Prima di giungere a questa importante tappa per i musulmani che abitano la città, in realtà, vi sono state lunghe attese, rinunce, compromessi inaccettabili, ma anche un vago ricordo delle deportazioni che, a differenza della più numerosa comunità ebraica, passarono colpevolmente in sordina nel grande libro della Storia d’Europa.
Come il lettore avrà già avuto modo di intuire dai precedenti articoli, anche in questo caso bisognerà partire da lontano, esattamente dal IX secolo, quando un nutrito insieme di eserciti Berberi, proveniente dal Magreb e da quasi un secolo islamizzato, intraprese la conquista della Sicilia, scrivendo un capitolo affascinante quanto non del tutto chiaro della nostra storia. I Musulmani di Sicilia, come li definì saggiamente lo studioso Michele Amari, ebbero un rapporto rispettoso nei confronti delle città conquistate: a differenza dell’uso antico, infatti, non rasero al suolo gli edifici, ma quasi certamente preferirono semplicemente convertirli a nuovo uso. Si spiega così il mancato ritrovamento di architetture databili ai quasi cento anni di emirato in Sicilia e nel contempo la presenza di oltre trecento moschee a Palermo, secondo quanto tramandano Ibn Hawqal e Ibn Idris, molte di esse precedenti templi cristiani o private abitazioni. Le medesime fonti testimoniano anche per Catania una ricca quantità di edifici di culto nella città etnea, alcune forse antiche chiese convertite all’uso islamico. Purtroppo nessuna traccia – documentaria o archeologica – ci ha permesso, né permette tuttora, di identificarne alcuna.
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L’area della Civita, dalle strade irregolari e piccole piazze.
(Tratto da P. Mortier, Catane ou Catania – Ville de Sicile, Amsterdam, post 1575)
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Planimetria di Ittar (1833), particolare della Civita. Al n° 177 corrisponde la chiesa di San Tommaso. |
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Il sito su cui sorgeva la Moschea della Civita su via San Tommaso. (c) GoogleMaps |
La facciata degli edifici che hanno soppiantato l’antica chiesa di San Tommaso, già Moschea del Venerdì. |
Passano i secoli e quella comunità musulmana che Federico II si guardò bene dal mantenere in Sicilia, viene sostituita da nuove generazioni che timidamente fanno capolino verso la fine degli anni ’70, a una decina di anni dalla scomparsa di quello che fu un tempio islamico, e piano alla volta iniziano ad adattarsi a questa “nuova” Catania. Nuove genti del nuovo Magreb – ora Tunisini, Marocchini, Algerini – ma anche da Senegal, Mauritius, Sri Lanka, Pakistan portano con sé un nuovo Islam, una nuova energia religiosa che solo occasionalmente nei secoli passati si sarebbe vista in Sicilia.
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La prima moschea d’Italia, oggi residenza di privati. |
Leggendo un altro articolo, a firma Claudia Campese (A luglio pronta la moschea di Catania. L’imam: «Luogo di scambio e cultura») si toccano altri elementi chiave della lunga attesa per un luogo di culto islamico in città, che sia libero e per tutti. Si parla di integrazione, di parla di burocrazia, si parla anche di lingua.
Prendiamo l’aspetto economico. Realizzare una moschea ha i suoi costi e infatti il primo edificio realizzato a Catania venne finanziato dal governo di Tripoli. Consci che un compromesso del genere avrebbe comportato notevoli rischi come implicazioni politiche non di poco conto, i fedeli iniziarono una lunga “odissea religiosa” – che nulla ha a che vedere con l’Egira che il Profeta compì quasi 1400 anni prima, ma che certamente ha visto notevoli prove di fede dovendosi scontrare con la burocrazia nostrana – tentarono la richiesta di concessione di spazi per la preghiera in città. Alla fine, la corposa comunità, priva di una bandiera politica o di una nazionalità, ha fatto da sé, raccogliendo in quasi vent’anni i fondi necessari, anche grazie ai contributi dei rispettivi familiari in madrepatria, così qualche anno fa acquistarono il vecchio Teatro Nazionale e iniziarono – ancora, in sordina – i lavori per la realizzazione di una grande Moschea, la più grande del Mezzogiorno.
I ruderi del Teatro Nazionale prima del restauro (2010). |
La costruenda Moschea durante i restauri (2012). |
La Moschea dopo l’inaugurazione (2013) |
Il vecchio Teatro, ormai ridottosi alle quattro pareti e coperto da una pietosa tettoia in amianto, ebbe una vita breve, ma intensa e gloriosa: fondato nel 1886 vi recitò Eleonora Duse tre anni più tardi, mentre nel 1899 vi cantò Titta Ruffo, allora esordiente, l’anno in cui il teatro avrebbe chiuso definitivamente i battenti.
Acquistato e restaurato dai fedeli musulmani, sta prendendo forma ogni giorno che passa, trovandosi ad avere due piani dedicati alle funzioni religiose (il secondo è un “matroneo” alla islamica, in modo da concedere anche alle donne la libera partecipazione alle preghiere) e un ampio sottotetto in cui poter organizzare conferenze e lezioni di arabo e italiano nelle aule adiacenti. Il nuovo tetto perde finalmente il tossico amianto per un rivestimento in tegole, tranne per il lato orientale, quello su via Porta di Ferro (angolo piazza Cutelli), dove sorgerà una cupola-lanterna in grado di illuminare il muro della Qibla su cui si aprirà un luminosissimo Mihrab orientato a sud-est, in direzione della Mecca. Al suo fianco probabilmente si innalzerà un piccolo Minareto per il richiamo dei fedeli.
Le lezioni di italiano che si terranno nella nuova struttura, inutile dirlo, saranno finalizzate all’inserimento nella nuova società da parte degli immigrati, mentre l’arabo verrà insegnato per mantenere il ricordo della propria lingua madre, ma sarà possibile anche per gli italiani accedere ai corsi, in un clima di reciproco scambio, di culture e di saperi, come di lingue e di sensazioni.
Il clima di indipendenza dalla geopolitica e di coesione tra i membri della comunità islamica catanese – che ricordiamo contare membri da paesi africani quanto asiatici – e l’apertura nei confronti della città riecheggia quasi quel vecchio clima di ospitalità che i Normanni ebbero modo di conoscere e apprezzare al punto da far proprio nel loro modo di essere in Sicilia. Per una volta la convivenza e la pace tra i popoli fa notizia.
Chissà che non faccia anche scuola.
L'integrazione va bene, ma di reciprocità non se ne parla nemmeno! Le moschee si sono spesso rivelate, in molti paesi occidentali, più che luoghi di culto centrali di indottrinamento jiadista ostile ai valori occidentali, per questo bisogna essere molto diffidenti.
Gentile Anonimo, La invito ad una riflessione importante sulla questione. La jiad che alcuni fanatici travisano non è la "lotta all'Occidente", ma una "lotta interiore", un processo di crescita spirituale che il devoto musulmano è tenuto a seguire per giungere alla realizzazione. Per assurdo, sarebbe come dire che il Dalai Lama è un criminale perché ha in animo il raggiungimento del Nirvana dei Buddhisti. O che i ricercatori genetisti sono terroristi perché lavorano per sconfiggere il Parkinson o l'Alzheimer.
Va inoltre considerata la natura di tale moschea, sorta senza bandiere, a differenza della precedente di via Castromarino, dove – si vocifera – pare che vi fosse l'intenzione di fomentare l'odio verso l'Occidente e che questa fu una delle cause di fallimento della medesima.
Infine la moschea della Civita sarà aperta a tutti. Nella peggiore delle ipotesi gli "occidentali" possono frequentare assiduamente i corsi di Arabo per "spiare" i concittadini musulmani e, imparando la lingua, fare attenzione che non ci siano prediche xenofobe…
Sinceri e Cordiali Saluti
Ciao è possibile ripristinare le immagini a corredo del post?