Sarà che Milano è al passo coi tempi, e quindi in continua trasformazione, ma da diversi anni stiamo assistendo ad un cambio epocale, forse persino troppo accelerato, almeno secondo me.
Io sono cresciuto negli anni Settanta e Ottanta, l’epoca d’oro di Milano dove si correva come una vera locomotiva e la città contava più di un milione e mezzo di abitanti (nel 1971 arrivò a 1.700.000 mentre nel 1981 contava ancora 1.600mila abitanti). Quegli anni possiamo dire che furono anche l’epoca dei negozi, dei cinema e della vita sociale, la famosa Milano da Bere. All’epoca però i ristoranti non erano tanti come ora, così come i locali notturni. Milano era una città di lavoratori e la notte si dormiva. Però tutte le strade, dal centro alle periferie, brulicavano di negozi, di cinema di zona e di bar.
Ricordo da piccolo i negozi dove mia madre mi portava, ricordo che sapevano di vecchio ma di qualcosa di sicuro e istituzionale. Negozi che erano aperti da decenni, forse prima delle due guerre addirittura. Negozi oggi introvabili o impensabili. Ricordo salumerie, macellai e ortolani, così come mercerie e fiorai, ferramenta, cartolerie e falegnamerie. I negozi ricchi di merce e vetrine a volte addobbate come fosse sempre natale.











L’arrivo a partire dal 27 novembre 1957, lungo viale Regina Giovanna a Porta Venezia, del primo supermercato italiano che avrebbe rivoluzionato non poco i costumi di Milano e dell’Italia intera, segnò l’avvio del cambio epocale che avrebbe avuto il commercio in città e non solo.

Per secoli il commercio era rimasto prevalentemente quello svolto nei mercati o nelle botteghe, dove i prodotti venivano accumulati, e dove si potevano acquistare prodotti alimentari e non. Si andava dal sarto per farsi confezionare un vestito o dal calzolaio per un paio di scarpe. Nei grandi centri urbani si potevano trovare anche botteghe che vendevano un po’ di tutto, prodotti artigianali, il pane e altri alimenti, tessuti o altro ancora. Naturalmente vi erano le taverne o osterie, dove consumare cibo e bere. Mentre i negozi, come li intendiamo ancora oggi, iniziarono a comparire solo sul finire del 1700 e nel primo Ottocento.
Si trattò della comparsa delle vetrine, quella grande rivoluzione che conquistò il mondo e fece la differenza. Piuttosto che vendere merce all’ingrosso, accatastata nelle botteghe si cominciarono a vendere beni esposti in vetrine ben allestite, tra i quali anche beni non di prima necessità.
L’ortolano, il macellaio, il tappezziere, il ferramenta, la pasticceria, la sartoria, la merceria, il negozio di abiti, la cartoleria, la libreria, l’erboristeria, la cappelleria, la drogheria, la tabaccheria, la pelletteria, e molti ancora mostrarono i loro prodotti nelle vetrine. Pian piano i negozi iniziarono a specializzarsi in ogni settore. I palazzi iniziarono ad avere al piano strada una serie di aperture per ospitare i negozi, con le vetrine, per esporre la propria merce, cosa pressoché inesistente nelle architetture più antiche, dove le botteghe spesso erano nel cortile. Così dal diciannovesimo secolo il piccolo negozio con vetrina e qualche forma di illuminazione a gas cominciava a dominare le principali strade delle città, così anche a Milano.

Sempre nell’Ottocento, si diffuse anche la moda di fare una passeggiata ad ammirare le vetrine, in cerca di occasioni e novità, lo shopping. Tanto che si costruirono anche una serie di passaggi e galleria dove vennero allineati gli spazi commerciali, a Milano famosa fu la Galleria de Cristoforis, la “Contrada de Veder”, la prima del genere in Italia, realizzata nel 1832, purtroppo cancellata in favore del progresso che a Milano è sempre in anticipo.



Così possiamo dire che la storia commerciale della città era rimasta per decenni immutata o quasi sino agli anni Ottanta e Novanta. Infatti nelle nostre strade per lungo tempo rimasero immutati negozi storici e non sino a quegli anni, poi la rivoluzione della “globalizzazione” che cominciò a insinuarsi nel nostro contesto che per decenni sembrava inossidabile. Cominciò il franchising, o affiliazione commerciale, il nuovo sistema per aprire nuove attività come rivenditore indipendente legato però ad un marchio “globale”. Così in quegli anni aprirono le prime grandi catene internazionali che lentamente affossarono anche negozi storici in attività da decenni.
Nel 1981 a Milano apriva il primo Burghy, il locale rivoluzionario che aprì le porte al fastfood all’americana, una imitazione del famoso Mac Donald’s o del Burger King, il quale divenne in poco tempo una vera icona, un fenomeno di massa.

Ma anche la diffusione e il consolidamento della televisione iniziò ad insinuare gli spettacoli, sopratutto rivoluzionò le sale cinematografiche che lentamente iniziarono a chiudere, sopratutto in periferia, svuotando zone e lasciando spesso stabili vuoti e in abbandono.
Ora, eccoci ad un’ennesima svolta epocale, quella dell’e-commerce, gli acquisti elettronici grazie a internet che stanno mietendo vittime l’una dopo l’altra. Avrete senz’altro notato quante vetrine abbassate troviamo sempre di più nelle nostre vie. Persino nelle vie più commerciali come via Torino, Corso Vercelli e Corso Buenos Aires.



Molti negozi dal commercio, a seconda delle zone, sono stati convertiti al settore dell’alimentazione, come ristoranti, pizzerie e bar, che sono quintuplicati ultimamente, aprendo gli uni vicini agli altri, trasformando persino vie un tempo con vocazione ben diversa. Spesso questi locali, purtroppo, sopravvivono per pochi anni e poi soccombono alla concorrenza e ai costi di gestione. Insomma, addio ai negozi e ai locali storici.
Qualcuno dirà “chissenefrega”, ma spesso mi chiedo quale sarà il futuro delle nostre strade? Quale sarà il futuro delle città?
Ultimamente abbiamo assistito alla chiusura di uno storico teatro (il Nuovo), alla chiusura definitiva di sale cinematografiche, alla chiusura di locali storici, persino del mitico fastfood di San Babila (ex Burghy e in seguito Mac Donald’s) e non per ultimo, anche ad uno storico negozio di dischi (Buscemi).
A volte cerco di immaginare la città del futuro e la cosa mi spaventa. Mi immagino strade deserte, gente chiusa in casa a ordinare la qualunque grazie alla tecnologia: dal cibo ai vestiti, dall’intrattenimento allo svago di ogni sorta. Spero proprio di sbagliarmi.



Referenze immagini: Roberto Arsuffi, Google
Commerico, Negozi, Vita Sociale, Lifestyle, Ristorazione, Ristoranti, Degrado
Molto interessante, bravissimi
Da ricordare della Milano da bere come descritto bisogna ricordarsi che il debito publico è raddoppiato in quel periodo
ma che c’entra?
Complimenti! ! Sempre bello rivedere la vecchia milano
Purtroppo la tua conclusione è molto verosimile. E spaventa anche me. Aggiungerei xhe gli acquisti via web tolgono dignità al lavoro creando, schiere di magazzinieri e di camionisti e cancellando negozi che, oltre mantenere vivi i nostri quartieri, offrivano certamente lavori più qualificati e qualificanti. Tutto in nome della globalizzazione e soprattutto del risparmio. Ahimè
I miei ricordi risalgono agli anni sessanta. Quella Milano non c’è più, questa è un’altra cosa. Una giusta evoluzione o involuzione?
Triste questa “Antologia di Spoon River” commerciale. Speriamo ci si stanchi presto dell’on-line e dei mega centri commerciali replica uno dell’altro e si torni a far vivere l’anima di Milano e di tante altre belle città.
Questa è la triste realtà globale!
Purtroppo ho riscontrato anch’io che Milano sta diventando una città irriconoscibile. Hai descritto molto bene il cambiamento che sta subendo e provo un’infinita tristezza. E con la città sta cambiando anche la gente, anche questa in peggio.
se vogliamo ridare vita alla città bisogna farla diventare un posto bello da vivere: pedonalizzare, abbellire, incrementare il verde e gli spazi di socializzazione. Come dimostrato le vie pedonali e ciclabili riprendono vita, piuttosto che lasciare delle autostrade urbane
Tipico esempio i Navigli.
Che però hanno espulso tutti i negozi storici e adesso sono solo bar e ristoranti che cambiano gestione ogni anno.
E’ un posto bello per vivere? anche Isola è sulla stessa strada, forse le zone andrebbero più seguite ed aiutate dal punto di vista commerciale altrimenti rischiano la morte per asfissia.
E ti pareva che non arrivava il solito pippotto : adesso mancava solo che i negozi e i cinema chiudono per colpa delle auto.
Ma ripigliati
Io invece mi stupisco che nell’analisi dell’articolo non venga mai citato il cambiamento avvenuto nel sistema di trasporti che un tempo di fatto incentivava di più l’acquisto nei negozi di quartiere vicino a casa
E quale “sistema di trasporti” sarebbe servito per andare dal salumiere sotto casa?
Un sistema che incentivasse ad uscire di casa a piedi o in bicicletta.
Non esistono solo i negozi di alimentari…
Ma a Milano ci avete la fissa di pensare solo a mangiare e bere??
No qualcuno a Milano è ossessionato dalle auto. Sse le sogna la notte che sgasano sotto casa
Se hai il negozio sotto casa (una cartoleria, va bene 13:35? ) ci vai a piedi e non serve nessun sistema che incentivi cosa.
A dir la verità è esattamente l’inverso….
il consumatore è costretto a prendere la metro o l’auto proprio perché non ha più il negozio raggiungibile a piedi.
Un posto dove puoi arrivare a piedi resta tale indipendentemente dal sistema dei trasporti.
Se nella tua via a 500 metri di casa hai un alimentari, e poi a due isolati c’è la fermata della metro e magari a tre la tangenziale, non è che prendi la macchina per andare al negozio perché la tangenziale è vicina, o la metro poi fai una fermata scendi e la fai a piedi… continui ad andarci a piedi.
Che poi i giovani ormai si spostano solo per andare all’aperitivo.
La spesa la fanno online, per non parlare di tutto il resto…. che negozi vuoi che sopravvivano!
No, sbagli.
Prima di tutto hai citato la metro che non centra proprio niente, in pochi vanno a fare la spesa in metro.
Per quanto riguarda l’auto sappiamo bene che non c’è stata costrizione ma un forte incentivo ad usarla. Se vieni convinto a prendere l’auto smetti di andare dal salumiere sotto casa perché è più comodo il centro commerciale.
Ci vai perchè costa meno e devi far tornare i conti.
Viveri liberi e belli senza essere schiavi dell’auto è una bella cosa, più facile da realizzare per chi è giovane e con un buon lavoro.
E chi sarebbe che ti “incentiva” o “convince” a prendere l’auto perché è più comodo quando vai a fare la spesa al centro commerciale?
Non ci puoi arrivare da solo?
Buongiorno vedo che hai dormito bene!
Perché segui un blog di urbanistica se non conosci nemmeno le risposte a queste domande? Sei forse uno zoomer che non ha mai visto secolo scorso?
Illuminaci tu @Andrea, il più grande sparatore di cazzate di questo blog.
L’urbanistica di una città fatta principalmente intorno alle automobili ha ammazzato Milano.
Non è piacevole uscire i strada a fare la spesa
Purtroppo è una ritirata inarrestabile quella dei negozi di quartiere. le nuove generazioni (a cui in parte appartengo, ho 34 anni) sono interessate solo al risparmio che si ottiene via web, se ne fregano delle vie che restano vuote. E non si può neanche dargli troppo torto tra stipendi miseri, precariato, preszi delle case alle stelle ecc ecc ecc. purtroppo il futuro spaventa, hai proprio ragione tu
Il cambio di rotta è globale, Milano è una città connessa al mondo, non più un capoluogo fiore all’occhiello di una regione.
I negozi non chiudono perchè c’è l’online, ma perchè è finito il ceto medio; Milano divide sempre più (come le grandi capitali mondiali) ricchi e chi sopravvive. Zara o Primark non spariranno, come non spariranno La Rinascente, Gucci o Moncler.
E’ una città meno umana, ha scelto lei (volontariamente o no), di trasformarsi nella città degli affari a colletto bianco, delle speculazioni, dei “maranza” con vagonate di soldi, contano i “k” anzi i milioni che uno ha, altrimenti non servi a nulla.
Milano resta sempre una città stupenda, popolata non più da milanesi ed innamorati di uno stile di vita, quanto da chi può permettersi di avere tot, ed ha capito (il)legalmente come ottenerlo.
Milano è oggi la città che ti beve, allineata a tante altre metropoli fatta per generazioni e mentalità troppo distanti da chi amava la vecchia drogheria sotto casa, il raduno in piazza con amici di quartiere.
Non spaventa il cambiamento o il futuro, mette però tristezza pensare di abbandonare il posto dove si è cresciuti perchè “non più desiderati”, perchè “non è più per le tue tasche”.
Amo Milano anche così, anche se entro qualche anno me ne andrò, non reggo più i suoi stress e la tristezza umana che la regna.
Bell’articolo.
E com’erano più belle le insegne quando non potevi stamparne il disegno.
I locali sfitti coi prezzi al mq milanesi sono però davvero offensivi.
È brutto vedere tutti questi negozi in centro chiusi da anni. Ed ho l’impressione che in futuro sarà peggio: tutti saranno al centro commerciale.
Io penso invece che l’ecommerce fagociterà in primis i centri commerciali (e già lo sta facendo): alla fine il grande vantaggio di questi era la praticità di avere tutto quanto condensato in un solo punto. L’ecommerce ne è l’ulteriore evoluzione
I negozi del centro possono sopravvivere se si riesce a dare valore al contesto in cui sono. Spazi a misura di pedone, che alternano food ad altre attività commerciali sono gradevoli da vivere di per se, indipendentemente dalla stretta necessità di comprare.
Il negozio affacciato su una strada a quattro corsie raggiungibile solo in auto non ha futuro perchè ci si va solo se devi comprare e a quel punto vince Amazon.
articolo boomeroide che non tiene in considerazione tanti dettagli.
comunque finché le richieste di affitto sono così alte hai voglia a volere i negozi, alcuni sono eccessivi persino per grandi catene. buenos aires poi è invivibile.
E un piccolo dettaglio è che il prezzo degli affitti lo fa il mercato, se alto è perché il negozio è evidentemente in una zona di pregio e molto richiesta.
I proprietari non si divertono a lasciarli vuoti.
TALMENTE RICHIESTA CHE SONO VUOTI. TACI
L’opinione di un cafone che usa il termine “boomeroide”, e scrive in maiuscolo in un blog non conta.
“Taci” lo dici a tua sorella.
Che tristezza questo continuare a tirare in mezzo sto termine “boomer”! Mi dici chi sono? Fino a che anni si viene considerati boomer? Io ho 30 anni e penso che le strade vuote senza negozi se non ristoranti negozietti etnici e immobiliari facciano tristezza. Sono boomer? Qui parliamo di milano ma è cosi in tutta italia i negozi stanno sparendo i costi degli affitti non centrano niente.
Quando non si hanno argomenti spari un “Ok boomer” e sei a posto.
Bravo oh finalmente! Basta co sto boomer, etichetta idiota per chi non ha voglia di pensare! Invece direi che se le uniche licenze che danno sono quelle dei ristoranti non è colpa solo dei ristoratori. Ma esiste ancora quella norma per cui non puoi aprire rivendite uguali a meno di xy metri dalla più vicina?
ma se a così tante persone piace l’idea dei negozi di una volta perchè non ne aprite uno? questa la cosa: ormai chi ha VOGLIA di avviare un’attività sono solo gli stranieri, cinesi in primis, quindi che non rompiate le palle e iniziate ad apprezzare quello che c’è. facile dire “che schifo questo che schifo quello” quando tanto non ci si mette mai in gioco. Sempre il solito popolino di lamentoni del cazzo
“Boomer” sono i nati dopo la guerra e fino al 1964, ossia la generazione magica che ha preteso ed avuto tutto negli anni 60 e 70.
Purtroppo da noi è usata in modo più vago, specie per dileggiare i cinquantenni che invece non ci azzeccano proprio niente…ma in fondo chi se ne importa.
Fotografia 8: “Il mare l’abbiamo avuto anche a noi a Milano,
tutto cosparso del suo bel ondeggìo che esso c’ha dentro,
esso andava da Porta Lodovica fino in via Farini,
via Torino tutto un scoglio,
che c’è ancora il pesce adesso in via Spadari.
Poi sono arrivati i tedeschi
e hanno spaccato su tutto…”
Siamo un paese di vecchi. La maggior parte della popolazione non ha dimestichezza con gli acquisti online. Milioni e milioni di persone preferiscono l’acquisto fisico. E vedo anche moltissimi giovani entrare nei negozi e vedere di persona i prodotti. Cosa è cambiato? Gli affitti da denuncia e le tasse che ti spennano. Se apri un attività ti va via tutto in bolletta e affitto. Poi certo, internet con Netflix, amazon, i negozi online ed altro hanno contribuito ha togliere qualcuno dai cinema e dai negozi fisici. Ma non mi venite a dire che TUTTI comprano online. Conosco gente che ha negozi. Non è la mancanza di clienti il problema. Costa tutto troppo
Una società costruita sui consumi e sulla facilità di accesso ad essi porta sempre più ad un mondo low cost ed easy (fast food, discount, low cost airlines, Airbnb, delivery, Amazon, tutti termini non esattamente in dialetto meneghino, non quello classico almeno)
E allora siamo tutti colpevoli se, per avere sempre di più, andiamo a cambiare la lavatrice in un centro commerciale o su un sito che ci porta l’elettrodomestico a casa, veniamo con McDonal’s o Deliveroo, perché farci un piatto di pasta ci stanca, riempiamo carrelli e pance di enormi quantità di cibo barattando quantità per qualità (anche di rapporti umani) acquistando da Lidl anziché dal negozio all’angolo…
Se pensassimo che il tessuto sociale, fatto anche di piccoli esercenti locali, fosse una priorità, daremmo un calcio al consumismo e al comfort per una vita più simile a quella a cui molti di noi aneliamo, ma che ci sembra scomparire nello specchietto retrovisore
Io non credo che sia solo il commercio elettronico ad aver ucciso tanti negozi.
Un bel colpo l’hanno dato e lo stanno dando sempre di più i centri commerciali. Centri come Arese per esempio. Perché devo andare in quello schifo di Corso Buenos Aires pieno di auto, traffico, rumore, clacson e smog, quando in venti minuti sono in una bella copia di Corso Buenos Aires, tutta pedonale, senza auto e con tutta tranquillità passo da un negozio all’altro?
Un tempo, prima che venisse pedonalizzata pure San Babila era diventata uno schifo come Baires e come sono tutt’ora la maggior parte delle vie commerciali della città.
I centri commerciali sono nati anche grazie al fatto che il secolo scorso abbiamo iniziato ad usare l’auto per ogni cosa, anche per fare 500 metri. Questa cosa ha funzionato fintanto che le auto erano poche poi è degenerata trasformando le vie commerciali nello schifo che sono oggi. La gente invece di ritornare a fare la spesa a piedi o in bici (sia mai! Mica vogliamo tornare all’età della pietra!) ha iniziato ad andare al centro commerciale, abbandonando il negozio di quartiere dove ormai non si trova più parcheggio.
Ma tutta la vita della società secondo te gira intorno alle auto?? Ma dove le trovi queste raffinate analisi?? Visto che lo scrivi tu ad altri te lo scrivo anche io: questo è un blog che tratta di urbanistica; qiesto NON È un blog ecologista.
Guarda che le auto hanno un impatto altissimo sull’urbanistica.
Intere città, soprattutto in America del Nord ma anche da noi, sono state sventrate e modificate per le automobili.
Le auto sono anche il principale motivo per cui i centri storici muoiono. Muoiono perché è molto più conveniente vivere un po’ fuori città è andare a fare compere negli enormi centri commerciali che scimmiottano i centri storici: pedonali, curati, puliti, sicuri. Un circolo sicuramente non virtuoso.
Consiglio una visita in una qualsiasi città olandese o danese, le persone dalle periferie vanno in centro a fare compere, a piedi o in tram o in bici. La loro urbanistica ha resistito e si è opposta all’invasione delle auto, noi italiani ormai facciamo il contrario, perché abbiamo investito su un unico tipo di mobilità, la peggiore in assoluto per le città: l’automobile.
Hai in parte ragione ma se i commentii hanno unicamente a tema il problema delle auto non ti interessi di urbanistica ma di ecologia. Purtroppo il fenomeno della scomparsa dei piccoli negozi riguarda tutta europa e la causa principale è lampiù semplice: il risparmio che si ottiene prima nei centri della gdo e a seguire con l e-commerce. L’auto usata all’italiana è certamente un problema, ma non IL problema. Bisogna intervenire con la politica altrikenti il fenomeno è irreversibile
Io ho aggiunto un bel “anche”. Non ho detto che tutto gira intorno alle auto.
I metodi con i quali ci si sposta in una città si trattano anche in urbanistica.
La critica dell’ecologia forse la devi fare al blog che, oltre all’architettura, sa parlare solo di alberi e giardinaggio, che sarebbero il principale vero motivo del degrado urbanistico della città.
Mi arrendo.
Bene.
Concludendo, abbiamo capito che:
Milano | Società – Fine di un’epoca… teatri, cinema, fastfood, edicole e negozi che spariscono.
E’ colpa delle auto.
Grazie @Andrea.
Il video non è recente, ma a mio parere spiega molto bene come la vedono in nord Europa la questione dei negozi e di come la gente spende i propri soldi:
https://youtu.be/x-nkt_kujGw
So che su internet c’è tutto e il contrario di tutto, e so che se credo in qualcosa tendo a considerare più veri i documenti che sostengono le mie teorie, ma è indubbio che le città italiane e le città del nord Europa stiano andando, purtroppo, in direzione diverse sui temi di urbanistica d mobilita. Noi italiani non abbiamo ancora capito che continuare a sostenere le automobili ci stia rendendo molto più poveri, oltre a farci vivere peggio.
Anche negli anni 70 c’era il mito della Scandinavia, ma per altri motivi…
Comunque a cosa serve una latteria in un quartiere fatto di soli uffici e banche ? Il problema è all’origine . Il peccato originale di Milano è stato lasciare che chiunque facesse qualunque cosa . I quartieri del centro sono diventai sedi di qualcosa , gli abitanti non vivono più la’. Forse ? bisognava ragionare prima su queste dinamiche folli di mercato immobiliare d’assalto . Milano non era Dubai . Se non si contrasta costruttivamente questa dinamica” L’ addio ai Monti “per Milano suonerà molto presto , sic!
Milano rimarrà una cattedrale (per ricchi) nel deserto. Un’oasi di lassismo e snobbismo (ma è già così).
I negozi chiudono perché non posso permettersi di stare aperti, la gente se ne va perché oggettivamente è una fogna invivibile e le persone che civivono sono tutte violente e anbruttite.
Milano morirà. Un centro economico deserto, ma lontano dai suoi “abitanti”
Io vivo a Mllano da 20 anni, non so giudicare come fosse prima perché la giudicherei come fanno i provinciali oggi.
Ma a mio parere è solo migliorata, e molto. Anche i maniscalchi non ci sono ahimè più, il mondo cambia e chi non si adegua soccombe, spiace ovviamente ma nascono opportunità, lavori diversi per gente diversa. Nella mia zona negozi ce ne sono come se piovessero, non sono più gestiti da italiani ma da persone che comunque cercano nel lavoro e nel sacrificio di dare dignità a se stessi e alle loro famiglie. Tutti qui commentano ma lo fanno su un cellulare da casa e non al mercato o al bar con gli amici. Tutto cambia, anche noi.
C’è anche una faccia meno romantica della medaglia:
Il negozio indipendente col proprietario che comperava o affittava i muri ed era imprenditore di se stesso creandosi un marchio ed una clientela è morto.
Adesso abbiamo i negozi sempre più in mano a poche società o persone che li fanno funzionare con chi è disposto ad orari e condizioni durissime (tipicamente i negozi all’angolo sempre aperti) o a società che arrivano, aprono e scompaiono in una stagione o due (tipicamente capita nei bar della movida).
Restano le eccezioni, ma se esistessero ancora i giornali ed i giornalisti sarebbe interessante un’inchiesta nel mondo del nuovo commercio al dettaglio a Milano.
Io a Milano ci sono nato e cresciuto.
Alcune zone resistono e rimangono a misura d’uomo e cioè con piccoli negozi di servizio (macellaio, bar, tabaccaio, parrucchiere, elettricista, cartolaio etc età), altre non sono proprio più quelle di un tempo.
Sono cresciuto in zona fiera in zona Piazza Amendola. Citylife ha cambiato il tessuto sociale dei suoi abitanti. Ora è piena di persone che ti guardano male se le saluti nell’androne di casa ed ovviamente non ricambiano il saluto. Vedo tanta maleducazione e spocchia.. vedi gente che gira quasi dicendo “io abito in zona CityLife non mi guardare neanche perché sono superiore a te”. E’ un progetto di una Milano che proprio non voglio, come è cambiata l’Isola e in parte la zona Navigli. Molti locali di zona hanno resistito al cambiamento, ma basta spostarsi in zona Marghera-Buonarroti per vedere la differenza con tanti anni fa. Tanti locali per mangiare/aperitivo hanno sostituito tanti piccoli negozi che ne facevano una zona tranquilla dove potevi trovare tutto.
Ovviamente tutto questo traffico non c’era.
Temo era per Piazza Loreto, un progetto “centro commerciale” come CityLife che non farà altro che causare un enorme traffico…
Sono spariti soprattutto i negozi originali e di qualità.
Il problema purtroppo è anche che gli affitti sono diventati altissimi e molti negozi sono di proprietà di mafie varie.
Vedo che i proprietari preferiscono tenere i locali sfitti piuttosto che abbassare il canone…
Galtrucco
Ghidoli
Brigatti
e ho detto tutto.
ciò posto va ricordato come siano cambiati gli stili di vita.
chi é che fa a mano le cose?
chi é che produce gli oggetti da vendere?
il problema é che le persone vogliono spendere POCO e spesso invece che tanto e raramente.
vogliono prodotti di scarsa qualità invece di oggetti che durano.
i negozi vendono ma ciò che é prodotto fa sempre più schifo.
salvo i rari negozi che producevano ciò che vendevano.
chi di voi va da rivola?
chi vuole poche pentole ma belle?
pochi vestiti ma belli?
poche scarpe ma su misura?
pochi piatti e bicchieri ma belli?
anche gli spazi di vita si sono ridotti.
Io a Milano ci sono nato e cresciuto.
Alcune zone resistono e rimangono a misura d’uomo e cioè con piccoli negozi di servizio (macellaio, bar, tabaccaio, parrucchiere, elettricista, cartolaio etc età), altre non sono proprio più quelle di un tempo.
Sono cresciuto in zona fiera in zona Piazza Amendola. Citylife ha cambiato il tessuto sociale dei suoi abitanti. Ora è piena di persone che ti guardano male se le saluti nell’androne di casa ed ovviamente non ricambiano il saluto. Vedo tanta maleducazione e spocchia.. vedi gente che gira quasi dicendo “io abito in zona CityLife non mi guardare neanche perché sono superiore a te”. E’ un progetto di una Milano che proprio non voglio, come è cambiata l’Isola e in parte la zona Navigli. Molti locali di zona hanno resistito al cambiamento, ma basta spostarsi in zona Marghera-Buonarroti per vedere la differenza con tanti anni fa. Tanti locali per mangiare/aperitivo hanno sostituito tanti piccoli negozi che ne facevano una zona tranquilla dove potevi trovare tutto.
Ovviamente tutto questo traffico non c’era.
Temo era per Piazza Loreto, un progetto “centro commerciale” come CityLife che non farà altro che causare un enorme traffico…