Milano è anche storia di grandi donne…
Domenica 25 novembre sarà la giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne 2018.
Urbanfile vuole partecipare con questo articolo per raccontare quanto importante sia stato e sia ancora il contributo delle donne alla crescita della nostra città.
Isabella D’Aragona: la storia segreta di un dipinto.
Munifico e illuminato il principe della Chiesa Cardinale Federigo Borromeo.
A proprie spese invierà otto collaboratori colti e fidati in Europa e nel vicino Oriente, con l’incarico di trovare tesori composti da volumi – codici miniati – manoscritti – oltre all’acquisizione dei capolavori della pittura del ’400 e del ’500.
Così verranno gettate le prime concrete fondamenta del grande sogno del porporato: una istituzione di cultura dedicata al Santo Patrono della città, inaugurata il 7 dicembre 1609 nel nome di Sant’Ambrogio.
Il Cardinal Federigo donerà all’Ambrosiana anche la sua personale quadreria, vasta e preziosa raccolta d’arte figurativa, e fra i tanti dipinti anche un quadro che egli stesso presenta scrivendo: “Ritratto d’una Duchessa di Milano dal mezzo in su, di mano di Leonardo”.
Avrà storia controversa questo dipinto, sia per l’attribuzione dell’artista che lo realizzò, sia per l’identità della dama. Per secoli venne considerata opera di Leonardo, giustificata questa teoria dal fatto che venne realizzata nel periodo del soggiorno dell’artista presso la corte ducale di Lodovico il Moro e anche perché l’immagine della donna è stagliata contro il nero dello sfondo, peculiarità propria di Leonardo.
Ma il bellissimo ritratto, seppure di stile leonardesco, si deve al talento di Giovanni Ambrogio de Predis, anch’egli astro alla corte della signoria sforzesca. E l’identità della misteriosa venne poi riconosciuta in Isabella d’Aragona nel suo abito nuziale per il matrimonio con Gian Galeazzo Sforza.
L’abito è nero a motivo del lutto di Isabella per la morte della madre Ippolita, mentre il corpetto e le maniche sono rosse, che è il colore dominante dello stemma degli Aragona.
I gioielli. La collana con il pendente formato da una gemma rossa, come il fermaglio sulla spalla sinistra, doni di nozze di gran valore che, seppure con pietre preziose differenti, venivano consegnati da tutti gli Sforza alle loro consorti.
Peccato che poi i matrimoni non rivelassero profondità di sentimenti, piuttosto la trama di calcoli precisi su alleanze e alchimie dinastiche.
Isabella sposa Gian Galeazzo Sforza nel 1488 ma lo sposo per diversi mesi non frequenta le sue stanze, è molle, giocoso, ama stare fra paggi e cavalli. Inoltre non è capace di farsi valere, succube com’è dello zio Lodovico, che assegna agli sposi il castello di Pavia per tenere Gian Galeazzo lontano dal governo del Ducato e lo sbeffeggia costantemente seppure sia ben felice della sua non compiuta vita coniugale. Se il nipote non dovesse avere eredi tutto sarebbe più facile per il Moro!
Ma alla fine l’erede arriva, al quale faranno seguito anche due figlie.
Il 22 ottobre 1494 Gian Galeazzo muove avvelenato. Si sussurra che il mandante sia il potentissimo Ludovico, che peraltro immediatamente il giorno dopo si proclama legittimo Duca di Milano.
Sempre astioso con Isabella, della quale riconosce il carattere forte e la personalità indomabile e piegata solo dagli eventi, le consentirà di tornare a Milano solo nel 1497 accompagnata dalle figlie bambine Bona e Ippolita.
Mentre il piccolo Francesco, primogenito ed erede legittimo, viene costretto in custodia a Pavia.
Povera Isabella! Nozze non volute, stabilite da suo padre Alfonso d’Aragona e Lodovico Sforza, un coniuge assente, rimasta vedova per mano assassina, il figlio ancora bambino che le viene strappato perché erede di un Ducato conteso.
Aveva tutte le ragioni per firmare le sue lettere così:“Isabella d’Aragona Sforza, Ducissa Mediolani, unicha ne la desgracia.”
Beatrice d’Este: la breve esistenza della Duchessa di Milano.
Figlia secondogenita di Ercole I d’Este e di Eleonora d’Aragona, nasce il 29 giugno 1475; per la sua nascita “non si fece allegreza perché voleva Ercole ch’el fusse maschio.”
Certo è però che la piccola Beatrice è legata da vincoli di parentela alle due maggiori famiglie d’Italia, gli Estensi e gli Aragonesi. Questo la rende ben visibile allo sguardo e all’attenzione del duca di Bari e reggente del Ducato di Milano, Lodovico Sforza – detto il Moro. La bambina ha solo cinque anni ma è una pedina importante sulla scacchiera delle alleanze e delle strategie dinastiche, quindi il Moro si impegna personalmente nella conduzione delle trattative matrimoniali, sino al giugno del 1480 quando ottiene la mano di Beatrice.
Anche se la passione intensa e l’amore profondo di Lodovico sarebbero stati sempre e solo destinati a lei, la sua amante per la quale il duca aveva commissionato il ritratto a Leonardo, la bellissima Cecilia Gallerani, che comprende le ragioni del suo potente amante, è consapevole di non poter aspirare a sposarlo, non si è mai illusa, non è nobile, non gli può essere necessaria ai fini politici e diplomatici.
17 gennaio 1490. Vento freddo, neve.
Le nozze fra la quindicenne Beatrice e Lodovico che di anni ne ha 38, vengono celebrate nel mese di gennaio 1490, al Castello Sforzesco di Pavia. Una cerimonia sfarzosissima, festeggiamenti in grande stile a ribadire la grandezza del Moro.
Ma come all’esterno, anche nei loro cuori c’è il gelo, in fondo non si conoscono e non si amano.
Lodovico dalla giovanissima consorte non si aspetta nulla, solo un figlio, l’erede necessario per vincere la corsa al Ducato di Milano contro il nipote Gian Galeazzo, sposo di Isabella d’Aragona. Dal loro matrimonio di figli ne avranno due, Massimiliano e Francesco.
E Beatrice? Neanche a lei importa del marito. E’ soprattutto affascinata dal suo nuovo ruolo di duchessa in una delle corti più importanti e raffinate.
Non avrà nessuna voce nella vita politica orchestrata dal duca. Solo in una occasione andrà a Venezia quale ambasciatrice del consorte, per sollecitare il sostegno al Moro per l’investitura quale duca di Milano. Magnifica accoglienza per la duchessa, ma nessun risultato concreto. Lodovico infatti diventerà Signore del Ducato Milanese solo dopo la morte del nipote, il legittimo duca Gian Galeazzo.
Per lei, divertimenti, feste, è felice di circondarsi d’ artisti e di musici, darà alla corte una splendida immagine colta e mondana.
Una passione tutta femminile e il suo gusto innato la porteranno ad essere l’emblema della moda di corte: arriverà a possedere ben 84 abiti solo nel castello di Vigevano e impegnerà gli orafi, per i suoi molti gioielli, ad inventare sempre nuovi motivi decorativi.
Gennaio 1497. Beatrice muore di parto a 21 anni.
Lascia la corte ducale di Milano “de omini in qual se voglia virtù ed esercizio copiosa, e sopra tutto de musici e poeti…”
Testo di Giovanna Ferrante
Nella mitologia: Belisama e Dresia.
Ripercorrendo la storia meneghina con un immenso salto a ritroso, in un tempo non misurabile, la leggenda (e buona dose di successiva fantasia popolare), ci consegna le gesta delle due prime donne di potere di cui Milano (all’epoca Medhelan) abbia memoria. Due sorelle, di lignaggio nobile e di discendenza divina, che in quella che all’epoca era conosciuta coma Pianura Sacra (o Pianura dell’abbondanza) si fronteggiarono con opposte attività di governo. La maggiore (Belisama) fu data in sposa a re Treponos: uomo di bell’aspetto, fiero, saggio ed equilibrato, che vide nella sposa la perfetta alchimia per provvedere ai popoli dello sconfinato dominio.
Belisama assurse al ruolo di benefattrice dell’infanzia, protettrice dei raccolti e delle attività agricole e custode dei viaggiatori: pare, a questo proposito, che lungo molte via dell’antica pianura, sorgessero cippi, pietre miliari o addirittura colonne che ne celebrassero la benevolenza.
Di segno esattamente opposto, Dresia, sorella minore di Belisama, era animata da una congenita sete di potere. Ebbe un figlio dal precettore di corte (il quale ne rimase ignaro fino alla morte) e su di lui proiettò le sue smisurate smanie.
Al punto che Kunn, suo figlio, con l’uso dei suoi straordinari poteri e con l’incondizionato appoggio della madre, mosse vari e sanguinosi tentativi per rovesciare il trono, non esitando nemmeno a uccidere lo stesso padre, fido consigliere di Treponos. L’ultimo atto culminò con una sanguinosa guerra, che si concluse con la completa distruzione di Medhelan e la morte di madre e figlio. Leggenda vuole, che prima di abbandonare il vasto territorio ai piedi della Alpi per una sconosciuta destinazione, Belisama lanciasse nella Pianura una manciata di semi d’oro, quelli dai quali nacquero le zucche, estremo dono per nutrire i popoli a lei tanto cari e sopravvissuti alla distruzione, e per sigillare l’alleanza con quella che nel futuro sarebbe rimasta (sotto altre forme) la Pianura dell’abbondanza.
Testo di Bruno Balzano
- Arpeggio
Lucrezia Borgia: Femme fatale del Rinascinemto.
Suo padre Rodrigo Borgia è un papa, Alessandro VI. Suo fratello è Cesare, il duca Valentino. Con entrambi avrà rapporti incestuosi, si piegherà alla loro volontà accettando matrimoni e assistendo ad azioni delittuose contro i suoi mariti, quando non più utili ad alleanze e strategie politiche.
Le prime nozze con Giovanni Sforza, 26 anni, bello, colto, già vedovo di Maddalena Gonzaga. Soprattutto interessante per il papa che cercava una forte intesa con il ducato sforzesco. E Lucrezia? È solo una ragazzina di 13 anni, ignora per ora il suo destino di strumento e vittima di calcoli politici.
Il 12 giugno 1493, a Roma, Giovanni Sforza e Lucrezia Borgia convolano a nozze: lo sposo arriva su un maestoso cavallo bianco con le redini tempestate di gemme; Lucrezia indossa un suntuoso abito di broccato celeste ed è adorna di magnifici gioielli. Attorno, il tripudio del popolo romano accorso a vedere tanta meraviglia.
L’8 giugno 1494, sotto una pioggia torrenziale, Lucrezia prende possesso del palazzo degli Sforza in quel di Pesaro, da quel momento sua residenza. Dopo un primo periodo di idillio, però, per Lucrezia quel tipo di vita si rivela monotona e vuota, desidera le feste di palazzo, le occasioni mondane, balli, giochi, seduzioni. Inoltre Giovanni troppo spesso deve allontanarsi per i suoi doveri di condottiero per l’esercito del papa e dei veneziani.
Nel 1497 tutto cambia. Giovanni Sforza non interessa più, Alessandro Borgia ha altre mire. Gli si chiede quindi di sciogliere il matrimonio, lui rifiuta decisamente, non si rende conto di essere bersaglio anche di Cesare, che ben presto lo minaccia di morte. E se una tale minaccia arriva dal Valentino, solo una rapida fuga può mettere al riparo da pugnale o veleno! Così Giovanni Sforza sparisce, abbandona la moglie cercando riparo altrove.
Seconde nozze con Alfonso d’Aragona, solennemente celebrate in Vaticano il 21 luglio 1498. Lo sposo è nipote di Re Federico sovrano di Napoli, quest’ultimo assai favorevole alle nozze perché ben consapevole che, se al contrario Lucrezia dovesse sposare un Orsini, insieme le due casate potrebbero armarsi contro di lui.
Solo qualche anno dopo c’è nell’aria un’ipotesi di alleanza fra Alessandro VI e i francesi, che mirano al ducato milanese e alla corte di Napoli. Alfonso si rende conto che la sua posizione potrebbe diventare incerta e pericolosa, ma dalla sua unione con Lucrezia nasce un figlio, Rodrigo in onore del nonno Borgia, e la gioia del papa e i festeggiamenti in Vaticano per il battesimo, lo rassicurano. Non avrebbe dovuto rasserenarsi: dopo poco Alfonso viene aggredito su uno scalone del palazzo del Vaticano. Numerose pugnalate lo feriscono gravemente, riesce però a sopravvivere. Per pochi giorni: Cesare Borgia impaziente di chiudere la questione, entra nella camera del cognato e lo strangola.
Un altro matrimonio per la bellissima Lucrezia, si passa ad Alfonso d’Este. Celebrante è il papa stesso con al fianco 13 cardinali. Lucrezia è preceduta e seguita da un corteo d’onore di 50 dame. In questo caso si tratta di un matrimonio per procura. Ferrante d’Este al fianco della sposa:
“Questo anello matrimoniale manda a te mio fratello, l’illustrissimo Don Alfonso per libera determinazione, e io te lo consegno a nome di lui.”
“Così anch’io, Lucrezia Borgia, per libera determinazione lo accetto.”
Per festeggiare, corsa di cavalli in piazza San Pietro, balli e spettacoli nelle sale del Vaticano. Anche Cesare in costume ricchissimo, che apre le danze con la sorella (della quale è ancora l’amante?).
Di storie d’amore Lucrezia ne vive molte, più o meno intensamente. Come quella, profonda, con il letterato Cardinal Pietro Bembo.
Da subito tradisce il terzo marito con il più amato fra i suoi amori segreti, Francesco Gonzaga, che le è cognato in quanto marito di Isabella d’Este. Tre anni di relazione appassionata, lettere furtive, incontri segreti.
Nel 1508 la nascita del figlio che Alfonso tanto desiderava. Ormai però è a conoscenza della storia d’amore di sua moglie con il Gonzaga, un’ombra incombe sulla felicità, teme che il bambino non sia suo. Comunque il matrimonio prosegue, Lucrezia è in grado di condurre il ducato ferrarese in assenza del coniuge, diventa mecenate d’ artisti. Nascono altri figli, fino al parto d’una bambina che nasce morta il 14 giugno 1519.
Lucrezia sta molto male, per lei si avvicina la fine. Morirà il 24 giugno a 39 anni.
Di lei, a ricordo della sua straordinaria bellezza, rimangono i capelli biondissimi, simili all’oro, conservati in una teca presso la Biblioteca Ambrosiana.
Capelli che ipnotizzeranno Lord Byron durante il suo soggiorno a Milano. Tornerà per giorni e giorni in Ambrosiana per continuare a rimirarli e a fantasticare su quella magnifica giovane donna. Sfortunata, insolente, romantica, cinica, colpevole, spregiudicata?
Testo di Giovanna Ferrante
Nella Mitologia: Aretusa, la ninfa delle acque.
Fu la più fulgida delle dieci ninfe del popolo celeste (conosciuto come “la Schiera”) cui la leggenda attribuisce la nascita della Pianura Padana e delle prime tracce dell’odierna Milano. All’indomani della distruzione della città di Medhelan, Aretusa fu la sola a non seguire la Schiera durante la sua ritirata sulle Alpi. Decise infatti di rimanere nella pianura al fianco dei popoli per guidarli e proteggerli da eventuali e futuri attacchi.
La ninfa era ben consapevole che tale scelta avrebbe affievolito i suoi poteri, ma fu irremovibile nel suo proposito. Tanto che Hara-Shura, principessa della Schiera, le fece dono di una fatata verga di pioppo, arma che la rendeva pressoché invincibile, e la investì del titolo di signora delle acque sotterranee e di superficie. Aretusa stabilì la sua residenza in un palazzo localizzato negli attuali giardini di Porta Venezia e da lì guidò i popoli superstiti in una lunga serie di battaglie contro gli attacchi del principe Kunn. Nello scontro finale, quando per salvare i suoi abitanti non rimase altro che allagare la pianura e distruggere la città occupata dal sanguinario principe, Aretusa recuperò tutti i suoi antichi poteri e affrontò Kunn in un duello corpo a corpo. Tenzone che le fu fatale, poiché il principe, prima di finire annegato nei vortici delle acque tumultuose, la uccise lanciandole contro la sua spada di ferro, trafiggendole il petto.
Quello che in realtà morì fu solo il corpo di Aretusa, che con la sua decisione di votarsi alla causa dei popoli della pianura, aveva superato la cosiddetta “decima iniziazione”, grazie alla quale poté entrare a far parte della ristretta cerchia di eletti della Schiera.
La leggenda vuole che, prima di assurgere alle vette alpine, la ninfa conficcasse la verga in un punto imprecisato della pianura, trasformandosi all’istante in una colonna d’oro, attorno alla quale sarebbe poi nata una nuova città, antenata dell’odierna Milano.
Testo di Bruno Balzano
- Arpeggio
Bellissimo articolo!BRAVO! E soprattutto grazie.
bellissimo, grazie!
Di sicuro non troviamo i parenti di wf e della maggior parte della giunta di sala ??????????