Milano | Vetra – Il percorso della Vettabbia: vie Santa Croce, Vettabbia e Calatafimi

La Vettabbia, un tempo chiamato anche Naviglio della Vettabbia, è un canale agricolo che si forma nel sottosuolo di Milano a due passi dalla Basilica di San Lorenzo, all’incrocio tra via Santa Croce e via Vettabbia, per l’appunto, dall’unione del canale Molino delle Armi, del canale della Vetra (che dà il nome alla medesima piazza) e del Fugone del Magistrato (un piccolo canale che dalla cerchia dei navigli si infila nella via Vettabbia e si unisce agli altri formando il canale vero e proprio). Confluisce poi nel Cavo Redefossi all’altezza di San Giuliano Milanese. Un tempo completamente scoperto, oggi corre intubato nel sottosuolo fino a Viale Toscana, altezza del nuovo Campus della Bocconi, dove rivede la luce. Lungo le sue sponde si trovano i quartieri di Morivione, del Vigentino, Vaiano Valle e il Parco della Vettabbia, passando da Chiaravalle.

Di seguito alcune immagini di via Santa Croce dove scorreva il canale e si trovavano i mulini.

Una delle ipotesi più accreditate, fa derivare il nome Vettabbia dal latino Vectabilis, aggettivo che significa “che può essere trasportato” o anche idoneo (habilis), capace al trasporto (veho). La probabile origine del nome permetterebbe anche di collocare la sua trasformazione da semplice rigagnolo in una complessa rete navigabile in età romana. Questo nel quadro di una riorganizzazione della complessa rete idrografica mediolanense, che potrebbe aver coinvolto anche il Seveso, il Nirone e, successivamente, l’Olona.

Infatti il fossato che circondava la città assumerà nel tempo i nomi di Piccolo e Grande Sevese, il Piccolo ad ovest, il Grande ad est. Confluivano entrambi nella zona della Vetra, dove i romani scavarono il canale della Vepra, che serviva a portare le acque della Lombra e dell’Olona unite verso la città.
Da qui tutte le acque convogliate si riversavano nella Vettabbia.

Con ogni probabilità il torrente sarebbe stato reso navigabile per permettere il trasposto di merci da Mediolanum all’Eridanus (il fiume Po), passando per l’attuale Melegnano. Il corso dell’Olona, poi, secondo presunte ricostruzioni, sarebbe stato deviato per aumentare la portata del canale “vectabilis”. Quale che fosse l’organizzazione delle acque superficiali a Milano in età romana – sappiamo che l’ingegneria romana eccelleva in materia ed è quindi credibile che all’epoca si programmassero e avviassero opere che oggi definiremmo di “interesse regionale” – certamente le testimonianze successive ci permettono di studiare, ricostruire e seguire il tracciato della Vettabbia, nel tempo, fino ad oggi, con sicurezza. (fonte: Proposte di potenziamento del sistema – MUMI – Ecomuseo Milano Sud, su mumi-ecomuseo.it.)

Nel Medioevo la Vettabbia perde la sua navigabilità, ma continua a svolgere la funzione di scolo delle acque di Milano, ma anche delle bonifiche dei cistercensi di Chiaravalle. Inoltre altri corsi d’acqua artificiali vengono costruiti e recapitati alla Vettabbia, inizierà quindi la storia dei Navigli.
La fossa interna (Cerchia dei Navigli) venne incominciata attorno al 1156 con scopi difensivi, fu distrutta nel 1162 da Barbarossa, e quindi ricostruita dai milanesi nel 1167 e negli anni seguenti. Principale recapito delle acque della Fossa Interna, anche se non unico (vedi a pag 16 di questo thread), era la Roggia Vettabbia. La fossa non si univa direttamente alla Vettabbia, ma la scavalcava presso la Torre dell’Imperatore e l’immissione dell’acqua nella Vettabbia avveniva tramite due scaricatori posti ai lati della Torre stessa, fortificazione a guardia sia della Città, sia della regolazione delle acque.
Inoltre nel 1179 incominciò la costruzione del Naviglio Grande (allora si chiamava Ticinello), che nel 1211 arrivò a Milano ed ebbe come recapito sempre la Roggia Vettabbia.

Il salto di quota tra la Fossa Interna e la Vettabbia garantiva forza motrice a vari mulini, che in questa zona erano adibiti, probabilmente all’azionamento dei mantici degli altoforni e ai magli per la produzione delle armi per cui Milano era famosa in tutta Europa. Da qui il toponimo ancora in uso di Via Molino delle Armi.
Da notare che il nome Ticinello è rimasto, fino ad oggi, ad identificre quel corso d’acqua, un tempo ultimo tratto del Naviglio Grande, che dopo il Ponte di Porta Ticinese, portava un tempo alla Vettabbia, ora nasce dalla Darsena e scorrendo affiancato alla Vettabbia per un breve tratto va ad irrigare alcune zone a sud di Milano. 

Nel XIV Secolo la Vettabbia cominciò ad essere in parte sgravata dal compito di evacuare quasi tutte le acque di Milano con la costruzione del Navigliaccio, primo abbozzo del Naviglio Pavese. Ma Nuovamente, dopo la costruzione delle mura spagnole e della Darsena vi fu immesso il Redefossi, che al tempo aveva la funzione di fossato difensivo e scarico delle acque di Martesana, Seveso, e varie altre rogge provenienti da nord di Milano.
Naturalmente questa situazione provocava spesso inondazioni lungo il corso della Vettabbia, e nel 1783 si dovette dare l’avvio alla deviazione del Redefossi lungo quello che oggi è Corso Lodi. Il nuovo corso del Redefossi, da Porta Romana a Melegnano entrò in funzione finalmente nel 1786 e sgravò la Vettabbia dalle portate di piena per tutto il suo corso eccetto la porzione terminale da Melegnano al Lambro.

L’attività dei mulini lungo la Vettabbia perdurò in città come in campagna per vari secoli, fino all’inizio del ‘900.

Sicuramente qualcuno avrà notato il dislivello tra la via Molino delle Armi e lo slargo dove si incrociano via Santa Croce e via Calatafimi. Qui, ad angolo, si trova l’unico edificio ottocentesco. Edificio che possiamo vedere nelle foto d’epoca (Foto 2 e 3) e che a lato aveva le pale del mulino che venivano azionate dal canale che qui faceva un salto di pochi metri ma che bastavano per azionarie.

Dove si incrociano nel sottosuolo i tre canali citati, ora in superficie si incrociano 5 vie: Santa Croce, Vettabbia, Cosimo del Fante, Calatafimi e Banfi. Al posto della gorgogliante acqua dei canali (Foto 4 durante la copertura) oggi c’è una piccola aiuola e una brutta rotonda in catrame.

Oggi quest’angolo di Milano è tra i più brutti del centro città. Snaturato con la costruzione di palazzi post-bellici abbastanza anonimi anche se tra di essi compaiono anche nomi di grandi architetti come Luigi Caccia Dominioni.

Domina lo slargo un turrito palazzo del primo Novecento in rossi mattoni, Casa Venegoni. Infatti, molto bello e scenografico è il palazzo al civico 16 di via Cosimo del FanteCasa Venegoni, il bel palazzo eclettico dalle forme che ricordano un castello con tanto di torretta d’angolo. Venne costruito fra 1923 e 1927.

Nelle vicinanze di quest’incrocio sorgeva un grande monastero, il Monastero delle Dame Vergini alla Vettabbia. Purtroppo ben poco è stato preservato e disseminato un po’ ovunque nel quartiere. Qui potete trovare la sua storia.

Noi abbiamo provato a a trasformare quest’angolo di Milano, magari collocandovi anche una fontana al centro a ricordo di cosa c’è sotto la superficie e cosa c’era prima degli interventi di trasformazione.

Per l'utilizzo delle immagini scrivere a info@dodecaedrourbano.com

13 commenti su “Milano | Vetra – Il percorso della Vettabbia: vie Santa Croce, Vettabbia e Calatafimi”

  1. Immagini evocative di una Milano contadina, autoctona e triste, senza neanche un briciolo di diversità etnica o culturale. Chi rinnega la libera circolazione delle merci, dei servizi e dei capitali (e soprattutto delle persone) dovrebbe sempre tener presente che la squallida alternativa è questa…

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    • Credo che per “ immagini evocative” questo pir.a qui sopra ammetta di aver visto solo le figure, senza leggere il testo, per il quale ringraziamo UF per la ricerca e l’impegno.

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    • caro amico,

      se pensi che Milano (o qualsiasi altra città europea, se è per questo) nell’800 fosse “autoctona” — ma anche nel 700, 600, 500 e via dicendo — probabilmente non hai mai aperto un libro di storia in vita tua a parte il manuale di seconda media.

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      • Non puoi nemmeno passare all’estremo opposto e definire Milano una città multietnica. A quei tempi (limitatamente) multietniche erano le città con un grosso porto. E comunque col progressivo isolamento e declino dell’Italia dopo il 1600, anche li le cose erano un po’ cambiate.

        Diverso era ad esempio al tempo dei Romani. Anche se fare paragoni con un’epoca così lontana è arbitrario.

        In ogni caso le orde di Longobardi che invasero e sottomisero l’Italia spopolata ed in completo disfacimento demografico, non erano più di 120.000 persone. Su un totale di popolazione che tra peste e guerre era ridotta forse a non più di 5 milioni, una frazione di quello che era pochi secoli prima.
        Se fai due conti e proporzioni, passano i secoli ma le proporzioni son sempre le stesse 🙂

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        • Usare il termine ‘multietnico’, inventato nel 1985 circa, per descrivere qualcosa che c’è sempre stato, in forme e modi diversi, il movimento di persone attraverso città e stati, è un anacronismo.

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