Milano | Maggiolina – La quattrocentesca Villa Mirabello

Un tempo, luogo di “villeggiatura per soggiorni in campagna” la zona a nord del centro di Milano era disseminata di ville o cascinali quattrocenteschi per fortuna in molti casi ancora presenti, come la Boscaiola (Dergano), la Bicocca (nell’omonimo quartiere) e villa Mirabello alla Maggiolina. Zona che a sua volta prende il nome dalla orami scomparsa Cascina Maggiolina, un’altro antico edificio rurale che sorgeva lungo il fiume Seveso che qui vi scorreva ancora, e che si trovava all’altezza dell’attuale via della Maggiolina.

La Villa Mirabello si trova in un luogo dove, secondo alcuni documenti dei primi anni del 1400, attestano una proprietà, già di Filippo Maria Visconti, acquisita dal nobile Giovanni Mirabello, che darà in seguito il nome alla successiva cascina, che comunque doveva già avere qualche manufatto architettonico ad uso agricolo.

Della Cascina Mirabello se ne trova traccia anche negli atti del 1468 che la riconoscevano come proprietà di tal Pigello Portinari. Il nobile fiorentino caro al principe Sforza, gestore generale delle rendite del ducato milanese e rappresentante della Casa fiorentina dei Medici a Milano, promotore fra l’altro, della costruzione della Cappella Portinari in Sant’Eustorgio.

Verso la fine del ‘400 la villa passa di mano, divenendo proprietà dei nobili Landriani. Antonio Landriani, insignito da Francesco Sforza della carica di sindaco di Milano nel 1456, quindi nominato prefetto dell’’erario ducale da Galeazzo Maria Sforza, in seguito presidente della Zecca di Milano per nomina di Gian Galeazzo Sforza, divenne poi uomo di fiducia e consigliere politico di Lodovico il Moro. Lo stesso Lodovico fu ospite del Landriani a Villa Mirabello il 4 febbraio del 1500.

Pochi anni dopo la villa diventò una delle case dell’’ordine degli Umiliati, di cui Gerolamo Landriani era generale. La famiglia Landriani rimase proprietaria di Villa Mirabello per alcune decine d’’anni, sufficienti a lasciarvi tracce ben visibili ancora oggi sotto forma di stemmi che campeggiano sul camino della sala maggiore e sui soffitti, insieme al motto “sempre el dovere” affrescato sulle pareti della villa accanto a figure di melograni e croci azzurre. Sembra che la villa sia poi passata dai Landriani ai Marino, ricca famiglia di origine genovese il cui membro Tommaso affidò a Galeazzo Alessi nientemeno che la costruzione di palazzo Marino in piazza della Scala.

La storia della villa, negli anni seguenti, è piuttosto confusa, ma si sa che essa divenne poi di proprietà della famiglia Serbelloni e che, a partire dalla metà del 1500, andò incontro a una triste decadenza: l’edificio fu ridotto esclusivamente ad usi agricoli e nel corso dei tre secoli successivi diventò sempre più fatiscente, fino a che Luca Beltrami, nel 1891, lo prese in considerazione rivalutandolo come insigne esempio di arte architettonica lombarda.

Agli inizi del XX sec. la villa versava in uno stato tale di abbandono, ormai insidiata dal terrapieno ferroviario adiacente, che, il conte Gianfranco Suardo di Bergamo valutata la possibilità di un radicale restauro del complesso, secondo un progetto dell’arch. Perrone, aveva invece preso in considerazione la possibilità di una totale demolizione. 
Grazie all’interessamento della Società del Quartiere Industriale Nord Italia, vennero rispolverati i piani di restauro intrapresi dal Perrone, che dal 1906 al 1916, lavora per un rilancio della villa, fino allo scoppio della I Guerra Mondiale.

Al centro del cortile si trova la vasca detta del “mangia bagaj” (mangia bambini). Si tratta di una copia su disegno del Beltrami, fatta alla fine del XIX sec., dell’originale visconteo conservato a Bellinzona, e proveniente dal Castello di Vigevano.

L’aspetto odierno dalla villa, con la sua facciata tardogotica, in mattoni, finestre archiacute con spalle in cotto e intonaco graffito denotano superfetazioni dettate più dall’idea dell’antico e dal gusto dell’epoca del presunto restauro, che da interventi filologici come si userebbe oggi: filosofia per altro ripresa dal successivo restauro che ha visto eliminare il superfluo aggiunto all’inizio del Novecento. Del nucleo originario rimane il solo corpo a L su strada.

Nel primo dopoguerra, si ha l’acquisto della villa da parte dei coniugi Mulatti, per farne dono ai ciechi di guerra, che intendono farne la sede della loro Casa di lavoro e patronato per i ciechi di guerra di Lombardia. Per ospitare le strutture dei ciechi di guerra, negli anni Trenta, i nuovi restauri furono affidati affidati all’arch. Annoni, che riuscì a restituirci, nonostante le ingombranti scelte di “stile”, la villa nel suo aspetto quattrocentesco e sopratutto sanando i mutilamenti, le superfetazioni e l’incuria del tempo.

L’edificio è fiancheggiato da una piccola chiesa dedicata alla “Mater Amabilis” con affresco quattrocentesco raffigurante un santo che innalza la croce.

Il complesso architettonico così modificato, rimane un’isola entro il suo ampio giardino, all’interno del quartiere residenziale, fatto di villette liberty e tagliato già da qualche grande vialone che detta lo sviluppo dell’espansioni settentrionali della nuova città.

L’associazione denominata Casa Ciechi di Guerra di Lombardia Onlus si è trasformata nel maggio 2011 in Fondazione VILLA MIRABELLO Onlus e continua ad essere un punto di riferimento per le problematiche connesse a gravi minorazioni visive, superando la propria primitiva vocazione assistenziale (peraltro ampiamente giustificata dalle necessità del tempo) e inserendosi nel più moderno filone delle attività preventive e di sostegno destinate all’area della disabilità.

Fonte: Fondazione Villa Mirabello, Lombardia Beni Culturali

Per l'utilizzo delle immagini scrivere a info@dodecaedrourbano.com

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