Milano | Architettura – Alessandro Rimini: l’architetto dimenticato 

Il 27 gennaio si celebra in tutta Italia il “Giorno della Memoria” in ricordo dello sterminio e delle persecuzioni del popolo ebraico e dei deportati militari e politici italiani nei campi nazisti.

Noi di Urbanfile vogliamo ricordare, la figura di un architetto che ha segnato il profilo di Milano ma che spesso è stato dimenticato: Alessandro Rimini.

Il nome Rimini fa venire in mente la città romagnola, ma come si sa, spesso i cognomi di formazione toponimica rivelano un antico cognome ebraico, come Rimini per l’appunto.

Alessandro Rimini nacque a Palermo nel 1898 da famiglia veneziana. Combatté nella prima guerra mondiale dove fu fatto prigioniero dai tedeschi a Caporetto nel 1917 e portato nelle miniere di carbone di Munster in Vestfalia. Sopravvisse alla carenza di cibo facendo i ritratti ai prigionieri di altre nazionalità. Riuscì a fuggire dalla miniera andando a piedi sino in Olanda.

Finita la guerra, si diplomò nel 1921 in disegni d’architettura all’Accademia di belle arti di Venezia dove conobbe lo scultore Franco Asco (del quale inserì delle sculture negli edifici che avrebbe progettato) e successivamente si laureò in architettura all’Università degli Studi di Padova. Alcuni schizzi giovanili testimoniano che fu un eccellente pittore.

Dopo alcuni restauri fatti per la sovrintendenza di Trieste di cui era funzionario (Santa Maria del Canneto e tempio di Augusto a Pola, Basilica Eufrasiana di Parenzo in Istria, Santa Maria delle Grazie a Grado), nel 1924 decise di trasferirsi a Milano con la donna che da lì a breve diventerà sua moglie, Olga Benini.

Il primo lavoro importante nella grande città fu la progettazione del Cinema Colosseo di Viale Montenero 84 con annessa casa d’abitazione. L’inaugurazione che avvenne l’8 aprile 1927, si svolse in una cornice esclusiva con tanto di celebrazioni delle autorità, del bel mondo milanese con la colonna sonora della Marcia Reale e dell’inno Giovinezza.

Il successo del primo grande incarico porta altri lavori di pregio, soprattutto nel campo delle nuove sale cinematografiche, tra le quali l’ex Cinema Impero di Via Vitruvio, all’angolo con Via Tadino (oggi un garage).

Nel 1930 si trasferisce a Napoli con la famiglia progettando e seguendo per tre anni la direzione del cantiere dell’Ospedale Cardarelli, ancora oggi il più grande ospedale del Sud Italia.

La sua passione per l’arte lo porta ad acquistare quadri di pregio del ‘500 e del ‘600 napoletano. Ancora non sa che il suo amore per la pittura e il suo innato senso estetico contribuiranno a salvare la vita della sua famiglia quando, nascosti alla persecuzione nazista, dovranno svendere letteralmente opere inestimabili in cambio di zucchero, sale o beni di prima necessità per sopravvivere. Mussolini in persona inaugura il Cardarelli e Alessandro Rimini cerca di defilarsi dalle foto celebrative in quanto rifiuta di indossare la camicia nera e fare il saluto romano.

Dopo la parentesi napoletana, il ritorno a Milano coincise con la realizzazione del suo edificio più celebrato: la Torre Snia Viscosa di piazza San Babila, realizzato tra il 1935 e il 1937, progettando così il primo grattacielo d’Italia 

Si tratta di un ardito monumento in cemento armato per il quale vengono richiesti permessi speciali, dati i 59 metri di altezza, ma è completato in tempi da record e inaugurato con tanto di cinegiornali dell’epoca a seguire l’evento. L’edificio deterrà il record di altezza per molti anni a venire. Al suo interno, precisamente nell’atrio sopra gli ascensori, compare la sagoma di una donna en deshabillé: è Olga, l’amata moglie, la cui silouhette comparirà in tutti gli edifici da lui progettati. Segretaria del patron della Snia è la signora Crovetti, ebrea come lui e che ritroverà nel campo di concentramento di Fossoli.

Come ha raccontato la figlia, Liliana Lagonigro Rimini, «col nuovo piano regolatore di Albertini, 1934, mio padre si domandava dove avrebbero potuto posteggiare in una piccola piazza le macchine che già in quegli anni cominciavano ad essere numerose. E cosi gli venne l’idea di realizzare questo parcheggio a silos che occupava poco spazio di quell’importante suolo. Con l’impresa Lucca che aveva già costruito la torre Snia creò con la collaborazione dell’architetto De Min la struttura del Garage Traversi, dove per tanto tempo mio padre  posteggiava la macchina avendo li lo studio in piazza San Babila 4 B». Garage che in origine doveva esser collegato con un arco e un passaggio alla Torre Snia. Garage che oggi ha ritrovato una nuova vita, come abbiamo visto, ed è protetto dalla Sovrintendenza.

Tornando alla vita di Alessandro Rimini, nel 1936 fa ritorno a Napoli per il risanamento del Rione Carità e progetta Palazzo Troise con annessa riqualificazione della Via Diaz. Le invidie professionali e le pretestuosità per attaccarlo si fanno però, via via, più crescenti. Mussolini in persona definisce il palazzo in costruzione un “paracarro” e alcuni architetti e ingegneri arriveranno a sollecitarne l’abbattimento, convinti che la sua mole oscuri il magniloquente e fascistissimo Palazzo delle Poste e Telegrafi. Ciò non avviene poiché i costi di abbattimento risulterebbero di gran lunga superiori al completamento dell’opera! Così Alessandro Rimini potrà ancora firmare sia Palazzo Troise sia la Torre Snia.

Ma il 1938 arrivò per tutti, insieme alle leggi razziali: gogna del quinquennio più duro della Seconda Guerra Mondiale. All’apice del suo successo, l’Architetto Rimini fu costretto a diventare un fantasma e non apporre la sua firma sui suoi progetti. Così continuò a lavorare in sordina, lasciando a colleghi di “razza ariana” l’onore di annoverare a loro nome architetture meneghine quali: Garage Traversi (1938); il Cinema Teatro Massimo di corso San Gottardo (1938), l’attuale Auditorium Giuseppe Verdi di Largo Mahler; il Teatro Smeraldo (1940), oggi sede di Eataly in piazza Venticinque Aprile; e il Cinema Metro Astra di corso Vittorio Emanuele: oggi architettura a servizio dello shopping che ospita l’ampio negozio della catena spagnola Zara e il cui ingresso venne salvato dai rifacimenti, sbalordisce ancora tutti i visitatori del negozio. L’atrio circolare con il lampadario in vetro di Murano e il doppio scalone che si apre a destra e a sinistra fra mosaici Déco, tra i quali si può scorgere di nuovo la silhouette dell’amata moglie Olga.

Perciò a causa delle “Leggi Razziali“, Rimini pur essendo effettivamente il padre di molti edifici, non vide riconosciuta la paternità che spetterà ad altri, preludio a ciò che di più grave accadrà. È uno tsunami che coinvolge anche la famiglia. Sua figlia Lilly, bambina inconsapevole, viene cacciata da scuola e nonostante uomini e donne di buona volontà cerchino di proteggerli e aiutarli, ciò non basterà a frenare le scelte scellerate del nostro Paese che entrerà in guerra alleato dei Tedeschi e della Germania nazista. I vertici della Metro Goldwin Mayer, da tempo in dismissione da ogni investimento italiano, hanno offerto ad Alessandro Rimini un salvacondotto per sé e per la sua famiglia negli Stati Uniti, ma per non abbandonare la madre gravemente malata, impossibilitata a partire, egli rifiuta. Questa scelta d’amore gli costerà cara. A causa di una delazione, mentre si sta occupando della messa in sicurezza del Teatro Colosseo danneggiato dai bombardamenti, viene arrestato e tradotto a San Vittore, dove trascorrerà tre mesi. Verrà torturato e picchiato, gli spaccheranno tutti i denti, ma non rivelerà dove la famiglia è nascosta: a Roverbella, tra Mantova e Verona.

Viene trasferito nel campo di concentramento di Fossoli insieme a tutti gli ebrei rastrellati in città, tra cui parenti e amici, oltre a un gruppo di prigionieri politici. Si conoscono quasi tutti. Nella sua testimonianza, rilasciata alla Fondazione CDEC, parla dei sotterranei della Stazione Centrale e di quel lunghissimo convoglio diretto a Carpi. Dalla prigionia scriverà lettere piene di dolcezza alla moglie, cercando sempre di minimizzare ciò che di crudele accade lì dentro. Incita Olga ad avere “sempre coraggio, mai paura, che sento sempre che per noi finirà tutto bene; e questo ci sembrerà solo un brutto sogno, e sarà dopo, tutto più bello, e ci vorremo ancora più bene, e non ti annoierai più te lo prometto”. Con riferimento alle figlie scrive: “Raccontagli tante cose belle di paparino, che non è tanto lontano, è sempre vicino a voi col pensiero”.

La Fuga da Fossoli, un attimo prima della deportazione. Nel Campo di Fossoli, Alessandro Rimini medita l’idea della fuga. È luglio e le SS fucilano 70 prigionieri. L’episodio verrà ricordato come l’Eccidio di Carpi. In un biglietto scritto a mano, ancora conservato dalla famiglia Rimini, vi sono i nomi di tutti i prigionieri con cui egli è detenuto, che pregano di avvisare le rispettive famiglie nel caso riuscisse a scappare. Fra questi, solo per citarne alcuni: Fiano, Belgiojoso, Banfi, Orvieto, Ettore Barzini (figlio di Luigi e militante del GAP), e Doffi, un suo nipote medico di 26 anni che, come tanti altri, quasi tutti, non tornerà da Auschwitz. Arriva il giorno della deportazione. Prima in bus, poi su barche per attraversare il Po, poi ancora autobus e poi fermi a Verona per due giorni.

Tutti gli ebrei sono rinchiusi in una ex fabbrica di tabacchi. Infine vengono trasportati in camion sino a Verona Porta Vescovo e da qui caricati sui convogli diretti in Polonia. Alessandro Rimini progetta la fuga nei minimi dettagli e nel preciso momento della partenza, trovandosi il suo convoglio attaccato all’ultimo vagone di scorta, con un escamotage coglie alla sprovvista i soldati fingendosi un poliziotto italiano salito per un’ispezione. Entra da un lato del vagone e scende letteralmente dall’altro, con il treno ormai in movimento.

Quando si capirà che è fuggito è già troppo tardi. Mandano delle squadre a cercarlo, ma Alessandro Rimini è corso nella campagna verso Roverbella, dove c’è sua moglie con le bambine. Viene riconosciuto solo dal cane Leo che gli corre incontro e i suoi abiti vengono sotterrati. È stremato, senza denti, macilento, ma vivo. Inizierà la sua vita di latitanza sotto le mentite spoglie di un pittore di nome Guido Lara. Vive della sua arte, nascosto in una Milano dove si combatte. La figlia maggiore Lilly andrà a trovarlo in una casa diroccata proprio di fronte alla sede dell’Aeronautica di Piazza Novelli, divenuto comando nazista.

La seconda vita. Arriva la fine della guerra e Alessandro Rimini riprende la sua attività di architetto. Non parlerà mai più dell’accaduto, se non in una dettagliata deposizione rilasciata al CDEC nel 1967 e di cui non farà mai menzione alle figlie. Il Teatro Smeraldo, che si tenta di far passare ancora oggi per opera non sua, bensì di un suo collaboratore “ariano” è emblematico del suo atteggiamento. Non cercherà mai vendetta né rivalse su chi, approfittando della sua posizione di debolezza, tentò di prendersi meriti non propri. L’erede del Teatro Smeraldo e dell’edificio che lo ospita (attuale EATALY), documenti alla mano, ha dovuto ribadire recentemente la paternità del progetto, attribuendola giustamente a Rimini. Così è accaduto per altri edifici progettati durante le leggi razziali del ‘38. Nel dopoguerra termina, sempre con Giò Ponti, i progetti del complesso in Piazza San Babila, e poi il Cinema Corso, l’Ariston, il Rivoli, il Modernissimo e il Bar Tre Gazzelle. Altri suoi edifici e cinema sono a Pavia, Lodi, Rimini e Riccione e Roma. Dal 1962 si dedicherà esclusivamente alla pittura. Nel 1976, in una calda estate, muore a Genova. Alessandro Rimini ha contribuito a trasformare la città di Milano, ma è stato anche un esempio di lotta e ribellione al destino che altri avevano la pretesa di scegliere per lui.

Testi tratti da un articolo di Sarah Parker per Bet Magazine Mosaico, Wikipedia, Triennale

Referenze immagini: Internet, Milano Sparita

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15 commenti su “Milano | Architettura – Alessandro Rimini: l’architetto dimenticato ”

  1. Grazie, Urbanfile: non conoscevo la triste storia di Alessandro Rimini, ma è importante che sia raccontata e tramandata.
    Perché il Comune di Milano non dedica una via ad un personaggio così meritevole?

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    • Io ho l’onore di abitare in una casa progettata da Alessandro Rimini, oltre ad avere una copia della bellissima monografia a lui dedicata

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  2. Interessante articolo.
    Aveva 29 anni quando hanno inaugurato il suo Cinema Colosseo. Ai giorni d’oggi a quell’età al massimo fai la gavetta in qualche Studio importante…

    Dovevano essere altri tempi anche se visto quel che è successo dopo, non farei a cambio.

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  3. Non conoscevo Alessandro Rimini, che molto ha fatto per rendere più bella e importante una Milano, da sempre descritta come luogo di lavoro senza anima culturale. Io sono nata e vissuta a Milano e conosco molto bene tanti suoi impotranti edifici, ma non mi è mai sembrato di vedere alcuna menzione dell’Architetto costruttore. Sarebbe bello che venisse creato un percorso culturale di tutte le sue importanti opere, tutt’ora esistenti.

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  4. Veramente interessante conoscere la storia di questo geniale uomo, del quale non conoscevo l’esistenza. Grazie per avermi dato la possibilità di imparare una storia che andava raccontata.

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