Milano | Duomo – L’area Sacra, dal tempio di Minerva alla cattedrale

Cosa c’era al posto del Duomo? Come si presentava l’area attorno alla grande piazza che oggi vediamo ancora nella veste di fine Ottocento (con poche modifiche)?

Abbiamo cercato di mettere assieme un po’ di notizie e informazioni riguardanti la zona e la storia di Milano e al contempo abbiamo cercato di ricostruire, virtualmente, con suggestioni, immagini altrimenti impossibili da immaginare.

600 a.C.

La tradizione leggendaria riportata da Tito Livio e poi ripresa in epoca medioevale da Bonvesin de la Riva, vuole la fondazione della città di Milano che sia avvenuta nel VI secolo a.C. nel luogo dove fu trovata una scrofa semilanuta, per opera della tribù celtica guidata da Belloveso, che sconfisse gli Etruschi, popolo che fino ad allora aveva dominato la zona.

Plinio il Vecchio, nella sua Naturalis historia, attribuisce genericamente ai Celti la fondazione della città senza però entrare nel dettaglio.

Mentre secondo gli storici moderni, Milano fu fondata intorno al 600 o 590 a.C., forse con il nome di Medhelan, nei pressi di un santuario di una tribù celtica facente parte del gruppo degli Insubri e appartenente alla cultura di Golasecca. In particolare, il santuario che diede origine a Milano doveva trovarsi nei pressi della moderna piazza della Scala, al centro di un villaggio.

Sulla scelta del luogo di fondazione di Milano oggi si avanzano tre supposizioni, più plausibili rispetto alle ipotesi leggendarie fatte da Tito Livio, che si basano sull’etimologia del nome Medhelan e sulle indagini archeologiche compiute in tempi moderni sul territorio milanese:

La scelta del luogo potrebbe essere stata dettata dalla presenza della “linea dei fontanili” laddove vi è l’incontro, nel sottosuolo, tra strati geologici a differente permeabilità, tipo di terreno che permette alle acque profonde di riaffiorare spontaneamente in superficie. Ciò potrebbe significare che Medhelan sia nata su una lingua di terra che originariamente dava su una palude, in un luogo quindi ben difendibile (probabilmente il famoso lago Gerundo).
Altra possibilità potrebbe essere stata determinata dalla presenza di cinque corsi d’acqua nei suoi dintorni: il Seveso e il Lambro a est, e il Pudiga, il Nirone e l’Olona a ovest.

200 a.C.

Medhelan venne conquistata dai Romani nel 222 a.C., dopo un aspro assedio, e in seguito da loro ridenominata Mediolanum, la città con ogni probabilità per molto tempo rimase suddivisa in due (dal corso del Nirone?). A Nord, il villaggio celtico disposto a cerchio, ancora riconoscibile nell’impianto viario attorno a Piazza della Scala (Via Gerolamo Morone, Via Andegari, Via Arrigo Boito, Via Clerici, Via San Protaso e le odierne e un po’ stravolte vie Tommaso Grossi – un tempo Contrada di San Salvatore e contrada dei Due Muri- ), mentre a sud sorse il quadrilatero della città romana.

Veniamo ora alla nostra area, quella oggi occupata dal Duomo e dalla grande piazza.

L’area all’epoca doveva essere attraversata da una strada che dal nucleo urbano portava verso Est, Bergamo e il Veneto (corso Vittorio Emanuele). Circondato dalle acque del Nirone a Ovest, e dal Seveso a Sud-Est, l’area doveva esser già un luogo sacro per le tribù del luogo, dove con ogni probabilità vi si trovavano un tempio celtico dedicato alla dea Belisama, un cimitero e altri edifici pubblici. Belisama era la divinità protoceltica preposta alle arti correlate al fuoco. Un’iscrizione latina trovata a Saint-Lizier, in Aquitania, la accosta alla dea Minerva della cultura mediterranea.

Con l’arrivo della civiltà romana, il luogo rimase sacro con l’edificazione di un tempio dedicato alla dea Minerva. Intanto la città proseguì il suo sviluppo.

300 d.C.

L’introduzione della fede cristiana con la proclamazione dell’editto di Costantino del 313, porterà all’edificazione subito dopo nella zona “sacra”, di una basilica denominata successivamente Vetus. Edificata durante il vescovado di Mirocle (pare addirittura su incitamento dello stesso imperatore Costantino) e fu terminata sotto il suo successore, il vescovo Materno. Si trovava nella zona attuale dell’abside del Duomo.

Nello stesso luogo verrà edificata la Basilica Major in seguito intitolata a Santa Tecla, la prima donna martire. Secondo alcuni studiosi la basilica fu costruita per volere dell’imperatore romano Costante I (figlio di Costantino I) nel 345 col nome Basilica Maior o Basilica Nova e la sua fondazione risalirebbe, quindi, al periodo preambrosiano, molto probabilmente intorno al 350, ai tempi dei vescovi Eustorgio e Dionigi. Insieme alla più antica Basilica Vetus costruita un trentennio prima rientra nel complesso cattedrale di cui parla Sant’Ambrogio in una celebre lettera inviata nel 386 alla sorella Marcellina.

Fino alla costruzione del Duomo attuale, la basilica vetus, poi ampliata nella cattedrale di Santa Maria Maggiore, ebbe la funzione di “basilica hiemalis”, invernale, dell’arcidiocesi di Milano, mentre la vicina basilica di Santa Tecla (che sorgeva nell’attuale piazza del Duomo) era la “basilica aestiva”, estiva appunto.

Tra le due chiese sorse il battistero di San Giovanni alle Fonti del 397 (e una misteriosa chiesa triabsidata ancora avvolta nel mistero e posizionata trasversalmente rispetto al contesto), mentre sul lato sinistro della basilica di Santa Maria Maggiore rimase come eredità della primitiva basilica il Battistero di Santo Stefano ad Fontes.

L’Aula Triabsidata fu gravemente danneggiata, come il battistero, dalla costruzione di una fognatura ottocentesca, questo edificio pavimentato in cocciopesto, a tre absidi, venne realizzato dopo il VI secolo, probabilmente nell’altomedioevo, a sud-ovest del battistero. La sua costruzione sembra essere stata preceduta da un più antico ambiente di cui si ignora la destinazione.

Assai scarse sono le tracce di decorazione parietale: sono stati rinvenuti solo i resti di un intonaco rosso presso una delle testate dell’abside centrale. L’utilizzo funerario della chiesa è documentato dalla presenza, all’interno dell’abside maggiore, di una sepoltura ritrovata durante i lavori degli anni Sessanta. Anche nel corso di indagini più recenti (1996) sono emerse tombe realizzate tagliando il pavimento in cocciopesto: la grande struttura coperta dal pesante lastrone in serizzo, più volte utilizzata, apparteneva probabilmente a una tomba di famiglia; una piccola fossa presso il perimetrale è quanto resta della sepoltura di un neonato.

Santa Tecla venne danneggiata dall’invasione di Attila nel 452, riparata, subì un ulteriore danno durante l’assedio da parte dell’imperatore Federico Barbarossa nel 1162, fu più volte rimaneggiata e ricostruita.

L’area di piazza del Duomo in tutti questi secoli, dopo l’edificazione delle due basiliche, andò sempre più affollandosi di edifici diventando di fatto molto angusta.

In questo luogo, infatti, si trovarono assembrate: le Basiliche di Santa Maria Maggiore e Santa Tecla, il Battistero di San Giovanni alle Fonti, l’aula triabsidata, l’arrengo e le case del vescovo e dei canonici poste dietro Santa Maria Maggiore, oltre a centinaia di abitazioni con botteghe di ogni tipo addossate persino alla basilica stessa.

Quando la basilica di Santa Maria divenne Duomo? La qualifica di iemale non si trova in verità prima dell’ 800, la dedica a Maria risale al 1000, la qualifica di Maggiore viene usata dopo il 1075, e solo col 1228, si comincia a parlate di Duomo, cioè di sede arcivescovile.

1100 d.C.

Mentre Santa Maria Maggiore non aveva più un campanile – anche se secondo alcune fonti, come il Fiamma, si menziona la presenza, nella parte posteriore della basilica, di un alto campanile alto ben 135 metri (?), fattole crollare addosso dai Pavesi nel guasto del 1162, nonostante le proibizioni del Barbarossa – Santa Tecla ne possedeva uno abbastanza massiccio che con ogni probabilità venne abbattuto dopo il passaggio del Barbarossa (1162) o dopo il famoso terremoto di Verona del 3 Gennaio 1117 (magnitudo 6.5 scala Richter) che distrusse parecchi edifici nel nord Italia, fra i quali l’Arena stessa della città scaligera.

1300 d.C.

Arrivaimo al XIV Secolo: Azzone Visconti, signore di Milano dal 1329 al 1339, ritenne necessario creare uno spazio nuovo “molto utile alle attività mercantili” da affiancare alle nutrita serie di botteghe che circondavano oramai Santa Tecla.

La nuova piazza dell’Arengo creata da Azzone viene ad occupare l’area compresa tra le due basiliche, che era delimitata a sud dal palazzo del Broletto Vecchio (già sede comunale), che venne rinnovato e divenne il palazzo dei Visconti (oggi Palazzo Reale) e a nord era separata dalla “carradizia” da un edificio di proprietà pubblica affittato a vari generi di negozi. Quest’ultimo edificio dal XV secolo sarà noto come il Coperto delle Bollette.

Si dedicò quindi con molto impegno a ricostruire la torre della chiesa maggiore, che giaceva distrutta da quasi centottant’anni.

Per creare questo spazio e nobilitarlo, Azzone demolisce intorno al 1330 le taverne che si trovavano accanto al campanile diroccato della cattedrale e inizia la ricostruzione del campanile stesso che doveva diventare la nuova torre civica. Sul fronte della torre era anche prevista la collocazione di una statua equestre di Azzone come un segnale di svolta destinato ad eclissare l’antico monumento a Oldrado da Tresseno che si trovava sul fronte del Broletto Nuovo.

La nuova piazza dell’Arengo venne chiusa e creati degli accessi con porte da chiudere per necessità. Le porte si trovavano tra Santa Tecla e il Coperto delle Bollette (accesso da nord), alla fine della contrada dei Pellizzari (accesso da ovest) e una terza porta nel punto dove sfociavano nella piazza le contrade dei Berrettai e dei Cappellari.

La torre venne conclusa e portata a più di 100 metri d’altezza nel 1333. Mancavano comunque le decorazioni, così come la statua equestre da collocare sotto una piccola loggia e dopo la morte di Azzone (1339), i lavori subirono un forte rallentamento, sino a quando crollò rovinosamente (destino avverso per i campanili in questo luogo), forse a causa di un difetto progettuale, solo dopo una ventina d’anni dal suo completamento, seppellendo le case dei canonici, provocando una strage di persone nonché gravi danni alla facciata della basilica di Santa Maria Maggiore.

Riparata la cattedrale sul finire del ‘300, la piazza rimase ancora piccola.

Subito dopo il crollo del campanile e ai danni della cattedrale, l’arcivescovo Antonio de’ Saluzzi, sostenuto dalla popolazione, promosse la ricostruzione di una nuova e più grande cattedrale (12 maggio 1386), che sorgesse sul luogo del più antico cuore religioso della città. Ma grazie al volere del signore di Milano Gian Galeazzo Visconti, la grande cattedrale prenderà forma.

1400 d.C.

Con l’edificazione del nuovo Duomo visconteo, che lentamente stava “divorando” la vecchia Santa Maria Maggiore, la Basilica di Santa Tecla perse la sua preminenza e sin dal 1440 si pensò alla sua rimozione, oramai obsoleta, mal ridotta e d’intralcio per la creazione di una più vasta piazza.


Fra il 1461 ed il 1462 l’avanzare del cantiere della cattedrale, Santa Tecla venne progressivamente demolita, ed il clero che l’officiava fu trasferito nella nuova cattedrale in costruzione. Dell’antico edificio rimasero solo le navate settentrionali che, chiuse a portico su iniziativa del mercante milanese Pietro Figini a partire dal 1467, diedero vita alla lunga costruzione, conosciuta appunto come Coperto dei Figini, attribuito a Guiniforte Solari, sotto cui trovarono spazio botteghe e negozi sino al 1864, quando venne completamente demolito per il progetto del Mangoni.

Per l’importanza che ricopriva la Basilica di Santa Tecla, subito dopo l’inizio della sua demolizione si pensò ad una sua ricostruzione. Per molto tempo gli studiosi si arrovellarono per la scarsità di documentazioni nel cercare di capire come mai ci fossero state due demolizioni di Santa Tecla – una nel secolo XV e un’altra nel secolo XVI – ma oggi, grazie al paziente lavoro di Ada Grossi, si può comprendere abbastanza bene come andarono le cose. La facciata e il Paradiso dell’antica basilica non vennero demoliti completamente nel 1461 ma furono lasciati in piedi sia perché erano occupati dalle botteghe, sia perché la vecchia facciata doveva servire da ingresso per la nuova chiesa di dimensioni ridotte. Pare che proprio a partire dal 1481 si costruì una piccola chiesa rotonda, nella parte occidentale della nuova piazza del Duomo, verso la Pescaria, che utilizzò come ingresso l’antica porta di Santa Tecla volgendo le spalle a l Duomo. Purtroppo non conosciamo le fattezze di questo edificio, che alcuni hanno supposto che fosse stato ideato dal Bramante o da Lazzaro Palazzi. Si sa soltanto che i lavori procedettero faticosamente e tra mille polemiche senza veramente concludersi mai. Si sa anche che la chiesa aveva almeno un altro ingresso verso il Duomo e che almeno una cappella sporgeva dal corpo circolare dell’edificio. La copertura, forse prevista a cupola, non venne probabilmente mai realizzata.

1500 d.C.

Per l’arrivo di Filippo II di Spagna in città si mobilita mezza città. Uno dei problemi maggiori era proprio l’aspetto indecoroso e ristretto di piazza del Duomo. Per accedere alla piazza arrivando dalla contrada dei Mercanti d’oro (Via Torino) ci si imbatteva ancora nella vecchia facciata di Santa Tecla ancora dall’aspetto decadente, e dalla presenza della nuova Santa Tecla, costruita a conclusione della piazza.

Nel 1548 Vincenzo Seregni formula un nuovo progetto per la piazza del Duomo che ci è giunto fortunatamente grazie ad un prezioso disegno della Raccolta Bianconi. 

Il Seregni riporta la situazione all’epoca e mostra la presenza di un edificio semicircolare posto nella piazza. Segna comunque le linee rettangolari per la realizzazione di una nuova e grande piazza per il Duomo, il quale è raffigurato con i due campanili laterali per lungo tempo ipotizzati. In sostanza il progetto ripreso del Mangoni nel 1863. DI tutto quello che si realizzerà però sarà la demolizione della “nuova” Santa Tecla.

Al deluso Capitolo di S. Tecla, che ha visto scomparire in un attimo ogni prospettiva di disporre di una propria chiesa, viene concesso l’uso del Duomo che da allora (fino ad oggi) è anche sede della parrocchia di S. Tecla.

Va anche ricordato che nel maggio 1560 il celebre banchiere genovese Tommaso Marino ottenne l’autorizzazione per aprire una nuova via di collegamento tra la contrada del Marino e piazza Duomo che doveva emulare la splendida Strada Nuova (oggi via Garibaldi) di Genova. Anche questo progetto, che voleva eliminare le casupole che da sempre occupavano parte dell’area della Galleria, rimase un sogno nel cassetto destinato a realizzarsi solo a metà dell’Ottocento.

1600 d.C.

Dal lato nord della piazza, intanto, si demolisce il Coperto delle Bollette (1614) e si avvia la costruzione delle ultime due campate del Duomo.

Naturalmente occorsero molti secoli per portare il progetto della nuova cattedrale a compimento. L’antica facciata – che ancora compare sugli stemmi della Fabbrica del Duomo – fu totalmente demolita solo nel 1683 e la nuova ebbe compimento non prima nel 1805, quando Napoleone Bonaparte, che nel Duomo sarebbe stato incoronato Re d’Italia, impose la sua conclusione.

L’area della piazza occupata dall’odierno Palazzo Reale di Milano (già Palazzo del Broletto Vecchio) era, con l’avanzamento del cantiere della cattedrale, un derelitto edificio vetusto e rimaneggiato più volte. Presentava ancora all’inizio del 1700, un cortile ristretto e ridotto a rudere dal lato della piazza per via delle demolizioni per far largo al Duomo.

1700 d.C.

Sotto l’impero austriaco il primo grande intervento in piazza sarà quello del rinnovo totale di Palazzo Reale operata di Giuseppe Piermarini, affiancato da Leopold Pollack a partire dal 1773 e la conseguente creazione di una seconda piazza posta lateralmente alla prima e più antica, che produce qualche sconcerto in coloro che erano rimasti fermi al “perfetto quadrato” ricordato dal Latuada.

Infatti il primo atto del nuovo architetto sarà quello di eliminare immediatamente il lato del cortile d’onore verso il Duomo, creando con gli altri tre la cosiddetta Piazzetta Reale, all’epoca rivelatasi più grande della stessa piazza del Duomo.

1800 d.C.

All’inizio dell’Ottocento si comincia a ripensare la piazza, anche perché la cattedrale finalmente prese forma. Si pensa al suo ampliamento e al sicuro sacrificio sia del Coperto dei Figini che per l’isolato del Rebecchino.

Nel 1805, con la proclamazione dell’impero, Giuseppe Pistocchi presenta alcuni grandiosi “Piani di Foro” da realizzare nella “Piazza Maggiore di Milano”. L’idea principale era quella di affiancare al Duomo, altre grandi istituzioni cittadine.

Il progetto, per mancanza di soldi, sarà rinviato a tempi migliori, ma l’idea dei due archi di trionfo contrapposti al Duomo, pensati dal Pistocchi sarà ripresa e in parte attuata dal Mengoni.

Nel 1869 Giulio Beccaria presenta un progetto di trasformazione che prevedeva anche una grande esedra a nord della piazza, di modo da ammirare il lato settentrionale della cattedrale, ma l’unica parte di questo progetto che verrà avviata e conclusa fu quella dietro il Duomo, dove si demoliscono le case del vecchio cantiere della Fabbrica del Duomo per costruire il nuovo palazzo della stessa Fabbrica. Il progetto dell’architetto Pietro Pestagalli, approvato nel 1839, viene costruito tra il 1841 e il 1853 e sarà completato con le statue del Giorno e della Notte poste ai lati dell’orologio nel 1860. Scompaiono quindi gli ultimi resti della chiesa di S. Michele, mentre viene conservata la chiesa di S. Maria Annunciata in Camposanto che sarà inglobata nel palazzo.

Il primo passo per la trasformazione avviene con la creazione nel 1858 della nuova piazza della Scala, dove saranno demolite le vecchie case poste tra il teatro e palazzo Marino.

Contestualmente si pensa di collegare la nuova piazza a piazza del Duomo con una strada abbattendo gli altrettanto modesti caseggiati che si trovavano su quell’isolato. Il progetto è approvato nel febbraio 1859, ma la guerra che inizia due mesi dopo ne interrompe l’esecuzione. L’idea però è tutt’altro che dimenticata: il 28 giugno dello stesso anno, quattro giorni dopo la decisiva vittoria di S. Martino e Solferino, una delegazione di autorità milanesi si reca da Vittorio Emanuele II per rendere omaggio al futuro sovrano d’Italia e per offrirgli l’intitolazione della nuova strada.

L’entusiasmo per le vittorie franco-piemontesi e per l’imminente realizzazione del nuovo regno d’Italia fanno desiderare un nuovo assetto anche per piazza del Duomo. Mancando i soldi, però, venne lanciata una lotteria civica: con un biglietto da 10 franchi si concorreva ad un premio di 400.000 franchi che sarebbe stato sorteggiato un anno dopo, il 9 gennaio 1861. Nel mentre vengono invitati i cittadini a presentare dei progetti e delle idee. Nel frattempo vengono definiti in modo più concreto i termini del concorso, che viene indetto pubblicamente l’1 maggio 1861.

I progetti dovevano prevedere: 1) una piazza porticata larga m. 122; 2) una Galleria di collegamento (oppure una strada) tra piazza Scala e piazza del Duomo che doveva iniziare esattamente di fronte a via Rastrelli; 3) un palazzo in fondo alla piazza con tre sottopassaggi dietro al quale doveva correre una nuova via di collegamento tra via S. Margherita e piazza Missori che sostituiva la strada ormai diventata Galleria commerciale. I progetti elaborati sulla base di questi requisiti vengono esaminati nell’estate del 1862. La commissione tra i 18 progetti presentati ne premia quattro giudicandoli però non del tutto validi. Il progetto del Mengoni – chiamato “Dante” – non viene premiato, ma riceve molti consensi.

A decidere le sorti del futuro della piazza sarà un secondo concorso, indetto nel 1863, al quale vengono invitati i tre architetti che avevano ricevuto maggiori consensi: Giuseppe Mengoni, Giuseppe Pestagalli (figlio di Pietro Pestagalli, l’autore del palazzo della Fabbrica e del gugliotto omonimo) e Nicolò Matas, il quale rinuncia da subito perché impegnato a Firenze per la nuova facciata di S. Croce. Tra i due rimasti venne scelto il Mengoni, il cui progetto venne approvato dal Consiglio comunale il 15 settembre 1863.

Il progetto vincitore prevedeva una piazza quadrata, il Duomo che rimane protagonista al centro, due archi trionfali posti ai lati, uno all’ingresso di una galleria e l’altro posto a capo della manica lunga di Palazzo Reale e un edificio prospiciente la cattedrale.

Sarà salvaguardato il carattere laico della piazza inserendo i due archi trionfali sopra i quali erano previste due quadrighe simili a quelle dell’Arco della Pace. Questi due imponenti monumenti avrebbero concorso senz’altro ad attenuare l’imponenza della facciata del Duomo creando una seconda direttrice nord-sud di rilevanza quasi pari e quella naturale rivolta verso est.

Apportate le modifiche richieste il progetto viene approvato nel 1864 e il 7 marzo 1865 Vittorio Emanuele II poté porre la prima pietra della Galleria in un clima festoso rovinato solo da un’improvvisa e violenta nevicata che fece fuggire al riparo gran parte degli invitati. La City of Milan Improvements Company Limited, ditta inglese che vinse l’appalto per la realizzazione dei palazzi, riuscì a realizzare la grande crociera della Galleria in soli tre anni. Il 15 settembre 1867 la Galleria venne aperta al pubblico. Uno dei primi a stabilirvisi fu il signor Gaspare Campari, già titolare di un locale nel Coperto dei Figini, ormai prossimo alla demolizione.

Finita la Galleria, si procedette coi lavori per la piazza, ma ben presto la società finanziaria inglese ebbe gravi problemi di liquidità e il Comune di Milano fu costretto nel 1869 ad acquistare la Galleria, l’area dove sorgerà il Palazzo dei Portici meridionali e le opere già realizzate del Palazzo dei Portici settentrionali, cedendo a sua volta tutta l’area ad est della Galleria ai privati perché continuino a loro spese il palazzo con l’obbligo di seguire il previsto progetto del Mengoni. I due palazzi vennero terminati nel 1875 e con l’arrivo a Milano dell’imperatore di Germania Guglielmo I si procede a demolire l’isolato del Rebecchino, rimasto fino ad allora in mezzo alla piazza.

Mancavano ormai soltanto i due grandi archi di trionfo, sui quali c’erano molte titubanze da parte delle autorità comunali le cui casse erano desolatamente vuote. Il Mengoni, che voleva ad ogni costo vedere conclusa degnamente la sua opera, lotta perché la sua opera sia portata a termine, esponendosi anche con il proprio denaro nell’appalto dei lavori. Purtroppo paga molto cara questa testardaggine: il 30 dicembre 1877, durante un ultimo sopralluogo sui ponteggi dell’arcone ormai quasi terminato, l’architetto precipita al suolo e muore. Si parlò di incidente, ma anche di suicidio o addirittura di omicidio. Il caso allora venne archiviato come suicidio, ma ancora adesso la studiosa Laura Gioeni, in uno studio recente sulla vicenda, ha sottolineato alcuni aspetti che potrebbero far pensare ad un suicidio del Mengoni, che sarebbe stato fortemente penalizzato se non fosse riuscito a concludere l’opera entro il 31 dicembre.

Dopo la morte del Mengoni e la conclusione dell’arco della Galleria, ben poco verrà fatto, che rimane ancora oggi quasi inalterata.

Solo nel 1896, dopo molti anni di gestazione, verrà inaugurato il monumento a Vittorio Emanuele II di Ercole Rosa che ha sul basamento un altorilievo rappresentante l’ingresso a Milano di Vittorio Emanuele II e di Napoleone III dopo la battaglia di Magenta, mentre i due leoni ai lati proteggono uno scudo sabaudo e uno scudo con la scritta ROMA. Nel 1928 viene eliminato il “Carosello” dei tram che girava attorno al monumento e si affida all’architetto Portaluppi la realizzazione del nuovo sagrato e della pavimentazione della piazza, che vengono realizzati così come li vediamo ancora oggi.

1900 d.C.

Finalmente nel 1936 si pose mano al secondo “arco di trionfo” di fronte a quello della Galleria. Il concorso, vinto dagli architetti Portaluppi, Muzio, Magistretti e Griffini, ci regala il palazzo dell’Arengario, un elemento moderno che oggi molti guardano con indifferenza, ma che continua a disturbare gli amanti dell’equilibrio neorinascimentale del Mengoni. Resta sempre in sospeso il problema del palazzo di fondo, mai realizzato, che quasi trent’anni fa l’architetto Gardella voleva in qualche modo evocare con il suo alto muro-fontana mirante a nascondere il brutto palazzo Carminati all’epoca ancora velato dalle sue “moderne” insegne luminose. In questo modo avrebbe esaudito, almeno in parte, sia il sogno del Mengoni, sia quello più antico del Latuada, che sta sempre aspettando la sua “perenne fontana nel mezzo”.

Fonte: 
-L'architettura del Quattrocento a Milano - Luciano Patetta 1987
-Piazza Duomo prima del Duomo - Silvia Lusuardi Siena 
-StoriadiMilano.it
-La città e la sua memoria. Milano e la tradizione di S. Ambrogio - Electa 1997
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8 commenti su “Milano | Duomo – L’area Sacra, dal tempio di Minerva alla cattedrale”

  1. bellissimo articolo

    sarebbe molto interessante se si riuscisse a vedere gli altri progetti in gara per il rifacimento della piazza

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