ricoprire questo ruolo nella comunità.
UF – Da altre interviste è emersa la vostra intenzione di partire da canoni “all inclusive” di 800 euro, è corretto? Come riuscirete a tenere questi prezzi? Abbattimento delle spese di gestione?
Al momento è ancora prematuro parlare di prezzi di affitto. Vari imprevisti che stanno emergendo in questa fase di realizzazione probabilmente porteranno a un prezzo maggiore di ‘rent’, ma sicuramente la volontà è quella di tenere i prezzi il più possibile accessibili; e soprattutto non vogliamo uscire dal modello all inclusive. Con tutto compreso intendiamo anche l’accesso alla palestra, la sala cinema, l’orto, la sauna, le pulizie giornaliere degli spazi comuni e anche dello spazio privato una volta a settimana. L’affitto potrebbe anche costare leggermente di più rispetto al prezzo di mercato, ma calcolando i servizi compresi che valgono centinaia di euro mensili extra, risulterebbe comunque conveniente.
UF – Il modo di abitare qui a Milano è diventato da qualche anno terreno di innovazione e di collaborazione tra pubblico e privato. Soprattutto sta mutando il concetto stesso di ‘casa’ con sempre meno persone che aspirano al possesso di quella in cui si vive e sempre maggiore richiesta, e conseguente offerta, di immobili, persino quartieri interi, destinati esclusivamente alla locazione abitativa. Questo ha portato all’affermazione di soggetti sempre più orientati a sviluppare esclusivamente questo tipo di realizzazioni, ad esempio Redo, che si occupa però esclusivamente di social housing. Cosa direste che connota il vostro approccio rispetto a quello di altri soggetti?
Come prima cosa non definiremmo il nostro modello abitativo come social housing, che ormai è più legato ad un’idea di abitare convenzionato a livello economico. Noi non facciamo canoni convenzionati, ma piuttosto l’idea di social è proprio quella di socialità. In tal senso definiremmo il nostro modello come un abitare collaborativo in cui la collaborazione tra i residenti, lo stare insieme, è alla base della scelta di vita che tu fai. L’impatto non è dunque economico, ma piuttosto sulla società, con l’intenzione di far stare bene chiunque entri a vivere a Tulou. A prescindere dal reddito tutti hanno la stessa attenzione. L’importante è sentirsi accolti all’interno di questa “densità positiva”. Concetto che si oppone all’urbanizzazione spinta, in cui si riducono sempre più gli spazi degli appartamenti. Qui si rinuncia sì a parte dello spazio privato, ma in cambio hai a disposizione molti servizi in comune che difficilmente potresti permetterti da solo.
UF – Ritenete che questo tipo di soluzioni possa contribuire alla ridefinizione del caro affitti a Milano?
Dipende. A noi piace l’idea di promuovere una diversa tipologia di abitare in cui crediamo e diversa rispetto ciò che fornisce il mercato. Ci piace l’idea di investire in un prodotto che anche a livello estetico sia più gradevole di tanti sviluppi; di investire sull’efficientamento energetico e sulla sostenibilità ambientale. Tutte queste sono cose che non pensiamo possano cambiare le dinamiche di mercato, ma sono probabilmente parte di un trend già esistente di cui ci vogliamo assolutamente fare promotori. Questo per rispondere in generale a come vediamo Tulou rispetto alla situazione del mercato. Sicuramento spingiamo tanto sull’aspetto della comunità e collaborazione, che non sono di interesse per tutte le strategie degli operatori.
Il nostro obiettivo è quello di occupare un segmento preciso del mercato, non ci interessa lavorare sulle “masse”, raggiungere grandi numeri, ma piuttosto presidiare bene la nostra parte di mercato; offrire un prodotto che sia coerente, che aiuti le persone a migliorare la qualità della loro vita e che funzioni dal punto di vista identitario. Ci piacerebbe che Tulou fosse riconoscibile per quello che offre.
Inoltre pensiamo che ci sia la possibilità di cambiare il mercato nell’ambito degli affitti rivolti soprattutto agli studenti o giovani professionisti. Questo segmento è iperparcellizzato, ci sono i classici proprietari di più appartamenti che affittano, talvolta anche in nero, tendenzialmente in pessime condizioni rispetto ai prezzi d’affitto. In questo contesto possiamo intervenire mettendo pressione con la proposta di un modello di riferimento che mira a uno standard molto più alto di qualità di vita. In questo modo Tulou e altre realtà simili potrebbero contribuire a mettere fine a questa speculazione edilizia, per il bene della società.
UF – Oltre a Milano e Monza sappiamo che volete esportare il modello altrove: a Roma, Bologna, Firenze e Torino. Come state procedendo e che tipo di difficoltà state trovando, se ne state trovando? Più in generale, cosa vi aspettate che faccia il soggetto pubblico per favorire questo approccio di abitare collaborativo?
Il lavoro rispetto alle altre città in realtà è solo all’inizio. Abbiamo prima voluto cominciare da Milano che è la città che sicuramente conosciamo meglio e per la quale abbiamo in previsione anche altri progetti. Certamente Milano è la città in cui è anche più facile lavorare con l’istituzione.
Riguardo a come il soggetto pubblico potrebbe favorire il nostro approccio facciamo l’esempio di Roma. Qui il mercato ha maggiori vincoli in termini di cambio di destinazione d’uso che, sono più difficili rispetto a Milano. Questa è una scelta della pubblica amministrazione che può essere vincolante, ma che potrebbe essere cambiata. Questo andrebbe a favorire la riqualificazione di tanti immobili, come avviene a Milano. Qui il cambio di destinazione d’uso è ovviamente a pagamento, ma libero; e questo agevola molto il processo di rigenerazione.
Una seconda considerazione rispetto alle autorità pubbliche non riguarda tanto le municipalità prese come soggetti singoli, ma il complesso dei vari soggetti ‘istituzionali’ coinvolti: il comune, i consorzi, i parchi… sono ulteriori layer democratici. Sarebbe utile uniformare l’interlocutore a cui rivolgersi, avere un unico referente che coordini e norme più chiare e incentivanti; sicuramente velocizzerebbe tutto il processo.
UF – Per concludere una domanda più di carattere ‘generale’, diciamo di tipo ideologico. Il vecchio modello di abitare e costruire la città, con il pubblico che organizza, e spesso gestisce, gli insediamenti abitativi, in particolare il social housing, è definitivamente al tramonto? Come vedete la città del domani? Sarà gestita prevalentemente da pubblico, privato o da una collaborazione? E come pensate che debba essere?
Su un tema così ampio ci sentiamo di esprimere un parere personale che non rispecchia una posizione di Tulou, ma una nostra visione soggettiva. Al momento ci pare di vedere che le zone meglio tenute di Milano siano quelle gestite da privati; degli esempi possono essere CityLife, così come la Biblioteca degli Alberi a Porta Nuova, che sono spazi aperti al pubblico, ma gestiti da un privato, che oltretutto, per quanto riguarda la manutenzione del verde, paga di più a metro quadro rispetto al comune. Ci piacerebbe vedere qualcosa di diverso in futuro, uno scenario in cui si risolvano queste mancanze da parte della pubblica amministrazione, senza nulla togliere a questi esempi virtuosi di iniziativa privata.
Ovviamente che sia una Milano gestita da pubblico, privato o da una commistione dei due, desidereremmo una città più verde. È un tema di cui si parla tanto, ma a nostro parere non si è fatto abbastanza; così come ci piacerebbe una città più inclusiva e connessa.
Un’altra cosa che caratterizza Milano è l’ambizione ad essere una città internazionale. Ancora non riusciamo a paragonare Milano ad altri grandi capoluoghi europei, come Londra o Parigi, ma in realtà ci sono tutte le premesse per arrivare a farlo. Incrementare il verde e i trasporti sono proprio i punti su cui lavorare per raggiungere i parametri internazionali.
Referenze immagini: Marco Montella, Tulou
Viale Monza, Precotto, Riqualificazione, Tulou,
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Bella iniziativa.