Una storia raccontata da Giovanna Ferrante, scrittrice.
E’ milanese di nascita il Marchese Ludovico Acerbi, vissuto fra la seconda metà del 1500 e i primi vent’anni del 1600.
In età adulta importanti incarichi lo porteranno in altre località della Penisola.
Curerà gli interessi della Corona spagnola presso la Santa Sede. Dal Viceré di Napoli verrà nominato Conte di Olivares. In seguito diventerà Reggente della Gran Corte Vicaria costituita da Carlo II d’Angiò, che sarà la I° Magistratura d’Appello di tutte le Corti del regno di Napoli.
Al suo ritorno a Milano sarà nominato Senatore; infine Presidente del Magistrato ordinario e membro del Consiglio Segreto.
E a Milano deciderà di acquistare casa. Visto il personaggio, ricchissimo, ovviamente dovrà essere una residenza quanto più sontuosa. Troverà di suo gradimento il palazzo in Corso di Porta Romana 3, che acquisterà da Pietro Maria Rossi, Conte di San Secondo.
Il fronte su tre piani relativamente sobrio in stile barocchetto lombardo, all’interno – oltre il cancello in ferro battuto – due corti porticate su colonne, quindi l’accesso a vasti corridoi, imponenti saloni di rappresentanza, il salone delle feste con gli affreschi a decorare il soffitto, uno scalone a tre rampe che conduceva all’appartamento padronale.
Tappezzerie di seta, stucchi, specchi, quadri, sculture, arredi di gran pregio.
Ed è qui che ha inizio una storia demoniaca…
Intorno a Palazzo Acerbi una Milano immiserita, straziata dalla peste che aveva portato con sé morte e carestia, infinite processioni di carri che trasportavano cadaveri che sarebbero finiti nel “foppone”,la fossa comune fuori le mura.
Mentre i cittadini morivano, mentre i nobili fuggivano verso la campagna nel tentativo estremo di non farsi aggredire dal morbo, Ludovico Acerbi girava per la città con la sua carrozza nera trainata da sei cavalli neri come la notte, e valletti in livrea verde e oro. Oppure se ne stava nella sua splendida dimora dove conduceva la sua esistenza dissipata, organizzando splendide feste con tavole riccamente imbandite, e squisite vivande e ottimi vini. E ancora, musica e danze sino alle prime luci dell’alba.
I milanesi stremati vedevano le luci dei cento candelabri, sentivano le risate e l’allegria, scorgevano il Marchese insieme ai suoi ospiti affacciarsi alle finestre, tutti eleganti, tutti gioiosi, tutti preservati dalla peste. Fra di loro non c’erano appestati. Come se la sua presenza li rendesse immuni.
Quindi… quindi erano vere le voci… quei sussurri che dicevano che lui (nessuno osava pronunciarne il nome) era il Diavolo!
Alto, di forte corporatura, gran barba, occhi e capelli scuri, portamento protervo, d’ età indefinita come se il trascorre degli anni non avesse potere su di lui.
Nessun dubbio in Milano. Era una creatura infernale, anzi il Principe dei Demoni.
Non più Marchese Ludovico Acerbi, per sempre il Diavolo di Porta Romana!
“Barba quadra et lunga, nè magro nè grasso, nè bianco nè nero.
Comparisce ogni giorno con indosso assai copia di gioie, in carrozza
superbissimo, con staffieri giovani in livrea verde dorata, et sei
cavalli di manto nigro tirano la sua carrozza”.
Altra curiosità su palazzo Acerbi: la palla di cannone delle 5 giornate del 1848 rimasta conficcata nella facciata. La si può intravedere nella prima foto (altezza primo piano, partendo da destra, tra la prima finestra e il balcone)