C’è una casa a Milano che sorprende ogni volta che la si visita: si tratta di Casa Boschi di Stefano, a due passi da Corso Buenos Aires e Piazza Lima, nella piccola via Jan 15 in un palazzo magnifico progettato da Piero Portaluppi nei lontani anni Venti del 1900.
Ogni volta sembra di entrare in casa di amici: si sale al secondo piano e si entra nell’appartamento dei Boschi. Marìeda Di Stefano e Antonio Boschi vi accoglieranno a braccia aperte mostrandosi in alcuni ritratti a loro dedicati, e vi lasceranno liberi di ammirare tutte le stanze di casa loro, senza disturbarvi, assistiti eventualmente da personale molto gentile del Touring Club che vi darà le dovute spiegazioni, altrimenti dei facilissimi cartelli vi guideranno a conoscere tutte le opere esposte.
Sì, perché la casa dei coniugi Boschi Di Stefano che hanno vissuto qui per buona parte del 1900, è ricca di quadri che riempiono tutte le pareti, come fossero tappezzeria. Quadri di Mario Sironi, Giorgio de Chirico, Francesco De Rocchi, Lucio Fontana, Roberto Crippa, Renato Guttuso, Giorgio Morandi e Piero Manzoni, per citarne alcuni; quadri stupendi gli uni affiancati agli altri da far invidia a qualsiasi museo nazionale.
Questa meraviglia artistica è nostra, di Milano ed è gratis.
Antonio e Marìeda si conobbero in vacanza in val Sesia, come spesso accade fu passione a prima vista.
Lei era nata a Milano nel 1901 mentre lui a Novara nel 1896.
Lei figlia di un costruttore e appassionata d’arte, lui ingegnere.
La passione per l’arte Marìeda l’aveva ereditata dal padre, Francesco, costruttore edile e grande collezionista di oggetti preziosi e di opere d’arte del Novecento. Il padre era un uomo d’affari e di gusto, che stava costruendo il nuovo quartiere ai lati di Corso Buenos Aires, corso dedicato alla capitale Argentina qualche anno prima durante l’Esposizione Universale del 1906 (originariamente era Corso Loreto).
Francesco Di Stefano realizzò il nuovo quartiere per il ceto imprenditoriale, la nuova borghesia meneghina che non trovava spazio dentro i bastioni occupati ancora dalla vecchia aristocrazia che viveva di rendita di posizione. Condomini di qualità, da mettere sul mercato.
I due si sposarono nel 1927 e andarono a vivere al secondo piano nel palazzo fatto costruire da dal padre di lei su progetto dell’architetto più importante del periodo, Piero Portaluppi, per tutta la sua famiglia: cinque figli, cinque piani. Una casa molto originale con bow-window formate da un innesto diagonale di volumi che ne distinguono ancora l’aspetto.
I due neo sposini avevano le stesse passioni che coltivarono per tutta la vita fino all’ultimo giorno. Fu una vera ossessione, la loro. Collezionarono arte e sino alla fine della loro vita: le opere sono così tante che negli anni le pareti sembrava non bastassero più, quadri ovunque.
Durante la seconda guerra Mondiale, per paura dei bombardamenti, la collezione fu trasferita a Bedizzole, sul lago di Garda, e fu un’impresa titanica. Altrettanto laborioso fu riportarla indietro, riappendere i quadri e fare spazio alle nuove acquisizioni. Oltre duemila opere d’arte stavano stipate in questa casa di via Jan.
Ma alla morte di Marìeda nel 1968, che nel frattempo aveva fondato una scuola di ceramica, sua grande passione, ad Antonio Boschi rimaneva una collezione incompleta, la sua altra metà che nel corso degli anni l’aveva aiutato a scegliere le opere e a viverle, non c’era più.
Certamente fu difficile per Antonio, continuare a sopravvivere senza Marieda. Non avevano figli ma solo gatti (nove) che giravano per casa.
Così la decisione di donare alla città questa meraviglia, questo piccolo scrigno d’arte: abbandonare la propria ossessione e trasformarla in un dono alla città.
Bisognava condividere con gli altri, cittadini e non, questo lungo percorso di due anime gemelle che si incontrarono per caso in val Sesia e non si lasciarono mai più.
Così il Comune di Milano nel 1974 potè inaugurare in pompa magna il Civico Museo di Arte Contemporanea, il nucleo storico e prezioso di quello che oggi si chiama “Museo del ‘900”, finito di allestire nel 2010 da Italo Rota.
Era il 1988 quando anche Antonio morì.
La meraviglia di Casa Boschi di Stefano fu aperta al pubblico il 5 febbraio 2003 per esporre – nei locali abitati in vita dai coniugi Antonio Boschi (1896-1988) e Marieda Di Stefano (1901-1968) – una selezione di circa trecento delle oltre duemila opere della loro collezione, donata al Comune di Milano appunto nel 1974.
La collezione rappresenta una straordinaria testimonianza della storia dell’arte italiana del XX secolo – comprendente pitture, sculture e disegni – dal primo decennio del Novecento alla fine degli anni Sessanta.
Casa Museo Boschi Di Stefano è infatti una delle quattro straordinarie case museo di Milano, luoghi unici, di storie diverse, di una Milano colta che ha fatto del collezionismo d’arte il senso stesso della propria vita. È un esempio di un nuovo museo pubblico nei luoghi e spazi originari di cui le fotografie di Gabriele Basilico e il tenero e appassionato racconto di Mendini permettono la ricostruzione di com’era rispetto all’attuale organizzazione in linee tematiche.
La sua peculiarità è proprio quella di aver mantenuto con la collezione esposta il modo d’essere felici di Antonio Boschi e Marieda Di Stefano, così che entrando si ha la percezione di trovarci in un luogo incantato, in cui il tempo sembra essersi fermato, sospeso in un’atemporalità che ci narra di un luogo in cui il tessuto di vita è stato l’arte stessa, una passione vissuta nel privato e nel personale e poi donata e aperta alla condivisione pubblica.
Fino alla fine di luglio è possibile ammirare anche il piano ammezzato, laboratorio di Marìeda Di Stefano, poi scuola di ceramica, chiusa solo qualche anno fa. Qui è allestita una mostra che comprende – oltre agli oggetti per lavorare la ceramica – anche una mostra fotografica di Italo Zannier curata da Andrea Tomasetig.
La mostra è visitabile fino al 31 luglio 2018, grazie alla collaborazione del Municipio 3, la Fondazione Boschi-Di Stefano e il Touring Club che garantisce l’apertura al pubblico della casa-museo con i propri volontari.
La mostra, inaugurata i primi di giugno, ogni giorno vede un programma di appuntamenti culturali che vanno dalla riflessione alla musica che accompagnano la mostra, proprio perché i Boschi Di Stefano vivevano così la loro casa.
Ma sempre in questi giorni è aperto anche il terzo piano utilizzato sempre dai Boschi come abitazione e oggi in attesa di un futuro, dove attualmente sono esposte altre foto di Italo Zannier.
Infatti il Comune intende cercare uno sponsor o mettere in vendita il terzo piano, che si è liberato da circa tre anni, per fare cassa e possibilmente salvare la collezione ancora in parte custodita nei depositi di Palazzo Reale. Spazio nel piano superiore ce n’é forse non abbastanza per ospitare le tante opere donate dai coniugi Boschi e Di Stefano (2.000 in tutto), ma senza dubbio utile ad ampliare l’attuale esposizione. Ci auguriamo che qualche Azienda o qualche privato illuminato possano contribuire concretamente a valorizzare e continuare a rendere fruibile questo scrigno di bellezza.
Consigliamo anche uno sguardo alla bella via Jan, con edifici variegati che vanno dagli anni Venti agli anni Cinquanta e che danno anche un’idea di come si viveva in quell’epoca vissuta dai Boschi Di Stefano.
Una piccola nota conclusiva: la Casa Museo Boschi Di Stefano meriterebbe una segnalazione più mirata, magari un totem in Piazza Lima che consenta di invogliare tutti a visitare questa meraviglia tutta nostra.
Condivido quanto detto nell’articolo, sia per quanto riguarda la qualità delle opere esposte, importanti e significative, e il luogo, e sia perché varrebbe la pena di segnalarla maggiormente, forse anche con una campagna pubblicitaria. E’ una collezione da sola che vale il viaggio!
Condivido, ma sottolineo l’assurdo comportamento di un Comune che da un lato ci sommerge di progetti di futuri musei, in genere irrealizzabili, e poi vende una sua proprietà dove potrebbe invece realizzare con costi limitati una struttura museale di qualità. E in più lascia migliaia di opere d’arte della donazione in magazzino.
Se non è questa schizofrenia bipolare…
Il Comune purtroppo il vero progetto bello e utile (il Museo di Arte Contemporanea di Liebeskind a Citylife), l’ha cancellato per rifare il tetto del Vigorelli…
La Casa Museo Boschi Di Stefano fa rabbia anche perchè i pezzi migliori son stati spostati al Museo del 900 e avere l’Arte della prima metà del 900 sparpagliata dappertutto (c’è anche Brera con la Collezione Jesi e addirittura qualcosa al Museo dell’800…) non aiuta di sicuro.