Milano | Chiaravalle – L’abbazia e il Bramante perduto

pesso i monumenti storici nel corso dei secoli subiscono molte trasformazioni, aggiunte e soppressioni: anche l’abbazia di Chiaravalle non è stata risparmiata. Il complesso monastico di Chiaravalle Milanese, un’abbazia fondata nel 1135 e consacrata nel 1221, nel corso della sua secolare storia si è arricchita di opere ma ha anche perso buona parte del suo ricco patrimonio, compreso un bellissimo chiostro disegnato da Bramante.

Fondata, come abbiamo scritto, nel 1135, già nel 1300 viene modificata, epoca in cui viene arricchita  sopra il tiburio dove viene innalzata la grande torre nolare, tradizionalmente attribuita all’architetto Francesco Pecorari, impegnato in quel periodo per Azzone Visconti signore di Milano alla chiesa e al campanile di San Gottardo in Corte.

Le trasformazioni proseguono come si può immaginare, così nel 1412 l’abate Antonio Fontana fa edificare la sacrestia innestata nel braccio destro del transetto, e all’ingresso del complesso abbaziale la foresteria da un lato e la cappella di S. Bernardo dall’altro. Ecco che sul finire del secolo, esattamente dal 1493, vengono iniziati i lavori per un nuovo e grande chiostro attribuito al grande architetto Bramante per la similitudine col chiostro del monastero di S. Ambrogio (1497), basato su un ritmo di due finestre tra lesene al primo piano, in corrispondenza di un’alta arcata al piano terreno. Chiostro che comunque non viene completato, rimanendo a formare una specie di U rivolta verso la campagna. Bramante opera a Chiaravalle forse anche nella riforma della sala capitolare, la cui decorazione a graffito raffigura temi di architettura milanese della fine del ‘400; e anche come pittore, dipingendo il “Cristo alla Colonna” già in una cappella laterale della chiesa, e dal 1915 in deposito a Brera (nell’abbazia si trova una copia).

Per tutto il 1500 si cerca di restaurare e riparare la grande chiesa. Naturalmente non mancano le demolizioni, come l’antico ospizio dei pellegrini nel 1592, un’ala porticata lunga settanta metri che esisteva presso la foresteria. Nel ‘600 viene rifatta la facciata nello stile del tempo, realizzata nel 1625 per impulso dell’abate Faruffini; e la costruzione dell’ala dei novizi dietro l’abside, poi rifatta nel 1734.   Nel 1640 viene realizzato il preziosissimo coro ligneo dei monaci, opera di Carlo Garavaglia.   E sempre in quest’epoca viene realizzato un altar maggiore barocco (su disegno di A. Biffi), che comporta pure la tamponatura delle finestre originarie nella parete di fondo dell’abside (1687). Ma il Seicento vede attuarsi non solo interventi di aggiunta, abbellimento o riforma, bensì pure opere di restauro inteso come riparazione dei danni del tempo. Oggetto di molte cure è la torre, dove a più riprese tra 1647 e 1689 si provvede al restauro delle logge, sostituendo gran parte delle colonnine e delle parti in pietra rovinate dal tempo con altre di diverso materiale (granito) e forma.   Nel 1798 il governo della Repubblica Cisalpina sopprime, insieme con la congregazione cistercense, il monastero, perciò la chiesa di conseguenza diviene semplice parrocchia del paese vicino, e il monastero e tutte le vaste proprietà vengono venduti, ponendo le premesse per demolizioni degli edifici ritenuti inutili. Tra questi edifici ritenuti inutili lo si ha nell’inutile abbattimento nel 1861 del braccio del chiostro bramantesco, a causa della costruzione della ferrovia Milano-Genova. Vengono anche demoliti tre lati del chiostro trecentesco, la sala capitolare, il noviziato, la casa dell’abate, parte delle cappelle del cimitero monastico, pressoché tutta la parte più orientale del complesso abbaziale. La chiesa si salva grazie al fatto che è usata per il culto dalla vicina comunità contadina e rimangono intatti, oltre a essa, il refettorio, gli edifici d’ingresso, l’ala cosiddetta dei conversi, il mulino e altri edifici minori.

Così arriviamo alla fine dell’Ottocento dove si decide finalmente di porre fine al degrado del complesso e al suo restauro. E’ infatti nel 1894 che l’Ufficio regionale per la conservazione dei monumenti della Lombardia, diretto da Luca Beltrami, acquista terreni circostanti per isolare la chiesa e quanto resta del compendio abbaziale, costruendo un muro di cinta verso la ferrovia che lo aveva tagliato; acquisisce pure parte degli edifici dell’abbazia dai privati che l’abitavano, e dà inizio a una campagna di restauri. Il primo intervento è condotto nel 1895-97 dall’architetto Gaetano Moretti, che restaura il lato superstite del chiostro, già ridotto ad abitazione ma sostanzialmente conservato nell’ossatura originaria, liberandolo dai rimaneggiamenti utilitari e ricostruendo le parti mancanti, con il ricorso a elementi nuovi rifatti sul modello degli originali, ma anche con l’accurata ricerca di elementi originali di recupero già dispersi: dunque un restauro di ripristino mediante liberazione e limitata integrazione di parti, che si avvale in gran parte della materia originaria del monumento.

Nel 1905 viene restaurata la torre nolare con ripristino in stile di parti modificate nel corso dei secoli scorsi. Dopo vari dibattiti di diversa opinione su come restaurare l’edificio, l’intervento viene approvato nel 1909 dal Ministero su insistenza della Soprintendenza milanese; e compiuto nel 1912, collocando in luogo del parapetto barocco rimosso otto pinnacoli in marmo di Candoglia, anziché in laterizio in analogia a quelli del campanile di S. Gottardo, come proposto da Arcaini.

Così allo stesso modo nel 1918 con l’intento di “purificare” e ripristinare l’aspetto gotico del complesso viene deciso di restaurare la facciata della chiesa, riportandola all’aspetto originario togliendo le aggiunte barocche ritenute troppo incoerenti. Rimane solo il portico in stile barocco perché terminati i fondi per la sua trasformazione (grazie al cielo diciamo noi). Negli anni Cinquanta, grazie all’intervento del cardinal Schuster, i monaci cistercensi tornano a insediarsi nell’abbazia riprendendo il possesso del monastero a condizione di terminare entro nove anni i necessari restauri. Così nel 1954 viene ripristinato il chiostro trecentesco “com’era e dov’era” utilizzando in parte colonnine e capitelli originari recuperati (perfino in palazzi e musei milanesi).

Stessa sorte per la ricostruzione della sala capitolare, che adotta forme semplici e moderne ma ripropone pur senza alcuna reminescenza stilistica l’originario schema planimetrico a nove campate e quattro sostegni centrali; e valorizza ogni elemento architettonico e artistico conservato, come i graffiti bramanteschi e le finestre rinascimentali.

Tra gli interventi più recenti spicca, per l’importanza artistica dell’opera, il restauro degli affreschi del tiburio, iniziato nel 2002 e portato a termine nel 2010 dalla Soprintendenza per i beni storici e artistici grazie a finanziamenti sia ministeriali sia di mecenatismo privato. Un intervento che invece ha le caratteristiche del recupero sia materiale che funzionale, concluso nel 2009 dopo un lavoro quasi decennale, è quello che ha riabilitato il duecentesco mulino. Grazie al cielo la ferrovia da qualche anno è stata spostata di parecchi metri. Purtroppo, come spesso è avvenuto a Milano per altri capolavori edilizi, ciò che non serviva più è stato abbattuto e così, senza alcuna remora il bel chiostro bramantesco è sparito per sempre, rimasto solo a memoria in una incisione di Domenico Aspar eseguita negli ultimi anni del 1700, dove si può vedere il chiostro grande ed il chiostrino del noviziato.

Fonti da: LA STORIA DEI RESTAURI DELL’ABBAZIA, Giuseppe Stolfi

L’esterno, l’ingresso e la facciata

L’interno coi suoi preziosi dipinti.

Il Chiostro

Alcune immagini d’epoca dell’abbazia

Per l'utilizzo delle immagini scrivere a info@dodecaedrourbano.com

1 commento su “Milano | Chiaravalle – L’abbazia e il Bramante perduto”

  1. bellissimi ricordi urbanistici. Commuove l’insensibilità del secolo razionale verso il secolo sentimentale. Ma è sempre un appetito bellico.

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