Calvairate… quanti cittadini di Milano sanno collocarla?
Pochi forse perchè i nomi dei quartieri e delle zone, a meno che non abbiano una forte identità, come Baggio o Quarto Oggiaro, vanno sparendo a Milano. Calvairate per molti è Piazzale Cuoco, Viale Molise, Viale Umbria, Piazzale Martini o Piazza Insubria. Noi cercheremo di mettere un po’ d’ordine e capire storia e problematiche della zona.
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Possiamo iniziare con la storia:
Calvairate dà il nome a questa vasta zona che si trova grossomodo tra Viale Umbria e Piazzale Cuoco. In origine era un piccolissimo borgo formato da poche cascine, poche anime e una piccola chiesa che rimase invariato sino agli anni Venti del Novecento e facente parte dei Corpi Santi di Porta Orientale. Il nome deriva da Mons Calvarius (Monte Calvario), perché dei crociati tornando dalla Terra Santa qui, su un piccolo poggio (leggera altura in una zona acquitrinosa), costruirono una piccola cappelletta dedicata alla Madonna Nascente e al Monte Calvario, forse nel XII o XIII secolo. Nel 1581 San Carlo, allora arcivescovo di Milano, fece ricostruire la chiesetta da Pellegrino Tibaldi, allora architetto preferito dal santo. La facciata sormontata da un grande timpano era preceduta da un piccolo pronao a baldacchino retto da colonnine. Sulla destra si trovava un altissimo campanile. Il borgo di Calvairate fu annesso a Milano poco dopo l’Unità d’Italia, nel 1873.
La mappa di Calvairate attorno al 1920
Sempre nella zona si trovava la Ghiacciaia, la famosa (ora non più) Giazzera de Calvairaa, la più grande di tutta Milano.
Sul Secolo Illustrato della Domenica (supplemento gratuito per gli abbonati al quotidiano di Edoardo Sonzogno) nel suo numero del 23 gennaio 1893 ce ne fornisce due incisioni dal vero e una descrizione scritta in cui si parla di ben 150 persone occupate già da un mese, con una ventina di cavalli, a riempire la ghiacciaia: di finale copertura del ghiaccio con un alto strato di paglia, e di lavori di otturazione delle fessure e ricopertura del tetto a primavera, affidato ai “montagnee”, «non essendo i nostri contadini pratici del lavoro».
L’edificio a grotte si sviluppava per 80 metri di lunghezza, otto di larghezza e 15 di altezza: era proprietà dei conti Annoni, proprietari anche dei terreni attigui irrorati dalle acque della Martesana, garanzia di un’acqua «abbastanza pura» per tutti e di cospicui proventi nelle casse di famiglia. L’operazione della “piena” attirava non pochi curiosi in gita domenicale, annota il cronista, ricordando che nei secoli andati e sino agli ultimi anni del Settecento il ghiaccio, come il sale da cucina, era soggetto a privativa dei duchi e dei governatori della città.
Primo concessionario privato di stoccaggio e rivendita del “giass” sembra sia stato tale Francesco Gandini nel 1796. Gli ospedali erano regolarmente dotati di propri depositi, sistemati nei cortili in costruzioni circolari dall’aspetto di piccoli battisteri. I bombardamenti del 1943 hanno distrutto quelli della Cà Granda in via Festa del Perdono, mentre recenti lavori di scavo hanno in compenso ritrovato un ‘altra e piú vasta ghiacciaia cinquecentesca, circondata da locali di servizio e di deposito vini e alimenti, in un cortilone dell’Università Cattolica, già convento benedettino. Resterà in vista ai termini dei lavori per un nuovo edificio scolastico.
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Con l’espansione della città, il piano Beruto (1884) non aveva considerato questo piccolissimo nucleo di casette e persino la graziosa chiesupola consacrata dal secondo Santo milanese e di origini antichissime venne ritenuta importante. Pertanto l’edificio barocco fu demolito nel 1929, in occasione del trasferimento del macello che dall’attuale piazza Sant’Agostino venne spostato in viale Molise. Nel frattempo si era edificata una chiesa più ampia in via Ennio, nel quartiere nuovo che stava sviluppandosi, oggi intitolata a San Pio V.
Oggi solo una via ricorda la presenza di questo piccolo borgo che si trovava su una strada che da piazza Beccaria, dietro al Duomo, conduceva nelle campagne a sud-est verso Monlué e Ponte Lambro. Al posto del borgo e della chiesa si trova oggi l’enorme piazzale Ferdinando Martini.
Scriveva all’inizio del Novecento Ugo Nebbia (nel 1909 fu assunto come ispettore presso la Soprintendenza ai Monumenti di Milano): ma v’è da queste parti un cantuccio al quale forse qualcuno tra non molto dovrà pensare con un briciolo di rammarico: un vero angolo tranquillo di borgata, dimenticato a pochi passi dalla città, il quale desta un singolare senso di conforto a chi, peregrinando a caso nello sparso rione, vi penetra ad un tratto, quasi impensabilmente. È Calvairate: un frammento di campagna che con un caso un po’ bizzarro ha fatto resistere fino ad oggi alla grande corrente che tutto rinnova, rendendo paurosamente uniformi gli aspetti esteriori della vita. Un cantuccio nel quale si può benissimo avere l’illusione che Milano sia lontana, lontana; mentre basta spiare un momento attraverso le siepi per vedersela dominatrice all’ingiro. Eccoci invece in un piccolo spiazzato silenzioso di una vera chiesuola da villaggio, colla casetta prepositurale accanto, la piccola cappella dell’ossario, che espone dietro una grata quattro teschi tarlati e polverosi, ed una gran pace all’interno, oltre la cortina verde che vela le opere serene della campagna circostante. 1909
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Come abbiamo visto pian piano dall’inizio del 1900 anche questa parte di città cominciò a espandersi e a popolarsi. Come tutto il sud-est di Milano, lo sviluppo è stato molto lento e poco di pregio. Infatti a due passi da Porta Romana si trovano pochi “quartieri d’epoca” e, anzi, una commistione di stili differenti e moderni molto più evidente che in altre zone della città. Forse la vicinanza con lo scalo ferroviario di Porta Romana e di quello di Porta Vittoria non ha aiutato la qualità abitativa della zona che a parte pochi casi è sempre stata popolare o fatta di piccole industrie.
Il piano Beruto disegnò al posto del borgo, delle cascine e delle stradine che seguivano anche un andamento nord-ovest sud-est, una serie di piazze enormi (Martini e Insubria) unite da un grande viale verdeggiante (Via Laura Ciceri Visconti) che fungesse da fulcro del nuovo insediamento. Al bordo est della zona venne costruito il Macello dal 1912, che era stato trasferito dalla troppo centrale piazza Sant’Agostino in questa landa desolata a due passi dalla stazione ferroviaria di Porta Vittoria. Progettato in stile liberty dagli ingegneri comunali Giannino Ferrini e Giovanni Filippini venne portato a termine nel 1924 da Antonio Cecchi. Oggi rimane un’area di 132mila metri quadri abbandonata a sé stessa. Un deserto di rifiuti dei quali la cronaca è chiamata ad occuparsi di tanto in tanto.
Poco prima nel 1911 era stato spostato il mercato ortofrutticolo, dall’antico Verziere (strada che ancora oggi ne porta il nome) a corso XXII Marzo, adiacente allo scalo merci di Porta Vittoria (l’odierno Largo Marinai d’Italia). L’area era occupata dal 1848 da un fortino austriaco, riconquistato dai milanesi dopo le cinque giornate. In generale il mercato vendeva all’ingrosso, ma dal 1959 il sabato fu dedicato alla vendita al dettaglio.
Nel 1965 l’ortomercato fu trasferito nell’attuale sede di via Lombroso, a est di Calvairate. La vecchia struttura di Largo Marinai d’Italia era diventata troppo centrale e causava non pochi problemi al quartiere.
Architetture di pregio nella zona ne troviamo poche, anzitutto la chiesa nuova di Calvairate, in via Ennio, un bell’esempio di incompiuta che però risulta più bella e originale di altre chiese costruite all’epoca. Progettata da Enrico Mariani, docente di Brera e realizzata tra il 1927 e il 1929. Doveva essere più esuberante, compreso un altissimo tiburio mai completato e un campanile.
Di seguito tre mappe che mostrano la zona di Calvairate nel 1884 e nel 2016, nel mezzo le due mappe sovrapposte
Proseguiamo il nostro giro per il quartiere in un articolo successivo.
Complimenti!Articolo molto interessante.