Torino | Architettura – il palazzo “fetta di polenta”: storia e curiosità di questo iconico edificio

Per i torinesi è uno dei simboli della città e, spesso, anche un punto di riferimento stradale, dato che si trova all’angolo tra Via Giulia di Barolo – nel quartiere Vanchiglia – e il trafficato C.So San Maurizio, nei pressi della Mole Antonelliana. Il suo “vero” nome è Casa Scaccabarozzi, anche se per i cittadini è conosciuto come fetta di polenta, per via del colore prevalentemente giallo ocra e della sua forma: un triangolo, stretto e alto, che ricorda, appunto, una fetta di polenta.

La storia

Dietro la sua creazione si nasconde, però, una storia curiosa e geniale. L’edificio è stato realizzato nel 1840 su progetto (e iniziativa) dell’architetto Alessandro Antonelli – il progettista della Mole Antonelliana – ed il motivo della sua creazione sembra essere stata una sfida. L’Antonelli, infatti, era stato incaricato dai Marchesi di Barolo di costruire una serie di edifici per popolare l’attuale quartiere Vanchiglia – ai tempi definito quartiere del moschino.

Al fine di migliorare la viabilità dell’attuale via Giulia di Barolo, l’Antonelli decise di demolire un fabbricato noto come Casa Colomba, una cui parte ostruiva lo sbocco dell’attuale Via Giulia di Barolo su C.so San Maurizio. Il risultato di questa demolizione, fu un pezzo di terreno stretto e lungo difficilmente utilizzabile. Nonostante questo, però, il progettista decise lo stesso di progettare e costruire nella stretta fetta di terreno un edificio abitabile, prevedendo un appartamento in ogni singolo piano, per un totale di cinque piani: due piani interrati (che fungono anche da fondazioni) e tre piani fuori terra.

Dopo la realizzazione, Antonelli lo donò alla sua attuale moglie, la nobildonna cremonese Francesca Scaccabarozzi, da cui prese il nome. Divenne subito il simbolo del quartiere, al centro del dibattito e della curiosità dei torinesi, molti dei quali scettici e preoccupati che un edificio così alto e sottile potesse avere seri problemi di stabilità. Per fugare ogni dubbio e convinto del successo della sua opera, l’Antonelli si trasferì con sua moglie e ci visse per alcuni anni, come prova di cieca fiducia nei suoi calcoli e nel suo operato.

L’edificio, inoltre, venne ulteriormente innalzato nel 1881 con altri piani superiori e con l’aggiunta di due piani mezzanino – che portarono l’edificio ad un complessivo di nove piani, sette piani fuori terra e due interrati. Negli anni, Casa Scaccabarozzi dimostrò una resistenza notevole, riuscendo a superare l’esplosione della regia polveriera di Borgo Dora nel 1852, il terremoto del 1887 e i bombardamenti della II guerra mondiale.

L’edificio

Si tratta dell’edificio più stretto di Torino, stile neoclassico, di forma triangolare (anche se, tecnicamente, è un trapezio) e lungo 16 metri (su Via Giulia di Barolo). Il lato più piccolo misura appena 54 cm, mentre il lato opposto 4,35 metri (su C.so San Maurizio) ed un’altezza di 24 metri. L’impronta al suolo è di appena 39 mq. Interamente realizzato in muratura portante, è stato anche dotato di una scala a forbice che collega tutti i piani e posta dal lato più stretto. Il lato interno, opposto a Via Giulia di Barolo è, invece, liscio e privo di aperture.

Al fine di recuperare più spazio possibile, è stato adornato di diversi ampi balconi nei piani dal 1’ al penultimo e di un balcone unico a ballatoio all’ultimo piano. Quest’ultimo, è coperto da un tetto a due falde spioventi in tegole. Le finestre sono ampie e a tutta altezza, con balconi alla francese e si proiettano leggermente fuori rispetto al piano verticale di facciata (come dei bow-window): espediente che fece ulteriormente recuperare superficie interna. Poiché la scala è molto stretta, non era possibile portare mobili o oggetti spaziosi ai piani alti, così l’Architetto ha previsto una carrucola in cima all’edificio per il sollevamento anche durante i traslochi. Per completezza di progettazione, Antonelli riuscì a collocare anche i cavedi per la canna fumaria, le condutture idriche e i locali per i bagni verso il lato di 54 cm.

Ai giorni nostri

Casa Scaccabarozzi fu anche usata, all’inizio, come sede del Caffè del Progresso al pian terreno, ed ospitava le riunioni dei primi carbonari e rivoluzionari piemontesi. Nato principalmente come edificio residenziale, però, rimase tale fino al 1979, quando l’allora proprietario Giancarlo Bussei, incaricò l’architetto e scenografo Renzo Mongiardino ad operare una profonda ristrutturazione che ne permise la trasformazione in un’unica residenza abitativa (con una stanza ad ogni piano) ed un attento restyling degli interni, riuscendo ad uniformare stilisticamente tutti i piani – fin’ora di stile e caratteristiche diverse.

Nel 2005, invece, fu messo all’asta giudiziale dalla Città con un prezzo base di 570 mila euro. Nel 2006, alla terza tornata d’asta, fu venduto alla nuova proprietà che un anno dopo commissionò una nuova ristrutturazione ed un restauro conservativo affidato allo studio di Architettura Civico 13, guidato dall’arch. Alberto Daviso di Charvensod, che durò fino al 2008.

Il restauro, eseguito dall’Impresa di Costruzioni F.lli Buscieti snc – che spesso si occupa di recupero o costruzione di “edifici d’arte” (come, ad esempio, l’ultimo lavoro Casa Nespolo) – è stato anche e supervisionato dalla Soprintendenza dei Beni Culturali (essendo Casa Scaccabarozzi protetta e vincolata) e ha permesso di convertire il palazzo in galleria d’arte e sala espositiva del gallerista Franco Noero.

Nel 2013 la palazzina fu di nuovo riconvertita in abitazione privata e, nel 2016, Civico 13 fu nuovamente incaricato di un’altra ristrutturazione, con un consolidamento strutturale eseguito dall’impresa ARE srl e il restauro delle facciate esterne, ritardato poi dal covid e realizzato nel 2021 dall’Impresa Findecor srl. Nell’occasione, fu anche rifatto il colore esterno dei prospetti grazie anche al supporto di Furnari Restauri sas di Gionatan Furnari, restituendo, così, nella sua forma originale, l’edificio più curioso di Torino, nonché l’ennesima conferma del genio artistico di Alessandro Antonelli.

Architetto: Alessandro Antonelli (Torino)

Architetto (restauro) – Civico 13 Architetti (Torino) + Arch. Chiara Gagliardi (Torino)

Foto e disegni storici: MuseoTorino

Disegni recenti: Civico 13 (Torino)

Foto interni: Civico 13

Foto esterni: Francesco Gullace

Per l'utilizzo delle immagini scrivere a info@dodecaedrourbano.com

7 commenti su “Torino | Architettura – il palazzo “fetta di polenta”: storia e curiosità di questo iconico edificio”

  1. Incredibile a Torino un edificio come il Flatiron di New York e con una storia ancora più affascinante. Triste come sempre che la città, lo Stato o gli Agnelli ( che mai si sono comportati come i grandi ricchi americani ad esempio gli Astor che hanno donato la biblioteca Nazionale a New York City)non si siano fatti in avanti a garantirne una perfetta preservazione anche dell’architettura interna. Grazie del bellissimo articolo.

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