In Corso Buenos Aires si trovano due gallerie che portano il nome del corso, una all’altezza di piazza Lima e l’altra prossima a Piazzale Loreto.
Entrambe sono gallerie sorte negli anni Cinquanta.
La prima si trova in Corso Buenos Aires all’altezza di piazza Lima e venne eretta tra il 1954 e il 1955 all’interno di un palazzo polifunzionale che occupò l’intero isolato, completato però solo nel 1961 col blocco di via Redi.
La Galleria Buenos Aires di piazza Lima è un lungo corridoio (circa 140 metri) solcato da due altri corridoi più corti che la collegano al corso, dove si trovano alcuni spazi commerciali che, nel corso del tempo sono stati trasformati in uffici o hanno chiuso, specie quelli sul lato dispari, dove la corrispondenza con i negozi che affacciano anche sul corso hanno condizionato l’utilizzo delle vetrine nella galleria, oramai quasi tutte chiuse da pannelli o adesive utilizzate come retrobottega. Una tristezza.
La Galeria Buenos Aires di Piazza Lima ha il particolare di essere una “strada” con numeri civici (16) dove hanno accesso centinaia di condòmini nei vari portoni.
La seconda Galleria Buenos Aires si trova invece all’altezza di Piazzale Loreto e collega il corso con via Andrea Doria. Questa galleria, sorta sul finire degli anni Cinquanta, venne eretta nello stesso luogo dove si trovava il famoso distributore di benzina dove vennero appesi, il 28 aprile 1945, i cadaveri di Mussolini, con la Petacci e alcuni gerarchi fascisti esposti in piazzale Loreto.
Questa galleria, che la sera viene chiusa, è un passaggio ricavato all’interno di due palazzi (Corso Buenos Aires 79 e Via Andrea Doria 56) e non ha numeri civici al suo interno.
Lunga all’incirca una cinquantina di metri, segue un andamento a zigzag. Anch’essa al suo interno ha diversi negozi, la maggioranza dei quali sono attualmente chiusi e inutilizzati.
Purtroppo ci è stato anche segnalato come l’omonimia delle due gallerie procuri spesso problemi logistici per le consegne, specie per la galleria di Piazza Lima. Possibile non aver potuto dare un altro nome alla seconda galleria, chessò, chiamarla Loreto, vista la zona in cui si trova, o Andrea Doria?
Ad ogni modo, entrambe le gallerie sembra stiano passando un periodo di assoluto abbandono da parte del commercio (un problema comune ad altri spazi pubblici simili), dato che sono poche le iniziative per ravvivarle con nessuna prospettiva futura.
Nel retail la chiave è il traffico, ormai nessuno entra più in questo genere di gallerie (come quella in via Torino), è impossibile generare utili in questi luoghi “nascosti”. A meno di non essere un’attività talmente famosa da essere cercata, come potrebbe essere un salone di bellezza di nome o cose di questo tipo. Gli spazi sono troppi rispetto alle vere attività profittevoli
Ogni cosa ha un giusto prezzo, gli affitti lì dentro devono necessariamente essere più bassi e sicuramente non possono contenere che servizi al quartiere (lavanderie, laboratori analisi, centri estetici), negozi che campano del passaparola e non della vetrina.
In alcuni casi (zona San Babila) ho visto sopravvivere al loro interno dei bar ma credo dipende dall’utilizzo della zona. In presenza di molti uffici anche quel tipo di attività può (poteva?) sopravvivere
Il problema è comune a molti spazi interrati, ci sono anche alcune stazioni recenti (es quelle del passante) senza neanche un servizio minimale tipo la vendita di un biglietto quando la macchinetta (al solito) è guasta. Ci sono alcune stazioni che sembrano i sotterranei del castello di dracula (es dateo) molto mal progettati, con un acustica che sembra uno scherzo, accessi nascosti e irrazionali, squallore generale. Il gestore anzichè pensare solo a guadagnare dovrebbe capire che qualche servizio attivo (non depositi!) Nel MM è anche un SERVIZIO ai passeggeri.
Bisognerebbe che sia vietato di oscurare le vetrine da parte dei bottegai in questo modo.
Tutto ciò dequalifica e rende pericolosa la galleria stessa.
Mi piace ricordare che nella galleria vicina a piazzale Loreto al numero 77 aveva la sede la casa editrice musicale RI-FI di Giovan Battista Ansoldi che pubblicava i dischi di Mina e di Iva Zanicchi. Quell’indirizzo era stampato sulle copertine dei nostri dischi degli anni ’60. E’ un indirizzo che appartiene alla storia minore della nostra città. Un po’ come via Bianca di Savoia 8, sede della Mondadori ovvero “La Casa di Topolino”. O via Stresa 22, dove sta sorgendo la Torre Milano, dove, prima dell’Assessorato alla Sanità della Regione Lombardia sorgeva la Casa Editrice Universo che pubblicava i giornaletti della nostra infanzia: Il Monello, l’Intrepido e l’Albo dell’Intrepido.
Sono lontani i tempi dei grandi fasti in questa galleria. Ricordo il mitico “Mandarino” che vendeva HI-FI per auto e prodotti per la casa. Le persone arrivavano anche dalla periferia per acquistare da lui. Nessun negozio a Milano con prezzi così bassi. Era facile avere successo allora, prima che i giornali si vendessero anche al supermercato e l’autoradio fosse di serie nelle auto. Purtroppo il progresso ha tagliato le gambe a molti imprenditori ma nulla in confronto al Covid.