Milano è stata una capitale dell’Impero Romano e residenza imperiale dal 286 al 402 d.C., eppure questo si percepisce ben poco: 116 anni non sono pochi e si meriterebbero un museo degno che raccolga tutto il materiale archeologico ritrovato in città.
Il Museo c’è, anzi ne esistono due: uno è il Museo Archeologico, in Corso Magenta al 15 e l’altro, sconosciuto ai più, all’Antiquarium di via De Amicis 17 (e del quale avevamo già parlato).
Il Museo Archeologico è collocato in un contesto architettonico straordinario, l’ex-convento del Monastero Maggiore di San Maurizio fondato nell’VIII secolo d.C., dove la storia di Milano antica la si può toccare con mano, grazie alla presenza di due torri di epoca romana: una appartenente alle mura massimianee; l’altra trasformata nella torre campanaria del monastero, faceva parte del carceres del circo, collocato vicino al Palazzo imperiale; ed infine le fondamenta di una villa residenziale del I secolo d.C.
Il museo è l’erede del Museo patrio archeologico (fondato nel 1862) e del più antico Gabinetto numismatico di Brera (fondato quest’ultimo nel 1808). Nel secondo dopoguerra prese corpo il progetto per raccogliere tutti i reperti archeologici di Mediolanum in una nuova sede e venne scelto il chiostro del Monastero Maggiore di corso Magenta, distrutto dai bombardamenti, venne ricostruito in forme nuove da un progetto dell’architetto Egizio Nichelli realizzato tra il 1959 e il 1964.
Così vennero sistemati i reperti di Mediolanum, un po’ nel chiostro d’ingresso, e il resto nelle due stanze al piano terra del nuovo museo. Altri reperti, come i mosaici, vennero sistemati nel piano interrato, dove tra l’altro si trova un tratto di mura collassato e inclinato. Altre stele furono sistemate nel chiostro superstite che si trova lungo la chiesa di San Maurizio. Un giardino risicato permetteva la vista sulla torre poligonale e la torre del circo, oltre ai resti della villa residenziale.
Dobbiamo poi attendere il 2011 per vedere finalmente ingrandito il museo, dove a cura dall’architetto Andrea Bruno lo spazio si amplia con la sistemazione della parte su via Nirone. Tre piani d’esposizione per le raccolte permanenti, altomedioevale (al primo piano), etrusca (al secondo piano) e greca (al terzo piano), oltre ad un piano rialzato destinato alle esposizioni temporanee. Insieme viene aperta al pubblico anche la torre poligonale dove si possono ammirare gli affreschi medievali e la scultura di Domenico Paladino (donata dall’artista) la quale crea un particolare connubio tra moderno e antico con i vari affreschi, raffiguranti santi, risalenti alla fine del XIII-inizi XIV secolo.
Il museo è dotato di una libreria specializzata in testi di archeologia, storia ed antropologia, con vendita di gadgets tematici e con servizio di ricerca bibliografica di testi specializzati.
Dobbiamo dire che il museo è un piccolo gioiellino curato con dedizione da Donatella Caporusso e dal suo staff, ma dobbiamo dire anche che ogni volta rimaniamo alquanto colpiti dal poco spazio a disposizione di questo museo e dal fatto che le opere siano così accatastate le une alle altre da passare (a volte) inosservate.
Quanti sanno che a Milano sono stati ritrovati anche degli affreschi parietali tra i quali anche un grazioso uccellino? Pochi, perché a stento si possono vedere. Oppure quanti non si accorgono che al piano inferiore si possono vedere alcuni tra i più bei mosaici ritrovati a Milano?
Certo, non sono reperti importantissimi, specie se paragonati a quelli che si possono ammirare a Roma, ma per Milano crediamo siano assolutamente fondamentali e che possano aiutare a capire la storia millenaria della città e immaginare come poteva essere Mediolanum. Questo museo insomma, ha raccolto diversi pezzi ma li ha messi tutti in un’unica stanza, facendo risultare il tutto tristemente povero e privo di grande interesse. Se non fosse per alcune ricostruzioni illustrate mirabilmente da Francesco Corni, non riusciremmo proprio a immaginarci questi resti architettonici.
Sarebbe troppo bello se entrando ci fosse un bel plastico di una Mediolanum più rappresentativo, con segnati tutti i luoghi dei vari ritrovamenti. Sarebbe bello avere tutti gli oggetti, i capitelli e le statue sistemate in stanze separate, magari immerse in spazi isolati, dove ricostruire con strutture moderne le proporzioni delle colonne, dei templi eccetera. A volte sembra più un museo per adepti o appassionati e poco “turistico” come oramai la maggior parte dei musei tende a trasformarsi. Poca gente che guarda gli oggetti un po’ superficialmente, a volte senza interessarsi particolarmente o senza capire un granché. Sappiamo che molti oggetti sono collocabili in una posizione solo per ipotesi o congetture, ma ad esempio, se il blocco di cornicione ritrovato dove si trovava il Foro Romano, anziché stare appoggiato ad un muro a rivoltato, fosse sistemato ad un’altezza appropriata, magari con un tratto ricostruito di come poteva essere il colonnato, avremmo la sensazione di quanto importante sia questo pezzo. Onestamente l’esposizione del museo così com’è sembra più una stanza di un collezionista di archeologia e non un museo di una capitale dell’Impero Romano.
Non abbiamo ancora menzionato il giardinetto retrostante che si affaccia su Via Ansperto, uno spazio inutilizzato, dall’aspetto sciatto e abbandonato. Insomma, secondo noi andrebbe completamente rivisto e ammodernato questo museo, per i cittadini interessati e per quelli che non lo sono. Poi, perché non unire i due musei che trattano la Milano antica in modo da rendere visibili in un unico spazio tutti i reperti?
Di seguito l’allestimento dei reperti architettonici raccolti nel chiostro d’ingresso
La prima sala, con le sculture e il plastico. Le pareti che fanno da cornice alle sculture sono in truciolato…
In un’unica sala, tutto il tesoro di Mediolanum. Le altre sculture, gli affreschi, i mosaici e la Diatreta Trivulzia, una coppa diatreta del IV secolo.
Uscendo in giardino ci imbattiamo nello scavo che mette in evidenza quel che rimane della villa romana ritrovata in loco, le steli funerarie raccolte sotto il porticato e le torri medievali in bella vista. Il giardino potrebbe essere sistemato meglio o diventare un’altra ala del museo, invece è un terreno lasciato incolto e inutilizzato.
La Torre Poligonale
Nulla da dire sull’allestimento del reparto dell’alto medioevo nella nuovissima ala del Museo.
Tornando nell’edificio principale c’è la scala che porta al sotterraneo (un po’ invisibile a dire il vero) dove si trovano gli altri mosaici ritrovati a Milano, il muro collegato e alcuni manichini che indossano abiti tipici dell’epoca. In un angolo si trovano anche dei reperti dell’Arte del Gandhara (qualcuno ci spiega perché si trovano qui e non nel Museo delle Culture?)
La parete esterna lungo via Ansperto.
Da cittadino milanese innamorato della propria città mi permetto di dissentire, amichevolmente, da questa valutazione sul Museo Archeologico. Mi semba infatti che dopo l’ultima ristrutturazione l’esposizione del materiale abbia raggiunto un buon grado di fruibilità. Certo si può sempre fare di meglio ma la situazione attuale credo rappresenti comunque un buon traguardo visto che lo spazio a disposizione è quello che è. Concordo invece sulla valutazione di Urbanfile per quanto concerne il giardino, così palesemente sciatto e sotto utilizzato da colpire l’attenzione del visitatore proprio per il contrasto con l’ordine e la pulizia del resto del Museo.
Non sappiamo se Alessandro Magno quando arrivò nel Gandhara si chiese “Cosa ci faccio io qui?’”; di certo non se lo chiesero i tanti Greci che decisero di restarci e che, mescolatisi alla popolazione locale, oltre a mutare loro stessi modificarono la cultura del luogo; incroci di mondi lontani- forse in fondo era anche questa l’ambizione di Alessandro Magno- furono alla base dell’arte del Gandhara, unica perché frutto di una realtà geografica unica, nata dall’incontro di genti diverse che di fatto finirono col fondersi, permeabile ai tanti popoli che la attraversarono, lungo la via della Seta.
Perché al Museo Archeologico? Perché l’arte del Gandhara deve essere considerata una delle tante ramificazioni delle nostre radici, perché ci insegna ad aprire lo sguardo, a capire che mescolarsi con gli altri non significa perdere la propria identità, ma arricchirla. E questo va insegnato a chi viene al Museo Archeologico per cercare i propri antenati. Anche l’arte del Gandhara, per chi non ragioni per rigide categorie, fa parte di noi.
Ecco perché qui, e non al Museo delle Culture,