Milano | Cultura – Dove trovare il diavolo in città

Milano città del Diavolo? Lo sapete che il Diavolo, o chi per esso, nel corso della storia cittadina si è manifestato più volte e in più luoghi o è stato rappresentato spesso? Dove possiamo vederlo?

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Zona Duomo: anzitutto possiamo partire dal monumento principale di Milano – il Duomo.

Infatti, a quanto pare, il Diavolo ha messo lo zampino sull’erezione della nostra amata cattedrale.

Leggenda vuole che il signore di Milano, Gian Galeazzo Visconti, una notte, appena addormentato, sentendo una forte puzza di zolfo e uno strano rumore, come di zoccoli sul pavimento della stanza, si svegliò come spaventato e appena aprì gli occhi si trovò dinanzi il diavolo in persona, il quale lo minacciò di portarsi via la sua anima a meno che non avesse fatto costruire una delle cattedrali più grandi al Mondo e che fosse piena di simboli del signore del male.

La richiesta sembrò piuttosto bizzarra, ma di fronte all’alternativa il Visconti non poté avere altra scelta. Pochi giorni dopo la visione, Gian Galeazzo prese accordi con l’arcivescovo Antonio da Saluzzo per iniziare la costruzione di una nuova cattedrale che prendesse il posto della vecchia Santa Maria Maggiore (leggi di più) , al centro della città, dedicandola a Maria Nascente. Così Gian Galeazzo si accordò con gli architetti, che iniziarono la costruzione del Duomo nel 1386, per poi collocarvi diverse sculture che rappresentassero il male, il demonio.

Così gli architetti iniziarono a posizionare nella parte alta del tetto i primi mostri, oggi sono circa 96 tra gargoyle, demoni zoomorfi  e alati, i doccioni sporgenti dalle sembianze demoniache, sorretti a volte da altrettante figure demoniache o bizzarre. Il povero signore di Milano però, non riuscì a vedere la sua cattedrale completata, in quanto morì poco dopo aver dato il via ai lavori, nel 1402.

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Zona Sant’Ambrogio: la Colonna del Diavolo.

Forse la traccia più antica del Diavolo a Milano la possiamo trovare alla sinistra della Basilica di Sant’Ambrogio; si tratta di una colonna di epoca romana chiamata popolarmente “Colonna del Diavolo”.

Questa colonna, molto deteriorata dai secoli, è in marmo con capitello corinzio e si ritiene, secondo alcune fonti, che sia appartenuta ad un probabile ambiente del vicino Palazzo Imperiale, costruito da Massimiano alla fine del III secolo.

E’ caratterizzata dalla presenza di due fori che, secondo la leggenda, si sarebbero creati in seguito ad una testata tirata dal Diavolo.

Infatti si narra che una mattina il nostro Santo patrono, Sant’Ambrogio, camminando nel cortile della basilica si trovò dinanzi Satana. Dopo una lunga chiacchierata, durante la quale il Diavolo cercò di convertire il Santo e di convincerlo a rinunciare al suo voto, Sant’Ambrogio, stanco dei suoi continui tentativi, per cacciarlo gli tirò un calcio che fece cadere bruscamente il maligno, il quale andò a sbattere contro la colonna di testa, conficcandovi le sue corna e così lasciandovi i due fori. Il diavolo si incastrò nella colonna e ci rimase sino al giorno seguente, per poi svanire attraverso i buchi da lui creati, aprendo così una porta verso l’inferno.

Da quel giorno si dice che accostandosi in prossimità dei due fori si riesca a percepire l’odore di zolfo e a sentire i rumori del ribollire dello Stige, il fiume infernale.

Tornando dalle parti del Duomo troviamo anche la dimora del Diavolo.

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Zona Missori-Pantano: il seicentesco Palazzo Acerbi, in Corso di Porta Romana 3.

A dire il vero, il palazzo ha ben poco di demoniaco, a parte i mascheroni a decoro del portale; però leggenda vuole che nel palazzo, durante la peste, visse e si divertì il diavolo in persona.

Il palazzo in questione è Palazzo Acerbi in Corso di Porta Romana 3, a due passi dal Duomo di Milano. Si racconta, infatti, che il palazzo fu per un tempo la dimora del Diavolo e ancora oggi queste voci si ricordano, anche a causa del volto con fisionomia demoniaca posto sopra il portone principale.

Il primo proprietario di Palazzo Acerbi fu, nel 1577, Pietro Maria Rossiconte di San Secondo, fino a quando, nei primi anni del Seicento, vi subentrò il marchese Ludovico Acerbi che, acquistatolo, lo fece restaurare in stile barocco lombardo, visibile ancora oggi. Il marchese Acerbi, da cui il palazzo prende il nome, abitò qui proprio durante gli anni in cui la peste colpì Milano causando moltissime vittime. Ma nessuna tra gli abitanti dello stabile che, anzi, festeggiavano noncuranti con feste e passeggiate in carrozza.

Proprio questo fece nascere la diceria che in corso di Porta Romana 3 fosse di casa il Diavolo. Chi passava per Milano, la notte vedeva per le strade i malati e il degrado, mentre dalle finestre del palazzo sfavillavano le luci e risuonava la musica. E fu proprio alla fine della peste che tutti si resero conto che gli unici rimasti totalmente immuni da quel flagello erano proprio gli abitanti di Palazzo Acerbi. Questo stesso palazzo, uscito intoccato dalla peste manzoniana, resistette poi a una bombarda austriaca che lo colpì in pieno nel 1848 e di cui porta ancora i segni: all’esterno è infatti visibile una palla di cannone infissa nella facciata. E così possiamo dire che la storia s’intrecciò alla leggenda.

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Zona Porta Ticinese: a Milano c’è anche una Madonna diabolica. Proprio così, con tanto di corna in testa.

All’interno della Basilica di Sant’Eustorgio, a Porta Ticinese, si può ammirare la bellissima Cappella Portinari, riccamente affrescata da Vincenzo Foppa e voluta dal banchiere fiorentino Pigello Portinari (1421-1468). Al suo interno, sulla parete sud a destra della bifora, uno strano affresco rappresenta una Madonna con le corna. L’affresco del Foppa potrebbe sembrare uno scherzo blasfemo, ma si tratta della rappresentazione di un episodio legato alla vita di San Pietro Martire da Verona.

Secondo la tradizione, mentre celebrava la Messa all’interno di Sant’Eustorgio, San Pietro da Verona si accorse che il demonio era penetrato in un’icona di Maria collocata sopra l’altare. Immediatamente scacciò il demonio, insieme a un mago eretico ritratto sulla destra, reggendo tra le dita un’ostia consacrata. Una volta eseguito il suo esorcismo, però, secondo la leggenda, nel dipinto, alla Madonna rimasero le corna di Lucifero. In realtà Foppa volle documentare l’avversione che all’epoca esisteva in quel luogo per il culto della Vergine. 

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Zona Brera: nella Pinacoteca possiamo ammirare il quadro di Marco d’Oggiono coi Tre Arcangeli.

Il dipinto costituiva la pala d’altare della cappella di San Michele nella distrutta chiesa di Santa Marta, che sorgeva nell’odierna piazza Mentana, per la quale Marco d’Oggiono, discepolo di Leonardo, la realizzò su commissione di Giovanni Paolo Visconti.

L’iconografia insolita del dipinto sembra fu ispirata dalle monache agostiniane, che allora abitavano l’annesso convento, seguaci della dottrina amadeita. Il soggetto rappresentato sarebbe infatti tratto dall’Apocalyps Nova del beato Amedeo Mendes de Silva, fondatore di tale corrente riformatrice. Secondo questo testo, l’episodio della cacciata di Lucifero da parte di San Michele arcangelo a capo delle schiere angeliche sarebbe da leggersi come una metafora della riforma della Chiesa in atto in quegli anni.

A seguito della demolizione della chiesa avvenuta nel 1806 durante la dominazione napoleonica, il dipinto fu portato a Brera.

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Zona Porta Nuova: San Michele Arcangelo.

A dire il vero, quadri con l’Arcangelo e Lucifero a Milano ce ne sono altri, come nella chiesa di San Francesco di Paola, in Via Manzoni, o sulla facciata della chiesa di Sant’Angelo, dove un altorilievo seicentesco raffigura l’Arcangelo mentre caccia il diavolo negli inferi.

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Zona Duomo: il demone di Giobbe nel Museo del Duomo

Giobbe è un personaggio biblico rappresentato assieme ad un demone. La statua di Giobbe e il diavolo la possiamo ammirare sul lato destro della cattedrale, al quinto contrafforte. Si tratta di una copia rifatta nel dopoguerra per porre rimedio ai guasti bellici del 1943. L’originale lo possiamo trovare nel Museo del Duomo, fortemente rovinato dai segni del conflitto mondiale.

Giobbe rappresenta la contraddizione tra il giusto che soffre senza colpa e il malvagio che invece prospera: egli è la metafora di una ricerca della giustizia che dovrebbe colpire chi fa il male e assolvere e premiare chi fa il bene.

Giobbe viene descritto come un uomo giusto, ricchissimo e felice, che viveva piamente la sua vita onorando Dio. Satana volle convincere Dio che Giobbe si fingeva di essere un praticante fedele e che agisse solo per conservare i suoi beni materiali con il beneplacito divino. Allora Dio permise che Satana mettesse alla prova Giobbe che invece, nonostante i mali che lo travolsero per le prove che Satana gli fece subire, sopportò con rassegnazione la perdita dei suoi beni, dei suoi sette figli e delle tre figlie, oltre alle sofferenze dovute alla malattia che lo colpì. Dio gli spiegò in seguito che non bisogna giudicare l’operato divino dal punto di vista umano. Infine lo ristabilì in tutti i suoi averi raddoppiandoglieli e gli ridiede di nuovo i sette figli e le tre figlie.

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Zona Castello: l’automa Settala

Conservato all’interno del Castello Sforzesco, si trova uno dei tanti “diavoli” della città di Milano. Si tratta dell’automa Settala.

La storia di questo bizzarro oggetto, dalle fattezze diaboliche, va fatta risalire al Seicento, quando nella Stanza delle Meraviglie di palazzo Settala, in contrada Pantano, Manfredo Settala (nato l’8 marzo 1600 e morto il 6 febbraio 1680) si burlava degli ospiti accorsi ad ammirare la grande collezione di oggetti strambi provenienti da tutto il mondo e appartenente, inizialmente, dal padre Ludovico. Tra le meraviglie della raccolta eterogenea di oggetti d’arte, animali imbalsamati e strumenti scientifici, v’era, ad accogliere i visitatori all’ingresso della stanza, una scatola in legno contenente un demone che, muovendosi, terrorizzava coloro che entravano.

Si trattava e si tratta, visto che è ben conservato, di uno splendido e orrifico demonio-automa in legno intagliato, del XVI e XVII secolo, ora nella collezione di Arti Applicate al Castello Sforzesco. Infatti il Settala, oltre ai naturalia e agli artificialia, amava (con gusto barocco) i curiosa, cioè tutto ciò che può incuriosire o stupire in quanto fuori dalla norma. Grazie ad un meccanismo contenuto nella scatola su cui poggiava la scultura, il Diavolo «si mette a sghignazzare, a cacciare la lingua e a sputare in faccia ai presenti, il tutto in mezzo ad un enorme fragore di catene di ferro e di ruote adattissimo per produrre un vero terrore», come riferisce lo scrittore francese Charles De Brosses, che lo vide nel 1739.

La famiglia Settala vantava origini risalenti al V secolo e un feudo, il borgo, appunto, di Settala, a est di Milano, ottenuto almeno dal IX. Traeva lustro da diversi membri, più o meno certi e conosciuti: un vescovo (san Senatore); il prode Passaguado, che si era impegnato nella ricostruzione delle mura dopo la distruzione di Milano a opera del Barbarossa; e poi ancora l’arcivescovo e crociato Enrico, l’eremita Manfredo, il beato LanfrancoGerolamo, penitenziere maggiore della cattedrale. Una nobile schiatta di santi e di eroi. Il più noto, grazie ad Alessandro Manzoni, fu però Ludovico: medico con interessi filosofici, è indicato nei Promessi sposi come uno dei primi a rendersi conto che la “strana malattia” in via di diffusione nel 1630 era purtroppo la peste. Diversi decenni prima, in occasione della pestilenza del 1576, aveva maturato sul campo una grande esperienza, accanto a Carlo Borromeo. Ludovico era illuminato e all’avanguardia rispetto ai colleghi del tempo, e proprio per questo fu accusato dal popolo di voler terrorizzare la città con le sue teorie sui rischi del contagio. Il suo spirito scientifico era comunque limitato da quello dell’epoca: per esempio, credeva nella stregoneria e ne diede prova nel triste caso della domestica Caterina Medici, contro la quale, insieme ad altri dottori, stese una perizia in cui la accusava di stregoneria e malocchio finalizzati a uccidere il senatore Luigi Melzi. Caterina fu naturalmente condannata al rogo e la sentenza eseguita il 4 Marzo 1617. Ludovico morì nel 1633 lasciando diciotto figli, tra i quali appunto Manfredo, il palazzo di famiglia (l’attuale via Pantano 26), una splendida biblioteca e una galleria di opere che costituirono il primo nucleo della raccolta che poi sarebbe stata ampliata dal figlio Manfredo.

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Zona Guastalla: i fauni di via della Guastalla 

Qui, più che del diavolo, si tratta di una figura un po’ meno inquietante, ma altrettanto diabolica, come il fauno: una figura della mitologia romana, una divinità della natura, delle campagne, dei greggi e dei boschi. Il suo aspetto è dalle forme umane, ma con i piedi e con le corna di capra, fatto corrispondere al satiro della mitologia greca.

Se si vuole vedere due fauni di dimensioni ragguardevoli, basta andare in via della Guastalla 15, dove troviamo uno splendido palazzo moderno, il cui ingresso è incorniciato da un portale in pietra molto elaborato del Seicento. Probabilmente si tratta di un antico ninfeo.

Il portale manieristico è decorato con due fauni che reggono un architrave. Accanto a loro troviamo anche Adamo ed Eva mentre si coprono le pudenda con due foglie di fico, così come anche, sotto di essi, due bambini mentre cavalcano strane creature. L’abbondanza viene raffigurata da due angioletti che recano fra le braccia delle cornucopie. Iscrizioni latine alludono al tema dell’acqua.

Zona San Siro: l’AC. Milan e il diavolo rossonero

Innanzitutto va detto che lo stemma del Milan non è stato sempre quello che si trova oggigiorno sulle maglie del club rossonero. Anzi, in realtà, durante l’ultracentenaria storia del club si sono susseguite tantissime rivisitazioni del simbolo. La prima versione era un diavolo rosso alla destra di una stella, che indicava i 10 scudetti vinti dal club rossonero. I milanisti di vecchia data ricorderanno anche un’altra versione, che ha fatto da tramite a quella dei giorni nostri: quella della bandiera di Milano. Al momento, invece, il simbolo del club è un ovale al cui interno vi è inserito un cerchio che contiene i colori della squadra e la bandiera del Comune di Milano, formata da una croce rossa su uno sfondo bianco; nel campo superiore, al di fuori del cerchio ma ancora racchiuso nell’ovale, la scritta ACM, abbreviazione di Associazione Calcio Milan (il nuovo nome della società), e, in quello inferiore, la data 1899, anno di fondazione della squadra da parte di soci investitori italiani e inglesi.

Ma perché il diavolo è il simbolo del Milan? Perché sin dal principio i fondatori hanno voluto che lo stemma rispecchiasse lo spirito della squadra, affidandosi ad un diavolo rosso fuoco, forte e che incute timore e paura negli avversari. Tantissime sono state le versioni del diavolo: dal diavolo con la divisa rossonera, al diavolo con tanto di tridente, al diavolo “Panini”, fino al diavolo alato e al diavolo nello stemma.

Un altro aneddoto risale al fondatore e primo allenatore del Milan, Herbert Kilpin, che giocava a Torino nella “Internazionale di Torino”.  Il 16 aprile 1899 perse una finale contro il Genoa, che diventò per la seconda volta campione d’italia. Kilpin sapeva che si sarebbe trasferito a Milano per lavoro e disse a Pasteur, capitano del Genoa: “Questa sarà l’ultima vittoria del Genoa, presto sarò a Milano e li formerò una squadra di veri “DIAVOLI” che ti darà filo da torcere!“. Quel nome accompagna ancora oggi i calciatori che vestono la maglia rossonera.

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Zona Quarto Cagnino: la Cascina Linterno o ad Infernum.

Attualmente nota come Cascina o Villa Linterno, venne chiamata sino alla fine del Cinquecento con il nome “ad Infernum” e poi “cassina de Infernum” (probabilmente dal longobardo “In-Fern” – “fondo lontano”). In origine fu una grangia del XII secolo che costituì un insediamento rurale di una comunità monastica, giovannita o templare.

Le prime tracce documentate di Linterno si hanno nella “Carta Investiture” del 1154: in questo atto notarile “Infernum” ed il suo territorio hanno come proprietari fondiari i “de Marliano” di legge longobarda. I documenti capitolari concernono la zona che aveva avuto il suo centro principale in Baggio, luogo d’origine della potente famiglia capitaneale di origine longobarda, i “da Baggio”, molto vicini ai “de Marliano”.

Una consolidata tradizione ritiene che Linterno sia stata dimora agreste di Francesco Petrarca dal 1353 al 1361, a partire dall’esplicito riferimento della lettera autografa di Petrarca all’amico Moggio di Parma (20 giugno 1360 o 1369) e proseguendo coi riferimenti al luogo (detto “Infernum” o “Inferno”, posto al quarto miglio dalla città di Milano) contenuti in diversi incunaboli successivi. Non si conoscono altre “Infernum” nel milanese (è nota solo una cascina “Invernum” nel lodigiano, ma a trenta chilometri da Milano): Cascina Linterno si trova nei pressi del borgo di Quarto Cagnino che, come testimonia il nome stesso, era situato a quattro miglia da Milano.

Nei secoli, nella località Infernum/Linterno si è accresciuto un piccolo borgo intorno alla corte chiusa che tuttora costituisce l’omonima cascina. Oggi il borgo è inglobato nel tessuto urbano dell’ovest milanese, cui si connette preservando la sua conformazione – essendo confinante con il pubblico Parco delle Cave (incluso nel più vasto Parco Agricolo Sud Milano) e con i campi di un esteso centro sportivo.

L’espansione urbanistica della periferia della città e il lento degrado (che fu invocato per giustificare l’approvazione di un “recupero urbanistico”) condussero quasi alla perdita dell’antico monumento, che nel 1994 sfiorò la definitiva trasformazione in un residence. La trasformazione fu evitata grazie alla presa di posizione di numerosi intellettuali, in risposta all’appello dei soci fondatori dell’Associazione amici della Cascina Linterno, che da quell’anno opera per il pieno recupero del monumento.

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Zona Solari e Scala: Salaì, il “diavoletto” di Leonardo.

Noto al Vasari, al Lomazzo e ad altri scrittori del Cinquecento, Gian Giacomo Caprotti (Vimercate: 1480) si è dissolto nel nulla per oltre quattro secoli per lasciare spazio ad un inesistente Andrea Salaino, detto anche il Salaì (da “Sala[d]ino” ovvero “diavolo”). Fu Paolo Morigia a dare vita all’equivoco associando gli epiteti Salaì e Salaino, rinvenuti fra le carte di Leonardo, alla figura di Andrea Salimbeni da Salerno, allievo di Cesare da Sesto. Solo agli inizi del Novecento fu ricostruita la vera identità del Salaì, grazie alle ricerche di Gerolamo Calvi e Luca Beltrami, successivamente confermate e aggiornate da altri studiosi.

Figura emblematica, ebbe col maestro un rapporto controverso, come testimonia il suo curioso soprannome, finendo per essere una delle persone a lui più vicine. Come scrisse il Genio in un suo manoscritto conservato a Parigi: “Iacomo venne a stare con meco il dì della Madonna del 1490, d’età d’anni 10”. Il giovane garzone di bottega, giorno dopo giorno, conquistò il bene e la fiducia dell’artista, fino a diventare insostituibile. Infatti ogni spostamento li vide uno accanto all’altro. Seguì Leonardo in tutti i suoi viaggi, da Milano a Venezia, poi a Firenze, quindi di nuovo a Milano e infine a Roma.

Fu anche soggetto prediletto per vari ritratti, sia maschili che femminili

Ancora oggi, però, l’immaginario Andrea Salaino sopravvive nella città di Milano, la quale continua a dedicargli una strada (zona Solari) e ad indicarlo fra i quattro allievi che fan da corona al maestro nel monumento in Piazza della Scala. Quell’Andrea Salaino è in realtà Gian Giacomo Caprotti, nato ad Oreno di Vimercate e trasferitosi a Milano nella bottega di Leonardo a soli dieci anni. “Giov. Giacomo Caprotti, detto Salai: 1480-1524. Con questo nome e queste date, intendo designare per la prima volta, e senza alcuna riserva, l’allievo che trascorse la vita al fianco di Leonardo” scrisse nel 1919 Luca Beltrami, riprendendo e sviluppando una tesi già sostenuta, tre anni prima, da Gerolamo Calvi. Salaì era il terzogenito di Pietro da Oreno e Caterina Scotti.

C’è chi ipotizza fosse, oltre che allievo, anche amante del grande maestro. Venne spesso usato come modello e il suo volto androgino rappresentato, si pensa, anche in soggetti femminili. Ebbe una carriera indipendente nell’ambito dei cosiddetti leonardeschi.

Il 19 gennaio 1524 Caprotti morì: la sua fu una morte violenta, provocata probabilmente da un colpo di schioppo (fonte wikiwand)

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Concludiamo con l’intera città.

Più che diavoli e diavoletti, la città, come ogni altra città, è costellata di diavoli nascosti e di figure che li possano ricordare, come serpenti, mostri e draghi.

Anzitutto il famoso e malefico Drago Tarantasio che viveva nel fantomatico lago Gerundo, sito a sud di Milano, e che venne ucciso dai Visconti. Visconti che lo inserirono nel loro stemma e che ritroviamo in varie parti della città, su portoni e palazzi.

Così come le figure demoniache che troviamo in molti palazzi, specie quelli realizzati all’inizio del 1900.

Secondo alcune leggende ogni anno, il 2 novembre, una bambina, i cui resti si trovano presso l’altare dell’Ossario di San Bernardino alle Ossa, torna a vivere trascinando gli altri scheletri in una danza macabra in onore della festa dei morti. Ma questa è un’altra storia ancora.

Per l'utilizzo delle immagini scrivere a info@dodecaedrourbano.com

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