La cona e i riti del Natale

Una tradizione affascinante e per nulla scontata è quella delle cone.

Cona è un termine dialettale che si va perdendo, insieme ai rituali connessi, nonostante l’antica e resistente origine. E lo stesso termine tanto dialettale non è, o perlomeno nasconde un’origine nobile, pur dispersa nel tempo.
Spieghiamo brevemente per chi venisse per la prima volta a conoscenza di questo termine, cosa si intende(va) per cona in Sicilia.

Cona della Sacra Famiglia su via Penninello.

Le cone sono gli altarini che venivano eretti sulle facciate dei palazzi, in particolare presso gli angoli degli stessi, in prossimità degli incroci.

La presenza di altari a proteggere le strade e i viandanti non è storia recente, ma si perde nelle origini greche della cultura siciliana. Gli incroci, da che esistono le città, sono sempre stati considerati punti delicati e pericolosi, dove poteva accadere di tutto. Tralasciando i significati escatologici e il simbolismo legato alla croce in sé (per esempio, è di cattivo auspicio incrociare le braccia quando quattro persone si stringono le mani), è interessante notare come già prima del traffico si ritenesse che gli dèi protettori dovessero guardare questi punti della città. Una sorta di “semaforo rosso” contro le avversità. Tale usanza si mantiene durante la dominazione romana, che anzi sembra particolarmente interessata a diffonderla, sovrapponendo i larari ai santuari greci.

Santuario in un incrocio a Megara Hyblea.

I larari erano essenzialmente edicole votive, non dissimili da quanto oggi è ancora visibile, in cui veniva alloggiata una immagine che rappresentasse i lari, ossia gli spiriti dei defunti del familiare che costruì l’edicola, persone buone che assumevano un ruolo apotropaico dopo la morte. Nel caso specifico degli incroci si definivano lares compitales, ma i più diffusi si trovavano all’interno delle singole abitazioni (lares familiares), dove è plausibile che vi si custodissero originariamente le ceneri dei propri cari.

Presso i larari avveniva il celebre scambio di doni chiamato Sigillaria, che cadeva per il 20 di dicembre e secondo molti studiosi la radice della simile tradizione natalizia, in quanto per tale occasione ci si scambiavano statuine rappresentanti i defunti lari in ceramica sigillata, donde il nome. Bisogna aggiungere che dicembre era il mese dei saturnali, delle feste legate a Saturno, dio del tempo, cui si offrivano di fiammelle simboliche, non dissimili dai ceri funebri in uso nella cultura cristiana.

Cona di San Francesco e l’Immacolata, via Crociferi.

La cultura cristiana non solo assorbe i larari, ma li riveste di grande importanza, tanto religiosa quanto sociale, tanto storica quanto artistica. Nel culto orientale si diffonde all’interno delle edicole votive l’immagine dipinta, che prende il nome di εἰκών, da cui la latinizzazione in icona. Appare ora chiara l’origine culturale ed etimologica della cona siciliana, per aferesi l’icona perse l’iniziale, mantenendone però significato e scopo. Ma la tradizione è ben più complessa e così attorno alla cona esistono altre peculiarità, concentrate nel periodo natalizio, nel mese che fu delle saturnali.

Le cone siciliane, come anticipavamo, si possono ritrovare in prevalenza presso gli angoli degli edifici in prossimità degli incroci, proprio come quei lares compitales di antica origine.

Cona mariana datata dicembre 1833, via Vittorio Emanuele.

Le immagini rappresentate, chiaramente, appartengono all’iconografica agiografica cristiana, con una netta prevalenza della Sacra Famiglia sulle altre. Va detto che in età medioevale a Catania era forse la Madonna delle Grazie l’immagine più diffusa a livello popolare, gradatamente sostituita dalla figura di Sant’Agata. L’edicola dedicata alla Sacra Famiglia deve probabilmente la sua diffusione all’ordine dei Francescani, i quali perseguirono la tradizione iniziata dal loro fondatore: il Presepe di Greccio. Tale rappresentazione era quella popolarmente più importante durante il mese di dicembre, poiché veniva improvvisamente rivestita di una sacralità delicata ed intima per il culto del Natale. I culti svolti erano molteplici, così dovremo cercare di descriverli nel loro ordine cronologico, per meglio chiarirne la dinamica.

Cona in via Ferro Fabiani, Canalicchio.

Tutto aveva inizio per Santa Lucia, il 13 dicembre, giorno magico per eccellenza, legato al culto della luce (che da tale data al solstizio invernale accelerava la sua diminuzione). Abbiamo già trattato di come tale data fosse importante per la civiltà contadina, ma anche la civiltà cittadina sfruttava il giorno per i suoi rituali. Il 13 infatti si procedeva a cunzari la cona, ossia addobbare l’edicola della Sacra Famiglia con piante specifiche che popolarmente si riteneva scacciassero il male. Come le piante saturnali, quali l’abete o il pungitopo, che con le loro spine tenevano lontani gli spiriti maligni permettendo al nuovo sole di emergere e risplendere sano. Tra queste la sparacogna, termine dialettale che indica i rami dell’asparago, viene ereditata dai culti popolari e diventa simbolicamente la rutta, la Grotta del Presepe. Sulla sparacogna in epoche un po’ più recenti venivano gettate piccole porzioni di cuttuni sciusu, il cotone idrofilo, a simulare la neve, mentre alla base venivano fatte le offerte di cibo della frutta di stagione: melagrane, fichi, uva, pinoli (già presenti nei rituali romani) e in epoche più recenti gli agrumi. La frutta, posta alla base dell’edicola dentro cesti in vimini intrecciati a mano (panari) secondo il rito veniva rivestita dall’aura del Sacro, secondo un processo che in culture più lontane e antiche si definisce Prasad. Il panaro invece rammenta egregiamente il mito della cornucopia, simbolo di ricchezza e di abbondanza.

Piazza Giuseppe Sciuti, già Chianu di l’Orvi.

Ad un paio di giorni iniziavano le novene. La novena è il ripetere nove volte un rito, in prevalenza una litania, un canto, una preghiera. I nove giorni che anticipano il Natale (dal 16 al 24 dicembre) iniziavano con un rituale ormai praticamente dimenticato: l’accensione del cero. Ogni mattina, veniva posta una candela bianca per otto giorni di fila, per la Vigilia si accendeva l’ultima candela che era invece di colore rosso. La simbologia vede nelle nove candele la gestazione di Maria, conclusa nel sangue del parto, dovuta alla sua verginità. Un rito certamente affascinante, che però si trova oggi a non essere del tutto compreso dai pochi che ancora lo compiono.

La sera un’altra novena certamente più famosa era quella musicale. Gruppi di musicisti si riunivano a cantare inni al Bambin Gesù, chiedendo “maccaruna e vinu” alla padrona di casa. Dalle campagne, affrontando i pericoli della campagna di notte e camminando per centinaia di chilometri, giungevano i ciaramiddari (zampognari), pastori con le loro ciaramedde. Catania conosce un’usanza deliziosa: la nuvena di l’ovvi, la novena dei ciechi.

Cona della Sacra Famiglia, via Crociferi.

I non vedenti si riunivano in piazza Sciuti, una piazzetta quadrata oggi umiliata da un parcheggio nei pressi della Fiera, chiamata un tempo Chianu di l’Ovvi, piano degli orbi. Questi recitavano rosari e cantavano inni natalizi con profondo senso religioso, ma non essendo definibili dei latinisti e complice qualche bicchiere di vino in più, al momento della corona pronunciavano per come meglio riuscivano ad intendere i passi originali, con i risultati tra i più incredibili. Così la Turris Eburnea diventava Turi s’abbunnia (Salvatore abbonda), Regina sine labe concepta diventava Riggina sinza lampi e sinza trona (Regina senza lampi e senza tuoni), Mater inviolata diventava Matri minnulata (Madre mandorlata)…

Da un paio di anni l’Herborarium Museum e
l’Associazione Stelle e Ambiente vi allestiscono
il conzo della Cona (FONTE).

Alla fine del rito natalizio, “nato” il Santo Bambino, si ridistribuiva il cibo ospite dell’edicola, che era adesso benedetto. Spesso ognuno prendeva per sé, magari impedendo agli altri di prendere la propria parte. Così ancora oggi, quando una persona appare particolarmente ingorda, fa ancora parte dei nostri modi di dire l’espressione “calarisi ‘na cona, inteso propriamente come “divorarsi (il paniere di) una edicola” o talora, ma sempre più raro, “calarisi ‘na vigna e ‘na cona”.

L’importanza delle edicole votive era quindi fondamentale nel quotidiano, ma in particolar modo durante le festività natalizie, una importanza che si è persa con l’assorbimento di elementi globalizzati e pertinenti ad una cultura di tipo capitalistico che mancano di quel fascino che solo i costumi popolari sanno evocare.
Per l'utilizzo delle immagini scrivere a info@dodecaedrourbano.com

0 commenti su “La cona e i riti del Natale”

  1. Grazie per la dettagliata e approfondita descrizione.
    Ho imparato aspetti della tradizione siciliana che non conoscevo e, soprattutto, ho ricordato abitudini e rituali che hanno caratterizzato la mia, ormai lontana, infanzia.
    Sicuramente alberi di plastica e persone grasse vestie di rosso rappresentano il simbolo di un decadimento forse irreversibile.
    Vito Cutuli

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  2. Gentile Vito Cutuli,
    Grazie per il bel messaggio e soprattutto per la testimonianza! 🙂

    Nel nostro piccolo, su questo blog, stiamo facendo rivivere l'usanza delle carennuli (e a proposito, non perdere i prossimi aggiornamenti). Il prossimo anno, chissà, potremmo trovare il modo di far rivivere l'usanza delle candele per la novena.

    Candele e calende contro gli alberi di plastica!

    Un caro saluto,

    Io'-Archeo

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  3. Io'-Archeo, guarda cosa ho trovato , non so se ha a che fare con le calende Siciliane !

    Ελληνικά Κάλανδα – Canzoni Natalizie Greche.

    Il termine greco "κάλαντα" (kálanda) deriva dal greco bizantino "καλένδαι" o "καλάνδαι" che a sua volta deriva dal latino "calendae". Nell'impero bizantino "calende" si designavano le festività e le sagre dei "gentili" che si tenevano il 1° gennaio. Il VI Concilio Ecumenico tenuto a Costantinopoli nel 662 condannò queste feste in quanto non cristiane. Per tale scopo introdussero delle canzoni popolari inerenti a delle feste religiose cristiane e questa usanza si mantiene tuttora.

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  4. Γεια Σασ, Μαριαννα-α!
    Grazie mille per l'apprezzamento, chiedo perdono per non aver replicato prima.
    Sono lieto che seguirai il blog.
    In merito alle "καλένδαι", quelle che citi sembrano piuttosto le calende romane, il primo ciclo festivo dell'anno da cui si deve il termine "calendario". Le "calende" o "carennuli" hanno probabilmente una origine etimologica simile o persino uguale, ma nella sostanza sono cose ben diverse: lì si festeggiava il nuovo anno, qui si cercava di prevedere il futuro grazie al periodo "magico" del solstizio invernale.

    Grazie ancora per i messaggi e per la graditissima testimonianza (ho sempre piacere nel conoscere usi e costumi Greci), un caro saluto e Felice anno nuovo!

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