Nuovo appuntamento con il “museo diffuso“, il nostro viaggio a caccia di piccoli capolavori meno noti e di facile accesso sparsi per la città.
Questa volta vi portiamo nella graziosa chiesa neo-manierista di San Bartolomeo in via della Moscova a Porta Nuova.
L’attuale chiesa del 1864, prese il posto di una precedente edificio dedicato a San Bartolomeo situata di fronte alla Porta Nuova medievale, in via Fatebenefratelli all’angolo con piazza Cavour, demolita nel 1864 per l’apertura del corso Principe Umberto, l’odierna via Turati.
Il progetto per la nuova chiesa fu affidato all’architetto Maurizio Garavaglia e Buzzi che cercarono di realizzarla in uno stile che ricordasse il precedente tempio demolito. Al suo interno vennero portati dalla vecchia chiesa altari, arredi e dipinti.
L’altare laterale che troviamo sulla destra, è dedicato a San Bartolomeo. La pala centrale rappresenta il martirio del Santo ed è attribuita al pittore lombardo Daniele Crespi (Busto Arsizio, 1598 – Milano, 19 luglio 1630).
Nonostante la sua prematura scomparsa per via della peste manzoniana del 1630, il Crespi è annoverato tra i maggiori esponenti del Seicento lombardo.
La tela non è datata e non è autografata, possiede una copia quasi identica custodita nella sagrestia della chiesa di San Calimero (Porta Romana), anch’essa attribuita al pittore di Busto Arsizio. Per molti l’autore era lo stesso Crespi che realizzò le due copie, come si usava spesso all’epoca.
“Il martirio di San Bartolomeo” è rappresentato in una posa plastica degna del Procaccini. Viene descritto il momento in cui San Bartolomeo sta per essere scuoiato. La scena si svolge in campo nero e scuro, dove campeggiano i personaggi, il Santo, due esecutori della pena e un soldato, ai piedi del quale si trova un cane, simbolo di fedeltà.
Bartolomeo è apostolo e martire. Nasce a Cana, in Galilea. La «Passione» che ne racconta la vita è caratterizzata da episodi leggendari. Il suo vero nome è Natanaele. Dopo la Resurrezione, è predicatore in Armenia, India e Mesopotamia.
Secondo la tradizione, conosce un martirio atroce: dapprima scorticato vivo, sarebbe poi stato crocefisso. Storicamente, con l’espressione la «notte di san Bartolomeo» si fa riferimento alle ore tra il 23 e il 24 agosto del 1572, quando migliaia di cristiani ugonotti vennero trucidati in Francia dai cattolici.
La descrizione del martirio secondo santiebeati.it:
In un tempio di Albanopoli (Armenia) dedicato ad Astarot vi erano molti infermi desiderosi di riacquistare la salute perduta e molti illusi attendevano gli oracoli del demonio. Un giorno San Bartolomeo volle entrare nel tempio ed affrontare Satana che godeva dell’incontrastato dominio. Non appena vi entrò Astarot ammutolì e non continuò le sue opere di guarigione per alcuni giorni. I sacerdoti del tempio, preoccupati, si rivolsero ad un altro demonio chiamato Berith che interrogato sull’interruzione di Astarot rispose che San Bartolomeo, apostolo del vero Dio, era entrato nel tempio e teneva incatenato il demonio con fasce di fuoco. Nel frattempo la fama di San Bartolomeo era cresciuta e molte persone gli portavano infermi, malati e posseduti dal demonio per farli curare. A San Bartolomeo si rivolse anche l’amministratore della provincia dell’Armenia e fratello del re, per far guarire la figlia precedentemente portata ad Astarot. Dopo l’ennesima importante guarigione, i sacerdoti di Astarot si rivoltarono istigando il re Astiage che, vista la rovina verso cui era andato il tempio, ordinò che San Bartolomeo fosse prima flagellato e poi appeso in croce a testa all’ingiù con del fuoco che lo soffocasse. Poiché il Santo resistette a queste atrocità il re comandò che fosse scorticato vivo dalla testa ai piedi. Le sole due membra che restarono illese, gli occhi e la lingua servirono all’apostolo per gli ultimi bagliori della sua missione apostolica prima di essere decapitato.
Il seicentesco dipinto versava in condizioni pessime, tra lacerazioni e distacco della pittura dalla tela, così è stato restaurato nel laboratorio di BCP – Francesca Bazan, Alessandra Caccia e Annalisa Pistocchi.
Che bello, non conoscevo. Grazie