Nel centro storico di Milano c’è una via che potrebbe benissimo passare inosservata vista la sua dimensione da vicolo o poco più, lungo solo settantacinque metri, ma che cela una storia millenaria e anche una terribile di cronaca nera. Si tratta della via Bagnera.
Via Bagnera unisce via Santa Marta e via Nerino. Con delibera del 13 settembre 1865 la vetusta Stretta Bagnera, assunse il più moderno appellativo di ‘‘via’’.
La strada segue un andamento a gomito, probabilmente originato dalla presenza, in antichità, di un ruscello o canale, forse qui scorreva il primitivo Nirone (o Nerino), il ruscello che attraversava il centro di Mediolanum, poi deviato più volte.
Il Nirone (detto anche Cantaràna in lingua lombarda) è un torrente che nasce a Cesate, a nord di Milano. Oggi unendosi all’altezza di Baranzate con il torrente Guisa dà origine al torrente Merlata, che prosegue il suo percorso verso sud attraversando Milano.
In origine il torrente Nirone non confluiva nel Guisa ma proseguiva il suo percorso giungendo in modo autonomo a Mediolanum (Milano), dove seguiva il suo alveo naturale che una volta giunto all’attuale zona di Porta Volta, discendeva zigzagando verso l’odiano Foro Bonaparte.
Probabilmente il percorso proseguiva per piazza Cordusio dove imboccando l’attuale via Bocchetto discendeva sino all’attuale Carrobbio dove unendosi con altre fonti, proseguiva come canale Vetra e Vettabbia per poi giungere a San Giuliano Milanese e confluire nel Lambro.
I romani costruendo la città di Mediolanum, non lontana dal villaggio celtico di Medhelan, iniziarono a convogliare le acque dei vari torrenti in percorsi stabiliti, così venne realizzato il Piccolo Sevese (Seveso), che portò le acque del Nirone a fungere da fossato difensivo.
Dato che l’antica Mediolanum era cresciuta e serviva nuova acqua per i più svariati usi (per gli artigiani nonché per gli usi pubblici, domestici e difensivi) lasciarono scorrere tra le vie della città piccoli corsi d’acqua, uno di questi sicuramente percorreva l’attuale via Bagnera.
Il nome si fa risalire all’epoca romana, essendo infatti la corruzione volgare poi dialettale del latino balnearia (una delle ipotesi); è infatti probabile che in questa zona sorgesse un edificio termale, più che altro una specie di moderno ‘‘diurno’’, più modesto rispetto alle più famose Terme Erculee nella zona di corso Europa. Un documento del 1050 parla di un luogo detto baniaria, non molto lontano dalla chiesa di San Giorgio. A confermare che si tratta di una zona molto importante all’epoca romana, qui vennero portati alla luce diversi mosaici e opere murarie di quei primi secoli di vita della città.
Nella via, nel 1872, scavando per costruire la fognatura, venne alla luce una porzione suddivisa in tre di un pavimento a mosaico di pietrucce bianche nere di epoca antica.
La via Bagnera nella seconda metà dell’Ottocento divenne famosa anche per un fatto di cronaca tra i più feroci dell’epoca.
Benché con precedenti penali per truffa e tentato omicidio in Piemonte, il muratore capomastro Antonio Boggia (1799-1862) dato El Togn, conduceva una vita tutta casa, chiesa e famiglia.
Nel 1831 si sposò e andò a vivere con la consorte in via Nerino 2, nello stabile di proprietà di Ester Maria Perrocchio, che sarà una delle sue vittime.
Boggia cominciò a uccidere nell’aprile del 1849: la prima vittima fu Angelo Ribbone, che venne derubato di 1400 svanziche (moneta in uso nel Lombardo Veneto) e il cui cadavere venne smembrato e nascosto nello scantinato del Boggia nella Stretta della Bagnera. Tutto però saltò alla luce quando il 26 febbraio 1860, Giovanni Murier denuncia la scomparsa della madre Ester Maria Perrocchio, di 76 anni.
Il giudice Crivelli si occupò delle indagini, scoprendo l’esistenza di una procura falsa, che investiva Antonio Boggia del ruolo di amministratore unico dei beni della donna. Si scoprì anche un precedente del Boggia che nel 1851 aveva tentato di uccidere con un’ascia un suo conoscente, tale Giovanni Comi. Boggia venne condannato dalla giustizia austriaca a tre mesi di manicomio criminale e poi tornò libero.
Ma alla denuncia di scomparsa si aggiunse in seguito la testimonianza dei vicini che avevano visto Antonio Boggia armeggiare con sacchi da muratore, mattoni e sabbia in un magazzino nella stretta Bagnera. La perquisizione del luogo fece scoprire, murato in una nicchia, il cadavere della donna. Altre ispezioni condotte nella stessa cantina portarono a un risultato sconcertante: altre tre cadaveri vennero rinvenuti sotto il pavimento. Durante il processo che ne seguì, il Boggia confessò gli omicidi e cercò fino all’ultimo di fingersi pazzo. Venne giudicato colpevole e condannato a morte per impiccagione che avvenne l’8 aprile 1862.
Questa fu anche l’ultima condanna a morte di un civile eseguita a Milano fino alla seconda guerra mondiale
mi risulta che il corpo della Perrocchio fosse stato murato nella stessa casa di via Nerino e non nello scantinato di via Bagnera, dove invece furono trovate le altre vittime del Boggia (tra cui degno di nota il fabbro Meazza).