Passando dal ponte di Porta Vercellina a quello di Santo Ambrosio nella strada corrispondente al corso dell’acqua vi è la chiesa e collegio di San Gerolamo, la quale ebbe il suo principio verso l’anno 1458. Così scriveva Serviliano Latuada (o Lattuada, Milano, 1704 – Milano, 1764) abate e scrittore storico nella sua guida di Milano divisa in cinque volumi, dal titolo Descrizione di Milano e ornata con molti disegni in rame delle fabbriche più cospicue, che si trovano in questa metropoli del 1737-1738.
Era la metà del Quattrocento quando il beato Antonio Bettini Senese, poi vescovo di Foligno, convinse il duca di Milano, Francesco Sforza, ad impiegare 800 fiorini per la realizzazione e lo sviluppo di una chiesa e di un convento dedicato a San Girolamo. Accettò il buon vescovo l’offerta fattagli dal duca, e scelse il luogo appena fuori le antica mura medievali a Porta Vercellina lungo il canale del Naviglio.
Il convento corrispondeva all’incirca all’isolato fra le vie Mellerio, Marradi e Corso Magenta, posto lungo la strada che portò per lungo tempo il nome di San Gerolamo e ora si chiama Via Carducci. Dietro al convento si estendevano gli orti che si estendevano fino ai bastioni aldilà di San Vittore, dove si trovavano anche le famose vigne di Leonardo da Vinci.
La chiesa pare sia stata progettata da Virginio Mangoni, che la realizzò ad una sola navata, molto grande e con sette cappelle compresa quella maggiore dietro l’altare. La sommità di questo tempio era coperta di finissime pitture fatte da Giuseppe e Stefano Montalti, eccettuata la prospettiva opera di Odoardo Ricci. Il coro è stato dipinto dai fratelli Fiamminghini, ed altre immagini affrescate alle pareti vantano per autori Gerolamo Chignlì e Melchiorre Gherardini. Il prospetto esteriore di questa chiesa, possedeva un cortile anteriore porticato con colonne e la facciata venne realizzata in puro stile barocco milanese (per avere un idea si veda la chiesa di Sant’Angelo).
Il convento dopo il 1600 cadde in disgrazia per la mancanza di fondi e venne soppresso nel 1668. In seguito il complesso conventuale diventò il noviziato dei gesuiti, soppressi anch’essi; nel 1773, fu la volta dei padri Somaschi, che lo tennero fino al 1798, quando a seguito delle soppressioni repubblicane fu convertito in caserma e in magazzini militari.
Abbandonato, iniziò ad andare in rovina e la chiesa fu trasformata in laboratorio chimico. In pratica un certo Francesco Bossi chiese al governo, nel maggio 1799, l’autorizzazione a installare una fabbrica di acido solforico, partendo dalla combustione di una miscela di zolfo e salnistro (nitrato di potassio: nitro del Cile), e di altri prodotti chimici. La pratica venne esaminata poi successivamente dalla neonata Repubblica Italiana dopo il 14 giugno 1800, ed egli ottenne la concessione dell’uso gratuito di alcuni locali dell’ex-convento di San Girolamo, confiscato dallo stato repubblicano e adibito a caserma e ad abitazione.
Nel 1817, chiuso il laboratorio, la chiesa divenne un ospizio per trovatelli e il convento una caserma.
Il tutto resistette più o meno fino alla fine del XIX secolo e nel 1899 la Chiesa nonostante si fosse ornata nel tempo – come abbiamo visto – di affreschi dei Fiammenghini non si salvò.
Nel 1920 quel che rimaneva venne ceduto ai privati che vi innalzarono comode abitazioni e tre vie che uniranno via Carducci con Via Aristide de Togni.
Purtroppo pochissime sono le immagini giunte a noi di questa chiesa, dove si può vedere solo un portone barocco murato che probabilmente permetteva l’accesso al cortile porticato e un tratto di strada col convento e il naviglio morto.
Articolo molto interessante e utile, non sono informazioni facili da reperire, visto che si trova molto poco sulla ex via San Gerolamo e la rispettiva chiesa.
Mi domando se abbiate trovato informazioni anche sugli vecchi laboratori della Fabbrica del Duomo, posizionati in questa zona dopo la chiusura del Laghetto di S. Stefano a fine ottocento, prima di quelli della Darsena degli anni ’30.
Ad ogni modo, chapeau