Milano | Duomo – La Corte Viscontea nel 1350

Un città quasi impossibile da immaginare in epoca antica è sicuramente quella di Milano, che come visione predominante è di una città moderna e novecentesca. Monumenti antichi ce ne sono, ma solitamente isolati o circondati da più recenti contesti, al contrario di città come Firenze o Bologna che conservano angoli ancora dal sapore medievale.

Ogni tanto abbiamo provato, con la fantasia, a visionare la Milano che fu, come abbiamo fatto con le nostre ricostruzioni della Mediolanum romana.

Questa volta vi vogliamo far conoscere e immaginare l’immaginabile, il Palazzo dei Visconti, oggi Palazzo Reale e piazza dell’Arengo (una piccola porzione dell’odierna piazza del Duomo).

L’archeologia e la struttura.

Guardando Palazzo Reale e la sua bizzarra posizione, ci si rende conto da subito che è l’unico elemento fuori assetto rispetto alla piazza del Duomo stessa, perché non ortogonale, la quale è invece allineata al Duomo; questo perché all’epoca della costruzione del Palazzo del Broletto Vecchio (questo era il nome originale del palazzo) la cui costruzione risale all’incirca al 1100 (basso medioevo) non solo il Duomo non esisteva ancora, ma l’intera area oggi piazza del Duomo aveva dimensioni e forme completamente differenti.

Qui una nostra ricostruzione dell’area del Duomo nel corso della storia.

Pochi edifici cittadini possono vantare una storia altrettanto ricca quanto quella della Reggia Milanese: sorta intorno al Mille quale “Broletto” Comunale; castello e “corte” dei Visconti; palazzo ducale degli Sforza; palazzo del Senato per gli Spagnoli; imperiale regio palazzo degli Austriaci e reale palazzo di Corte nel Regno Italico. Naturalmente tutti questi passaggi di proprietario in 9 secoli di storia, hanno portato nel corso della sua storia rifacimenti, aggiunte e rifabbriche.

Dell’antichissimo Broletto poco sappiamo, se non attraverso i cronisti, fu la prima sede del governo della città di cui si abbia notizia documentata: espletò questa funzione durante il periodo dei comuni nel basso medioevo. Mentre innumerevoli stampe, vedute e planimetrie ci hanno conservato l’aspetto del palazzo tra i secoli XVI al XIX.

Del sontuosissimo edificio visconteo dovuto a Matteo e riformato da Azzone poco si poteva supporre sino al 1933, all’infuori della cappella palatina di San Gottardo; e le descrizioni fantastiche tramandate dal Fiamma o dal Torri. I saggi compiuti lungo questa via dall’architetto Perrone eseguiti nei primi anni Trenta del ‘900, assieme alle indagini eseguite del prof. Chierici, che han preceduto la scomparsa della “Manica lunga” di Palazzo Reale (il “braccio” che si trovava dove oggi si trova il Museo del ‘900), rappresentano una somma di sufficienti dati di fatto per rendere una chiara immagine del palazzo di quel periodo storico, assieme al raffronto con i documenti grafici conservati negli Archivi portarono ad una ricostruzione ideale assai attendibile.

Nel periodo tra il 1933 e il ’34 vennero anche eseguiti dei lavori di restauro alle facciate prospicienti la piazzetta reale, che portarono alla luce le tracce trecentesche dell’antico palazzo.

In corrispondenza di sei campate del lato maggiore, al piano nobile, perfettamente circoscritte alle finestre neoclassiche in pietra di Saltrio, apparvero sei finestroni a sesto acuto dalle larghe ghiere in elementi di terracotta. Poichè in una di esse era sopravissuto, ancora in posto, un frammento di rosoncino, era facile dedurre trattarsi di bifore; per ovvie ragioni, purtroppo, era invece scomparsa qualsiasi traccia del sostegno centrale, certo una colonnina. Tali finestre apparivano in tutto simili, se non identiche, a quelle scoperte anni prima dall’architetto Perrone lungo la via Rastrelli, certamente anch’esse bifore.

A giudicare dal piano del davanzale, si potè dedurre che il pavimento attuale del piano nobile del palazzo corrisponde quasi esattamente al pavimento visconteo, salvo, ben si intende, la diversità dovuta al tempo.

Tutto il piano terreno di palazzo Reale mostra ancora oggi, verso la piazza, una struttura ad arconi acuti in cotto; in taluni ambienti sussistono ancora le volte. Un saggio compiuto alla sinistra della porta maggiore piermariniana doveva infatti fornire la prova indiscussa dell’esistenza di un porticato su pilastri ed archi somiglianti a quelli estremi del palazzo della Ragione; cui, per altro, in tempo successivo, erano stati inscritti sottarchi di rinforzo.

Così all’epoca si delineò la struttura medioevale del palazzo visconteo lungo le pareti di quel cortile maggiore, che più tardi, come è ben noto, venne aperto nel suo lato di settentrione allo scopo di consentire la costruzione del Duomo.

Dunque si trattava di un porticato terreno e di un piano assai alto, nobile, dalle bifore eleganti. Successive indagini, consentirono di stabilire che, al disopra, doveva esistere anche un secondo piano, forse di servizio, assai meno alto del primo, ed illuminato da finestre pure in cotto, sempre a sesto acuto; un frammento di queste fu rintracciato ancora in posto; ma, trattandosi di elemento assai modesto, non fu mai definito. Eran bifore, oppure monofore lobate? Appartenevano, esse, al tempo delle sottostanti bifore, oppure si trattò di rifacimenti posteriori?

Tra le tracce più evidenti del palazzo trecentesco, come dicevamo, oltre alle finestre di via Rastrelli, degli archi a sesto acuto degli ambienti al piano terra e agli archi acuti del corsaletto gotico, va menzionata anche la colonnina murata a metà, appartenente verosimilmente ad una bifora trecentesca che si trova nel corridoio del primo piano nell’ala orientale del palazzo.

Nel suo radicale riordino, il Piermarini dovette seguire pedissequamente la struttura antica, tanto nel lato maggiore quanto nelle ali laterali, sostituendo alle finestre barocche (che a loro volta avevano preso il posto delle bifore gotiche) altrettante finestre classiche; aumentando a pianterreno lo spessore del muro allo scopo di creare lo stilobate
destinato a reggere l’ordine ionico; dando al secondo piano una maggiore altezza.

Altro fattore che determina che la struttura del Piermarini sia ancora quella del palazzo visconteo — pur sotto le appiccicature barocche — lo prova la stampa del Dal Re, una fra le serie che illustrano la corte settecentesca. Ancora, nel Settecento, il porticato del piano terreno occupava, aperto, due terzi del lato maggiore e tutto il lato di destra.

Sempre negli anni Trenta, si procedette alla demolizione della cosiddetta “Manica Lunga”, l’ala di Nord-Ovest del palazzo, per permettere la costruzione dei due edifici dell’Arengario.

A partire dal 22 settembre 1936 vennero eseguiti dei lavori di rimozione dell’intonaco motivati dal tentativo di fermare la demolizione imminente riscoprendo le strutture gotiche nascoste dall’intervento settecentesco del Piermarini. Intervento che fu inutile, inquinato la demolizione venne compiuta l’anno successivo. Magra consolazione sono le foto scattate che testimoniarono frammenti di affreschi sforzeschi rinvenuti e oramai perduti..

Tutte le “scoperte” archeologiche compiute in facciata durante gli anni Trenta vennero comunque ricoperte, per non deturpare l’aspetto neoclassico e monumentale realizzato dal Piermarini. Uniche tracce lasciate in visone sono quelle che ancora possiamo ammirare lungo via Rastrelli.

La storia della Corte Viscontea

Le origini dell’edificio vanno portate agli albori di questo luogo, quando qui si trovava il “piccolo Brolo” (dal latino Brolium – giardino, orto), terreno adiacente al Palazzo Arcivescovile di Milano, luogo di assemblee e riunioni, Broletto per distinguerlo dal più vasto Brolo che gli arcivescovi possedevano fuori le mura (oggi sede della Statale e dalla Basilica di San Nazaro. Il “Broletto Vecchio” venne citato una prima volta in un atto del 1021, simbolo della signoria episcopale che durò a Milano dalla metà del X secolo fino al tramonto del XI Secolo. Su questo pubblico prato i Consoli della città in cerca di luoghi per le adunanze cittadine, eresse un edificio nel 1146, una modesta costruzione di un solo piano e aperta su ogni lato chiamata Consoleria. Solo più tardi il palazzo prese il nome che contrassegnava il prato: Broletto. Nome che verrà dato in seguito a ogni edificio pubblico nel nord Italia, a cominciare dal “Nuovo Broletto” in piazza dei Mercanti costruito nel 1228. Nel Basso Medievo l’area antistante l’edificio e le due basiliche (Santa Tecla e Santa Maria Maggiore) venne anche chiamato “Arengo” o “Corte dell’Arengo”.

La Corte dei Visconti e la grande modifica al palazzo che abbiamo preso in considerazione prende avvio con la sconfitta dei Torriani a Desio nel 1277 e l’ingresso a Milano dell’arcivescovo Ottone Visconti, che porta il grande cambiamento politico e storico della città. Infatti inizia la transizione del potere dal Comune alla Signoria che si concluderà con la piena presa di possesso da parte dei Visconti della città di Milano e in seguito delle altre città lombarde.

Ottone, in quanto arcivescovo, si stabilì nella sede arcivescovile accanto alla Basilica di S. Maria Maggiore (al posto dell’attuale Duomo) e sistema il nipote Matteo, nominato Capitano del popolo, accanto a sé nei palazzi pubblici, mai del tutto abbandonati, del Broletto Vecchio (l’odierno Palazzo Reale), adiacenti al palazzo arcivescovile e ad esso collegati da un passaggio aereo, un insieme di palazzi che andavano dalle odierne piazza Fontana a via Rastrelli.

Alla morte di Ottone, nel 1295, un provvidenziale incendio spinge Matteo a ristrutturare il Broletto Vecchio, ormai diventato il suo palazzo, i Visconti lo ingrandirono e fortificarono. Il cronista Galvano Fiamma, che scriveva intorno al 1330, lo descrive come un luogo di delizie, con fontane, orti pensili, serraglio di bestie esotiche, peschiere e numerose sale, “che appena al mondo se ne trovano di più belle”. Ma fu soprattutto Azzone Visconti, signore di Milano dal 1329 al 1339, ad ampliare il palazzo aggiungendovi una seconda corte verso settentrione, circondata da porticati sostenuti da grandi archi gotici, e facendo costruire, dall’architetto cremonese Francesco de’ Pegorari, la chiesetta di San Gottardo, con l’aggraziato campanile ottagonale tuttora esistente; alla sua sommità venne collocato, novità meravigliosa per l’epoca, un orologio che batteva le ore (donde il nome di via delle Ore ancor oggi portato dall’adiacente contrada).

Tra i pittori e decoratori chiamati per abbellire il palazzo, secondo una tradizione riportata dal Vasari, venne a Milano anche Giotto, oltre a Giovanni di Balduccio da Pisa cui si devono il sepolcro dello stesso Azzone in San Gottardo e la monumentale arca di San Pietro da Verona conservata nella basilica di Sant Eustorgio.
Studi recenti hanno ridato credibilità alle descrizioni e alle cifre contenute nel De magnalibus urbis Mediolani di Bonvesin della Riva (1288). Già alla fine del Duecento Milano superava probabilmente i 150.000 abitanti, stipati entro la nuova cinta muraria approssimativamente coincdente con l’attuale cerchia dei navigli, ed era sede di una fiorente industria laniera, di lavorazioni artigianali di ogni specie e di un ceto mercantile ricco e intraprendente.

Con l’arrivo degli Sforza, la corte si sposterà nel Castello che diventa anche residenza ducale. Nei secoli successivi la vecchia Corte dei Visconti, decadendo un po’, rimane invariata e sede di tribunali e uffici amministrativi. Durante il Dominio Spagnolo subirà pesanti modifiche che snatureranno l’aspetto medievale, inserendo finestre barocche e altri nuovi spazi. Sarà la fine del bel palazzo gotico dei Visconti.

Infine sarà il Piermarini a modificare completamente l’edificio, rendendolo come ancora lo vediamo oggi, seppure devastato durante la Seconda Guerra Mondiale.

Fonte: Rassegna di Architettura – Anno IX – Marzo 1937 – pp. 112-116. – Articolo di Ferdinando Reggiori sulle scoperte delle bifore di Palazzo Reale nel 1933 e anni seguenti; Il Palazzo Reale di Milano, Fondazione Cariplo; Il Palazzo Reale di Milano, Skira; Porta Romana, Libreria Milanese 1987.

Per l'utilizzo delle immagini scrivere a info@dodecaedrourbano.com

3 commenti su “Milano | Duomo – La Corte Viscontea nel 1350”

  1. Bellissima ricostruzione storica. Perché però non si fa di tutto per riqualificare la zona del palazzo della ragione, unico angolo medioevale di Milano. La recente ristrutturazione è penosa.

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