Nello scorso ottobre/novembre erano stati ripresi i lavori per la riqualificazione e sistemazione stradale di via Padova, ed ecco un aggiornamento di gennaio dal lungo cantiere.
Ricordiamo che Via Padova è una lunghissima via che attraversa diversi quartieri e distretti di Milano. Comincia il suo lungo percorso da Loreto e dal suo piazzale, prosegue attraversando NoLo, la zona del Trotter, il Casoretto, Turro e Rottole, Cimiano, Crescenzago e termina a Cascina Gobba praticamente, costeggiando, nell’ultimo tratto, anche il canale della Martesana e sconfinando nel Comune di Vimodrone.
La lunga via risulta spesso un pianeta a parte. Sovente è riferita come quartiere particolare e difficile, sopratutto nella parte iniziale, dove troviamo una popolazione per la maggior parte composta da immigrati dal Sudamerica, dall’Asia e dal Magreb, che creano un piccolo mondo a sé stante, un mix che vive però nel degrado e disagio più profondo a due passi da Loreto. Sopratutto nella parte attorno a via Chavez, da qualcuno ribattezzata come “Churro” (perché suona come Turro ma col riferimento alle classiche frittelle dolci a forma di bastoncino di ispanica tradizione).
Il tratto interessato dall’intervento va da via Giacosa sino a Via Leonardo Cambini, davanti alla chiesa di San Giovanni Crisostomo.
Coe si vede delle foto, qualcosa, dall’ultimo nostro reportage, è cambiato e migliorato. I marciapiedi rifatti sono stati asfaltati sino a via Fanfulla da Lodi, dove invece,in questo punto i marciapiedi sono stati piastrellati con le pietre (vogliono ripetere l’esperienza del Giambellino?)
Mancano i vasi con le alberature (non osiamo immaginare come saranno ridotte tra qualche anno) e per ora son state posizionate le tubature per l’irrigazione. Nel frattempo l’usanza di parcheggiare sui marciapiedi, anche se non completati, è giù diffusa.
Manca ancora il tratto da via Chavez in su e il lato dispari della via. Di questo passo il cantiere sarà rimosso completamente giusto (si spera) per le Olimpiadi del 2026.
Referenze immagini: Roberto Arsuffi; Comune di Milano
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“Sicurezza stradale, Italia in ritardo di decenni: autovelox e dossi per ridurre la velocità”. Alternative? Esistono ma il ministero non le sblocca
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La vicenda degli autovelox abbattuti in varie zone del Nord Italia da “Fleximan” ha scatenato il dibattito. Nonostante il procuratore di Treviso, Marco Martani, aveva dichiarato nei giorni scorsi che il sostegno social per l’autore degli abbattimenti poteva configurare l’apologia di reato, c’è chi ancora solidarizza con Fleximan. Addirittura alcuni sindaci – come la prima cittadina di Villanona, Sarah Gaiani – mostrano cedimenti dichiarando che l’autovelox abbattuto nel loro territorio probabilmente non verrà reinstallato: “Dobbiamo tenere conto anche del dissenso delle persone, se c’è chi arriva a tanto non possiamo ignorarlo“, ha detto Gaiani al Corriere del Veneto. Come se – fanno presente in tanti – la sicurezza stradale possa essere barattata con il “dissenso delle persone”. Ma in molti puntano comunque il dito contro i Comuni accusati di fare cassa a discapito dei cittadini. Una vicenda, tanto discussa, che non poteva non essere cavalcata anche da Matteo Salvini, che il 21 gennaio sui social assicurava: “Stop alla giungla degli autovelox“. “Stiamo lavorando – aggiungeva il ministro alle Infrastrutture – per limitarne l’utilizzo ai casi in cui ci siano effettivi problemi di sicurezza, evitando che sia usato per tassare e tartassare i lavoratori“. Leader della Lega che sembra anche lui puntare il dito contro i Comuni che “tassano e tartassano”, forse dimenticando che gli autovelox fissi per essere installati nella strade extraurbane ordinarie e le strade urbane di scorrimento o ad alto scorrimento, hanno bisogno dell’autorizzazione della Prefettura locale. Cioè l’istituzione che rappresenta proprio il Governo sul territorio, quindi non sono i Comuni ad auto-autorizzarsi. Salvini, che è ministro delle Infrastrutture, dovrebbe tra l’altro sapere che in Italia non esiste quasi nessuna alternativa agli autovelox come deterrente per limitare la velocità. O meglio gli strumenti di rallentamento alternativi esistono, gli altri Stati li usano, ma il ministero non li autorizza.
“Siamo indietro di oltre 30 anni” – “Autovelox e dossi artificiali sono gli unici strumenti previste nelle norme italiane, tra l’altro con limitazioni anche molto stringenti”, spiega a ilfattoquotidiano.it Alfredo Drufuca, ingegnere dei trasporti e direttore tecnico di Polinomia, società che opera dal 1991 nel settore della pianificazione dei trasporti, della tecnica e organizzazione del traffico e della sicurezza stradale. Il problema principale è che in quasi tutti gli Stati europei “tutto il sistema della strumentazione disponibile per controllare i comportamenti stradali e quindi ridurre gli incidenti, a partire dal controllo delle velocità, è stato inserito nei codici e nelle normative già 30-40 anni fa“. In pratica l’Italia si trova indietro di oltre tre decenni rispetto, ad esempio, a Gran Bretagna e Olanda e “questa cosa si vede nei tassi di mortalità e incidentalità nelle varie nazioni”, spiega Drufuca.
Il semaforo dissuasore – Il punto è che in “Italia non abbiamo ancora nessuna normativa che regolamenta l’uso della grande strumentazione alternativa che avremmo a disposizione per ottenere questi scopi”. Uno dei possibili strumenti da utilizzare soprattutto in ambito extraurbano è, ad esempio, il semaforo dissuasore o intelligente: sono quei semafori in grado di riconoscere un veicolo che procede a una velocità troppo elevata e, in tal caso, attivare le luci gialle e poi rosse, costringendo così il conducente a rallentare e fermarsi. Sono molto utilizzati all’estero e possono eventualmente essere anche dotati di apparecchio fotografico per identificare i trasgressori. Nonostante qualche comune in Italia abbia installato dei semafori dissuasori, in realtà questi strumenti sono “illegittimi” perché non previsti dalle norme. “Nel 2010 con la legge 120 fu data finalmente la possibilità anche in Italia di utilizzare gli impianti semaforici come elementi di controllo delle velocità”, spiega l’ingegnere Drufuca: “Peccato però – aggiunge – che la legge prevedeva entro 6 mesi l’emanazione di un regolamento per rendere possibile la loro applicazione. Sono passati 13 anni e questo regolamento non è mai arrivato“. Qualcosa si è mosso con Toninelli ministro: l’ingegnere Drufuca – tra l’altro – era stato chiamato a collaborare con il ministero proprio per predisporre il regolamento per normare la materia. “Avevamo scritto ed eravamo arrivati a chiudere il regolamento ma cadde il governo”, racconta: “Così dal ministero la proposta fu ritirata e messa nel cassetto“. Rimane il fatto che si tratta di strumenti “preziosissimi” e alcuni dirigenti comunali, in assenza di regolamento, hanno comunque autorizzato la loro istallazione: “Io li definisco eroi – spiega Drufuca – perché lo fanno a loro rischio e pericolo. Non essendo un tema regolamentato basta un avvocato per far saltare tutto e creare loro numerosi problemi”.
I cuscini rallentatori – In pratica mentre si punta spesso il dito contro i Comuni, in realtà sembra più che sia il ministero a non mettere nelle condizioni gli enti locali di lavorare in un contesto di legalità e regole per utilizzare tutti gli strumenti esistenti e necessari a garantire la sicurezza stradale e ridurre così il numero di incidenti e vittime. Un altro esempio, questa volta in ambito urbano, riguarda i cosiddetti “cuscini rallentatori“, un sorta di dosso ma quadrato e di circa un metro e mezzo: “Una sorta di gobba quadrata – spiega l’ingegnere – che ha la caratteristica di intercettare almeno due ruote di un’autovettura, mentre autobus e i veicoli pesanti non vengono disturbati, così come bici e moto che li evitano con facilità. Uno strumento pertanto meno impattante e più intelligente anche del normale dosso”. Così, mentre i dossi non possono essere istallati in zone spesso attraversate dai veicoli di soccorso, i “cuscini” eviterebbero il problema. “Questo oggetto – racconta Drufuca – era stato addirittura testato in via sperimentale in italiana nel 1973 a Tortona tanto che allora veniva chiamato ‘agnolotto tortonese’. Poi nessuno ne ha saputo più niente, fino a che non sono riapparsi in tempi più recenti quando altri Stati europei hanno cominciato a dotarsi delle normative sui dispositivi di rallentamento, comprendendo anche questi oggetti”. E così adesso lo strumento è noto, invece, come “cuscino berlinese“. Alcune città italiane (come Torino), recentemente, hanno cominciato a chiederne l’istallazione sperimentale: “Il ministero ha concesso l’autorizzazione e poi ha subito cominciato a mettere dei paletti sulla possibile istallazione anche molto severi. Si sono messi di traverso anche relativamente a questo dispositivo”.
La soluzione? Basta copiare” – E sono solo due esempi delle alternative possibili. Ma “siamo disarmati“, commenta l’ingegnere Drufuca: “Noi non riusciamo a disporre di una strumentazione appena decente per poter far fronte con modi differenti ai problemi del controllo delle velocità. Qualunque cosa che si cerca di fare, anche se apparentemente non in contrasto con niente, è però facile terreno di impugnazione dal primo che passa e decidere di opporsi e la responsabilità ricade su chi ha firmato il provvedimento”. E allora cosa si può fare? Cosa può fare il ministero? “Smettetela di prenderci in giro“, taglia corto Drufuca: “È molto semplice. Andate a prendere in Germania, Olanda, Francia o Svizzera o dove vi pare, le loro norme che già hanno, le copiate e ce le mettete in mano. Qualcuno ha già fatto da tanti anni quello che andava fatto, basta copiare. Non c’è niente altro da fare”.
Se venissero trasferiti in una notte la metodologia dei controlli impiegata in A, D e CH dopo qualche giorno l’80% non ha più la patente!
Nell’ articolo si parla di degrado, purtroppo è così. Bisognerebbe fermare completamente la vendita di alcolici da asporto in tutti i mini market della via e piazzare telecamere su telecamere per l’abbandono rifiuti. E spostare nei CPR chi non è in regola, questo a favore della legalità.
“telecamere su telecamere”, li vai a ritrovare tu poi dopo no? E sai che basta un cappellino o una bandana a fregare il tuo ragionamento? svegliati
Si certo, possono riqualificare tutto quello che vogliono, anche con quelle stupende anse d’ asfalto, che protrudono dai marciapiedi, d’ asfalto anch’ essi…tutto magnifico..però non potranno mai ricreare i MIlanesi, perduti per sempre, insieme alla loro civiltà. Ecco la magnifica società multietnica che si palesa.
Se i Milanesi sono quelli che non si fermano alle strisce pedonali o che bruciano i rossi ai semafori, o che parcheggiano ovunque, noncuranti di anziani, bambini, disabili e cittadini tutti….
Bhé, teneteveli quei “Milanesi” e la loro “civiltà”…
L’intervento in cosa consisterebbe? Nella ridefinizione dei marciapiedi (in parte in pietra ed in parte in asfalto) e nell’inserimento di piante in vaso? Piantumare piccoli alberi come i ligustri a terra è impresa impossibile? La soluzione delle piante in vaso è pessima e soprattutto non crea quelle condizioni di migliore vivibilità e mitigazione delle isole di calore. Con un riordino dei cablaggi e sottoservizi sarebbe possibile prevedere alberature, almeno sui marciapiedi con esposizioni più assolate. I marciapiedi inoltre se ampliati dovrebbero avere barriere (parigine, catenarie, paletti inox o aiuole rialzate) per impedirne l’accessibilità ai veicoli.
E per questi show:
https://t.me/c/1283570605/6063
Via Padova ha un potenziale secondo me, diversi palazzi di valore storico ed estetico, varie fermate di metro rossa ad inizio e della verde a fine via, il comune al centro, diversi supermercati, parco Martesana, trotter e lambro nelle vicinanze. Questo miglioramento dei marciapiedi era necessario per chi ci abita e ha le attività perché erano troppo stretti in molti tratti, certo restano problemi dettati da una porzione che abita la zona, ma un miglioramento è sempre da apprezzare, utopisticamente mi piace pensare che in futuro possa diventare una piccola Buenos Aires con negozi migliori rispetto a molti attuali di bassa qualità ma loto con oiacere che ci sono già degli upgrade anche su questo punto di vista
chiama sì “gentrifucazione” o ancor peggio “Nolo”.
Ieri, festa cittadina di strada in via Arquà: solo italiani bianchi, quasi tutti hipster di bella presenza, via Arquà con botteghe e Studi di design mai visti aperti un singolo giorno: questa gente abita via Padova o sono qui solo perché fa “cool” aver l’appartamentino a Nolo? mai vista una sola faccia in giro, così come ieri non ho visto quasi nessuno straniero… a voi fa riflettere? a me si, è solo moda, e via Padova con queste “”””migliorie”””” è molto più disagiata, inquinata, pericolosa (per bici, moto, monopattini).. L’amministrazione Sala mi ha fatto rimpiangere la Moratti, e ho detto tutto