Proponiamo uno studio di Quinzii Terna Architecture, sulle piazze milanesi e i possibili sviluppi.
Quando pensiamo ad uno spazio pubblico, vivo, denso di persone, di contatti, di attività, spesso pensiamo ad una piazza: con le sue caratteristiche di luogo dell’incontro, durante la Pandemia la piazza è divenuto uno spazio negato, in discussione, possibile elemento di crisi e rottura, bisognoso di un ripensamento e di nuovi meccanismi di riappropriazione (il progetto del Comune Piazze Aperte ha visto infatti una accelerazione nella recente strategia Post Covid).
A Milano esistono 336 piazze (che qui vengono per la prima volta mappate), ma metà di questi luoghi -individuati dalla Toponomastica- sono spazi con una prevalenza di mobilità veicolare (spesso sono solo grandi parcheggi) e questa condizione è omogeneamente distribuita, compreso il centro storico.
La città non ha una ricca tradizione di piazze, forse per il suo carattere fortemente legato alla convergenza di flussi, che ne hanno fatto, nei secoli, un nodo di interscambi rapidi e in continuo cambiamento. Sembra di leggere, invece, un legame con alcuni esempi del Nord Europa: le piazze verdi, simili ai Common inglesi, per esempio, rappresentano circa un quarto del totale, costruendosi come oasi di Natura in città e mescolando i caratteri tipici degli spazi di aggregazione minerali con quelli naturali dei giardini.
Piazze ambigue, che non lavorano sugli aspetti più esibizionisti delle piazze storiche italiane, dove è importante vedere e farsi vedere, ma che preferiscono l’idea di un relax urbano, di piccola modifica ambientale del quartiere.
La mappatura delle piazze sottolinea la necessità di una visione di insieme che consideri questo sistema non solo come piccole oasi di socialità ma come una rete continua e articolata alla scala della città, connotandolo come un vero e proprio servizio, al pari di verde e altri spazi pubblici, soprattutto alla scala dei quartieri.
Le immagini fanno parte della ricerca sullo spazio pubblico milanese svolta all’interno della call Urban Factor, promossa da Triennale Milano e Comune di Milano, Pierfrancesco Maran, Stefano Boeri, Lorenza Baroncelli
Collaboratori: M. Calegari, A. Deponti, J. Du, D. Mikavica, L. Mochsen, X. Xu, Ö. Yazgan.
Studio molto interessante. L’idea di vivere la città come “spazio pubblico pedonale pedonale continuo” è meravigliosa; aggiungi la riapertura dei Navigli (anche parziale)…top!
C’è un pedonale in più ?
Interessante proposta ma incompleta, e qui torniamo al solito argomento fortemente sentito dai milanesi ma spesso ostracizzato da posizioni ideologiche radical-chic.
Ne abbiamo discusso molto proprio su alcuni articoli comparsi su questo blog di recente.
La dimensione sembra ricomporsi nei pensieri dei cittadini che vivono questa splendida cittá con pragmatismo. Ci sono migliaia di milanesi che hanno o stanno cambiando le proprie alternative di mobilitá, ma non sono dei tontoloni disposti a peggiorare la loro quotidianeitá per seguire idee lontane dalla realtá, e senza che la societá civile e l’Amministrazione abbiano fornito delle alternative vere.
Abbiamo la fortuna di vivere in quella parte di mondo ricco e democratico dove il confronto e la libertá si costituiscono sulla possibilitá di scegliere, e distinguendo quale possano essere il mondo perfetto in cui vorremmo vivere e quello possibile.
Saluti talebani
Giovanni
Giovanni,
I tuoi interventi sono spesso equilibrati ancorché non li condivida in molte occasioni, ma questo è il sale di una civiltà pluralista e democratica e va benissimo. Per questo rispetto per quel che scrivi, mi dispiace notare scivoloni come “radical chic” o “talebani”.
Il punto filosofico di base è che non si può far coesistere tutto: la stessa piazza non può essere luogo di incontro fra le persone e deposito di auto. Bisogna scegliere. E nello scegliere, l’opzione che viene “sacrificata” sarà l’opzione preferita da alcuni, o anche molti, che pertanto vivranno la frustrazione della mancata realizzazione della propria visione o del cambiamento delle loro abitudini. Non è una mancanza di democrazia o di libertà, è un’applicazione pragmatica di volontà collettiva, anche se non del consenso unanime.
Sulla qualità della quotidianità che i cittadini non vogliono perdere è una questione di narrativa. Per me uscire di casa e vedere che una quota cospicua dello spazio in cui vivono centinaia di migliaia di persone viene sottratta ai bipedi per ospitare auto non è sintomo di qualità. Vedere i miei bambini giocare fra asfalto e catrame o dover fare la file di cinque minuti per scendere da uno scivolo che ha venti altri utenti, sapere che respirano un’aria che salubre non può definirsi, sono sintomi di una qualità della vita con amplissimi margini di miglioramento.
In più tu parli correttamente di mobilità e non di auto. Bene, la mobilità alternativa a quella dei veicoli ha subito un enorme incremento di offerta negli ultimi venti/trent’anni con decine di km di nuovi collegamenti sotterranei (metro e passante) e alternative meno tradizionale come il car sharing o le piste ciclabili. E altrettanto si può prospettare per i decenni di fronte a noi, accompagnato da miglioramenti tecnologici ancora da scoprire. Per poter realizzare parte della visione che UF, molti di noi che lo seguono e molti delle persone che vivono in questa città auspicherebbero, una graduale restrizione del parco auto circolante è necessario.
La risposta che sentiamo qui è solo che più parcheggi preferibilmente sotterranei siano l’unica soluzione, non considerando che lo spazio in superficie è limitato, ma anche il sottosuolo utilizzabile è molto scarso, oltre a costi significativi.
È legittimo che pareri diversi coabitino in un pensatoio, ma quando si passa alla realizzazione una direzione bisogna prenderla e, allo stesso tempo, una graduale transizione diviene necessaria, a meno che l’opzione consapevolmente adottata sia lo status quo
Una supercazzola per dire meno auto a rubare suolo, se si riesce a metterle sottoterra bene, se no si devono gradualmente ridurre, per restituire spazio agli esseri viventi!
Quando leggo frasi tipo “Sulla qualità della quotidianità che i cittadini non vogliono perdere è una questione di narrativa.”, di solito spengo il cervello e archivio alla lettera “F” (Falegnameria mentale).
Che è un peccato perchè in fondo sul fatto che le piazze debbano essere piazze e non parcheggi, che di auto ne abbiamo fin troppe e che (per alcune fascie d’età/categorie) ci siano alternative reali all’auto di proprietà siamo tutti d’accordo, in fondo.
Mi sembra un modo gentile per rigirare le parole in modo complicato ed andare a parare sempre nello stesso punto.
Ci sono migliaia di milanesi che hanno o stanno cambiando le proprie abitudini di mobilità GRAZIE alle alternative fornite dalla società civile e dall’Amministrazione.
Prima, quando Amministrazione e società civile demonizzavano qualsiasi idea che non era aderente alla realtà, nulla cambiava e la dimensione umana dei luoghi di vita stava scomparendo in favore di un’estranea ed ignota dimensione economica.
L’uomo vive di idee, il pane gli serve solo per produrne di nuove.
Le piazze devono essere isolate dal traffico urbano rumore stress e confusione.
Devo essere luoghi umani di rilassamento e risposo.
Oasi in mezzo al kaos della città automobilistica.
Mettiamo lontane le auto dalle piazze.
Proteggiamo la nostra qualità della città e della vita quotidiana.