Milano | Senavra – La Senavra: da casa di campagna a casa dei matti, a chiesa

Lungo l’attuale Corso XXII Marzo, all’altezza del numero 50 si può notare un edificio molto grande in mattoni, una chiesa che pare più un palazzo a dire il vero.

La storia di questo edificio è molto particolare: infatti, da residenza di campagna dei Signori di Milano nel 1500, passando di mano in mano, è stato dapprima una sede per il ritiro spirituale dei Gesuiti, per poi diventare un ospedale psichiatrico, un ricovero per derelitti ed infine un luogo di culto. Oggi infatti la Senavra è la parrocchia del Preziosissimo Sangue di Gesù.

Don Ferrante Gonzaga – governatore di Milano per conto dell’imperatore Carlo V regnante di Spagna – nel 1548, solo dopo due anni dal suo insediamento a Palazzo Reale, fece costruire (non si sa bene se vi fosse già un edificio preesistente) una grande dimora di campagna per la sua famiglia in questa località lungo la strada per Monluè, dal nome alquanto strano ma dall’origine incerta, come quella che la vede come corruzione della parola Sanctus Petrus in scæna aurea (oppure da sinus Averanus).

La cornice del luogo scelto era ad occidente della città dove i campi andavano verso il Lambro; il defluire lento delle limpide acque dei fontanili assieme a filari interminabili di pioppi facevano da scenografica cornice.

Il Gonzaga, quand’era governatore in Sicilia, aveva ai suoi servigi fin dal 1540 un architetto di Prato, Domenico Giunti, il quale venne chiamato per la realizzazione delle famose Mura difensive chiamate comunemente Spagnole. Pertanto alcuni ipotizzano che l’architetto abbia lavorato alla realizzazione di questo palazzo per il governatore, anche solo come consulente. Queste voci sono confermate anche da una lettera scritta dal Giunti da Milano il 26 febbraio 1550 alla principessa di Molfetta in Mantova; il nostro architetto, dopo di aver parlato di alcuni dissapori avuti col fattore della villa scrive “…non altro che sono stato alla Senavra e le cose di quella vanno benissimo e le bacio le mani umilissimamente…”. La citazione dell’edificio in questa lettera indirizzata alla principessa di Molfetta, potrebbe far supporre che essa fosse interessata a questa dimora in costruzione. Una dimora famigliare e facile da raggiungere da Milano, seguendo la strada diritta che costeggiava il Naviletto di Porta Tosa.

La scomparsa completa della costruzione originaria toglie qualsiasi valore alle illazioni che vorrebbero farla annoverare fra le opere milanesi dell’architetto di Prato, ma un qualche elemento che la avvicina alle composizioni da lui ideate per la “Gonzaga” è rappresentato da quel corpo avanzato verso la strada, ed i vari ordini di logge a colonne e balaustre che cingevano le due corti, come anche le loggette esterne.

Una dettagliata descrizione e stima dell’edificio compilata oltre un secolo dopo ce ne tramanda questi ed altri particolari; “la facciata del suddetto edifizio verso il giardino è tutta dipinta con figure molto belle per quanto sia ne’ campi, tra una finestra e l’altra e per il restante a chiaroscuro”. Queste decorazioni sulla facciata interna della villa, come anche una bella prospettiva dipinta sul muro nello sfondo del giardino, di cui si fa cenno nella stessa descrizione richiamano alcuni dettagli della Simonetta che il Giunti, architetto e pittore, andava man mano descrivendo nelle sue lettere a Ferrante Gonzaga, mandandogli anche i disegni e le piante da esaminare “acciocchè si consoli co li disegni, di poi che al presente non si può goder efetualmente”.

Quando Don Ferrante cadde in disgrazia e ricevette l’ordine di recarsi a Bruxelles, l’attività milanese di Domenico Giunti venne interrotta. La morte colse il Gonzaga nel 1557 lontano dalla sua patria e gli successe nei suoi beni il primogenito Cesare, il quale aveva sposato Camilla Borromeo, sorella di San Carlo. Nel 1567, trasferendosi con la sua corte nello stato di Guastalla che il padre aveva acquistato dalla contessa Lodovica Torelli, vendette la Senavra con tutte le sue pertinenze a don Giorgio Manrique di Lara, personaggio di nobilissima famiglia castigliana e molto in auge presso la corte imperiale. Il Manrique preferì barattarla tre anni dopo con diversi poderi posti in Senago e Senaghino, consistenti in vigne e fabbricati con tutta l’attrezzatura per fare il vino.

Questo affare veniva concluso con tale Giuseppe Po il quale, morendo, lasciò in eredità alla madre Daria Rusca vedova del magnifico Giovanni Stefano da PO, la dimora che si affrettò a vendere per sistemare i debiti di famiglia (1585) spinta anche dai monaci Benedettini di San Pietro in Gessate confinanti con la proprietà e che da anni miravano ad impossessarsi della Senavra. Tant’è che l’acquirente fu un ecclesiastico di un certo rilievo, monsignor Giovanni Fontana, il quale, per quanto se ne possa dedurre dai documenti, non fu spinto all’acquisto dal desiderio di procacciarsi una agita residenza, bensì da quello di favorire i suoi amici Benedettini, a cui dopo breve tempo ne faceva donazione. La villa ed il giardino frattanto venivano affittati ai conti della Somaglia che l’abitarono per una decina d’anni, fino a quando, nel 1609 i Benedettini la misero in vendita; prima a fare una oblazione per la cifra di trentamila lire imperiali, fu la contessa Olimpia Pallavicini moglie del conte Giorgio Trivulzio.

Oramai un po’ in decandenza, la Senavra nel 1682 viene venduta a don Ferdinando Rovida, conte di Mondandone, marchese di Bocca, Questore ordinario, che la tiene per quindici anni, occupata da vari pigionanti fra cui un’osteria. Nell’anno 1692, dopo averla restaurata ed abbellita, decise di venderla ed entrò in trattative con don Carlo Homodei marchese di castel Rodrigo.

A tale scopo l’ingegnere collegiato Francesco Bianchi venne incaricato  di fare una stima di quei beni “nello stato in cui si trovavano quando li acquistò il marchese Rovida e come pure lo stato presente dopo i miglioramenti utili e necessari fatti dal medesimo quanto quelli voluttuari”.

La descrizione assai fedele e dettagliata ci permette di conoscere con approssimazione come era la Senavra in origine e con assoluta precisione quando passò ai Gesuiti sul finire del secolo.

Dalla strada maestra detta strada della Malpaga o di Monluè, si accedeva alla porta nobile mediante un ponticello sopra il Naviletto, “e sopra il medesimo ponte vi sono duoi piedestalli con due collone sopra, et lesene opposte con architrave, freggio et cornice che sostiene il poggiolo, il tutto in cieppo gentile”. Ingresso adunque assai decoroso, e dopo la porta con spalle ed arco ed ornamenti del medesimo ceppo veniva un lungo andito a volta e panche a sedere in pietra viva lungo le pareti; l’andito immetteva in una prima corte con porticato e loggia superiore rivolti verso levante, entrambi con colonne in pietra viva.

La corte era completata per due lati da un muro di cinta “coperto di coppi con sotto guzza di cotto”, di contro al qual muro attraverso di cui una porticina immetteva nell’ortaglia, vi era la “conserva per il ghiaccio”.

Chi ricorda le vecchie conserve per il ghiaccio, caratteristica incancellabile dei grossi cascinali, delle ville e dei castelli della campagna milanese? Sorgevano dei tetti di paglia a piramide a far da cupola al bastione di terra entro cui era scavata una profonda fossa, e tutto all’intorno delle piante alte mantenevano d’estate ombra e frescura.

Ma questa della Senavra, ohibò, era una ghiacciaia fatta a regola d’arte: “la magior parte sopra terra, con volto di cotto, coperto di tetto con terrapieno intorno a buona parte di esso, e per il restante del volto vi è scala di cotto per andare nella medesima da una parte, e nell’altra vi è il grottino”.

Di seguito la copia dell’Assunta di Tiziano che si trova nella chiesa di Santa Maria dei Frari a Venezia

Al piano nobile sopra l’andito vi era una galleria aperta verso mezzogiorno sulle logge del cortile; verso tramontana dava “sul poggiolo con lastre di cieppi gentile et suolo al di sotto formate a rabesco, suo parapetto e balaustra, con pidestalli fra mezzo e cartelloni e scudo per armi, il tutto del medesimo cieppo…”

In fianco alla suddetta galleria, sempre al piano nobile, vi era l’oratorio “con volto in cotto, il tutto dipinto, nel mezzo del quale, per dar luce al medesimo, vie è lanternino con otto pilastrelli, cappelli et base di cieppo come sopra, acquasantino di vivo fatto fare dal detto signor marchese, balaustra con grado di macchia vecchia, altare et sito per esso in volta con lesene archeggiate, et sua brella, piccola sacrestia con volta a lunetta”.

Pure da porticato con colonne di vivo era cinta la corte nobile da tre lati; tanto al piano di terra come al superiore vi era una lunga fila di sale e stanze tutte dipinte e camini di marmo. Una “scaletta torniola”, ossia a chiocciola sussidiava lo scalone grande, eppoi “cucina da nobile con otto fornelli”, dispensa, forno, pozzo “con morena di vivo”.

Verso il giardino la facciata della villa “è tutta dipinta con figure molto belle per quanto sia nei campi, tra una finestra e l’altra, e per il restante a chiaroscuro”. Era il giardino delle rose, tutto cinto da muro in cui si aprivano delle finestre con inferriate; sullo sfondo era dipinta una grande prospettiva, e fra i cespugli e i fiori stavano le colombaie. Questa era un’oasi di deliziosa tranquillità in mezzo al verde, ma aveva però un suo segreto peccato originale, perchè continuava a cambiar di padrone. Migliorie, abbellimenti, trasformazioni: tali e tante ne fece il marchese Ferdinando Rovida quali sono descritte nella relazione del suo ingegnere collegiato, ma cionondimeno la Senavra gli venne in uggia.

Difatti la troviamo affittata in quel periodo a pigionanti di basso rango: un ortolano, un lavandaro, “il Dioniggio maestro”, che equivale a un muratore, “un legnamaro”, ed altri artigiani vari e commercianti, fra cui ci interessa di far la conoscenza con un tal Santo Farina, il quale nella parte di fabbricato che dava sulla corte cosiddetta rustica, teneva bottega di “beccharia ed ostaria”, l’osteria della Senavra, ricordata fra le altre in un suo poemetto da Carlo Maria Maggi.

Quel tale Santo Farina che occupava con le sue botti e la macelleria il lato orientale della corte rustica fu probabilmente l’ultimo oste della Senavra; nonostante tutte le descrizioni degli stabili e le stime accuratamente lasciateci dall’ingegnere collegiato Bianchi, col marchese di castel Rodrigo non se ne fece nulla, ed il Rovida qualche anno dopo apriva nuove trattative di vendita coi Gesuiti di San Fedele. Ad essi alla fine cedeva “case et giardino et broglio per fare li esercizi spirituali” (1695).

L’assistenza ai malati mentali fu assicurata dall’Ospedale Maggiore di Milano presso l’antico ospedale di San Vincenzo, tradizionalmente destinato all’accoglienza degli alienati (categoria in passato estremamente ampia e che comprendeva anche epilettici, pellagrosi, bambini, disabili). Quest’ultimo Ente, attestato fin dal 1111 ed aggregato all’Ospedale Maggiore nel 1642, nel 1777 ospitava 305 pazienti e 79 persone di assistenza e di servizio.

Con decreto del 5 settembre 1780 l’imperatrice Maria Teresa decise la fondazione di una nuova istituzione deputata al ricovero dei folli, stabilendo che il neonato organismo venisse amministrato, insieme con l’Ospedale di Santa Caterina alla Ruota, dall’Ospedale Maggiore, con assicurazione della stessa sovrana che questo non avrebbe dovuto sostenere alcun onere finanziario aggiuntivo per il funzionamento dei due ricoveri.

Fu prescelta come sede il palazzo della Senavra, fuori da Porta Tosa, che nel XVI secolo, costituiva la residenza signorile di Ferrante Gonzaga, dopo la sua nomina a governatore di Milano nel 1546, e che alla fine del Seicento era passato ai Gesuiti, allo scopo di istituirvi una pia sede di ritiro spirituale.

Nel 1781 si provvide al trasferimento dei malati psichiatrici dall’Ospedale di San Vincenzo alla Senavra, che diventò nel gergo popolare milanese il termine usuale per “manicomio”. Stante il progressivo incremento della popolazione della provincia, nel 1846 si cominciò a progettare la costruzione di un nuovo ospedale psichiatrico a Desio, per il quale venne appositamente acquistato un terreno. Nel 1860 venne preso in affitto il fondo antistante la Senavra, insieme con le sue cascine, per collocarvi alcune infermerie sussidiarie.

Dal 1866, per effetto della legge 20 marzo 1865 n. 2248, la gestione dell’ospedale fu assunta dalla Deputazione Provinciale che abbandonò il progetto, già approntato dal governo austriaco, di fare della Senavra il nuovo grande manicomio della provincia di Milano, sul modello dei migliori analoghi istituti europei, e dall’agosto 1865 si decise di destinare ai ricoverati la villa Crivelli di Mombello (Limbiate – Milano) che, da succursale, divenne, una volta ampliata, l’Ospedale psichiatrico generale della provincia dal 18 settembre 1872.

Dal 1883 la Senavra divenne un ricovero comunale, il Pio Ricovero per mendicità e nel dopoguerra rifugio fatiscente per i senzatetto.

Il 24 settembre 1959 l’allora Cardinale Giovanni Battista Montini, Arcivescovo di Milano, annunziava la erezione canonica della Parrocchia del Preziosissimo Sangue in una lettera diretta al nuovo Prevosto Don Giovanni Giarlanzani “con una benedizione che vorrebbe arrivare a tutti quelli che hanno merito in cotesta bella, grande e misteriosa novità. Il pensiero corre al compianto Don Angelo Portaluppi, Prevosto di Santa Maria del Suffragio, la Parrocchia madre di cotesta ancora nascente; e poi sosta sopra di Lei, primo Parroco della già fiorente comunità parrocchiale…”.

Un faticoso cammino ha portato alla realizzazione di quell’ardito progetto, “una grande avventura”, “una misteriosa novità”, come l’aveva chiamata l’Arcivescovo, che poi assunto al Soglio Pontificio, “in occasione dell’inaugurazione della sede delle Opere parrocchiali nei restaurati locali della Senavra”, la benediceva con paterno compiacimento.

E così si giunse alla prima meta: 4 maggio 1964; l’Arcivescovo Monsignor Giovanni Colombo inaugurava le opere compiute e poneva la prima pietra per i lavori di rifacimento dell’ala destinata a diventare il nuovo tempio, con commozione e venerazione verso il Suo Predecessore che aveva approvati e benedetti i primi passi: “Quante voci vengono nel mio cuore in questo momento: sono le voci del passato. Le voci di gente che nel secolo XVIII qui pregava, si santificava negli esercizi spirituali. Poi sono le voci del dolore, degli ammalati che qui sono venuti, malati di nervi e di mente, qui hanno sofferto l’inenarrabile. Poi le voci del dolore, della sventura, della miseria durante la guerra e subito dopo…; ma il passato doloroso passa; il presente fiorisce come una nuova primavera”.

Per gli appassionati, c’è anche una storia su un fantasma che si aggira nel quartiere e che si ritiene esser stato uno degli inquilini del manicomio.

Fonte tratta da “Storia della Senavra” di Giuseppe Gerosa Brichetto

Di seguito una tipica ghiacciaia.

Immagine sotto stampa che mostra Villa Simonetta, simile per architettura alla Senavra

Per l'utilizzo delle immagini scrivere a info@dodecaedrourbano.com

2 commenti su “Milano | Senavra – La Senavra: da casa di campagna a casa dei matti, a chiesa”

  1. Grazie per aver condiviso queste informazioni, quello era un edificio che mi ha sempre affascinato moltissimo, e che non sono mai riuscito a capire prima di oggi! Grazie di averci svelato un altro angolo di Milano!!!!

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  2. Complimenti!!
    Sono sempre stupefatto per gli interessantissimi reportage storici e sulle meticolose ricerche iconografiche che generosamente pubblicate!
    Applausi!!!

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