Milano | Cagnola – Che fine ha fatto la torre di via Petitti

Per Via Carlo Ilarione Petitti, una traversa di viale Certosa a cavallo tra le zone Cagnola e Portello, nel 2011 era stato annunciato l’avvio dei lavori per la costruzione di una torre residenziale di 15 piani.

Il progetto, piuttosto interessante, è dello Studio Capelli Architettura & Associati commissionato nel 2005 per Jacaranda s.r.l.

Dopo l’avvio delle demolizioni (capannoni) e l’inizio di cauterizzazione, il tutto si è bloccato a causa dell’ennesimo fallimento all’inizio della crisi edilizia che ha colpito l’Italia in quel periodo. Da anni gli abitanti della zona ammirano questa striscia di terra che costeggia il Monastero Delle Carmelitane Scalze di Via Marcantonio Colonna. Peccato.

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Ecco come appare la via ancora oggi dal 2012.

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Per l'utilizzo delle immagini scrivere a info@dodecaedrourbano.com

9 commenti su “Milano | Cagnola – Che fine ha fatto la torre di via Petitti”

  1. Speriamo che non lo costruiscano. Un palazzone orrendo e senza senso, considerando la zona e l’altezza degli edifici circostanti. Il fatto che è da 5 anni che non lo tirano su mi conforta parecchio

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  2. Concordo. Credo che comunque la mancata costruzione sia legata, più che alla crisi immobiliare, al fallimento della proprietà, ovvero il gruppo concessionario dei marchi automobilistici Vw, Audi, Skoda, Seat e Bentley che aveva sede proprio lì. E che ha lasciato in eredità alla città un altro orrido manufatto all’angolo tra Renato Serra e Marco Antonio Colonna (lato Accursio).

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  3. Al pronuniciare le parole “torre” e “residenziale” inorridisco…

    Ci vorrebbe l’archistar Fuffas di Crozza per spiegarlo meglio..

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  4. Non c’è niente che spieghi meglio il lavoro in profondità fatto sugli italiani dalle “chiese” ideologiche dell’odio per i grattacieli.

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  5. purtroppo anni di bucolicismo ci hanno fatto credere che qualunque angolo di città sia un borgo medievale da preservare, impedendo a molti di comprendere che in urbanistica il contesto non dovrebbe essere mai preso come un dato, ma come un fine.

    mi spiego: quello che dovrebbe importare in ogni intervento sulla città non è tanto se questo si armonizzi o meno con un contesto, quasi che esso fosse una immutabile verità di fede, quanto se quello che risulterà dall’intervento stesso sia oggettivamente piacevole (e non uso intenzionalmente l’aggettivo “vivibile”, che sarebbe grammaticalmente più appropriato, in quanto anch’esso vittima di anni di abuso e ormai svuotato di senso) e possa costituire un miglioramento o, al meno, un non-peggioramento rispetto alla situazione precedente. In questo caso, messi da parte i gusti e il bias percettivo di ognuno, dove starebbe il peggioramento della zona nella realizzazione dell’edificio prospettato, rispetto a quanto gli preesisteva?

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    • Concordo,ma resta il fatto che so realizza un grattacielo a fianco di case molto più basse.
      Mutare il contesto urbanistico è una cosa giusta, ma lo si fa con un programma integrato di intervento o con un altro piano urbanistico di ampio respiro

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  6. ma questo è il sogno dell’urbanista demiurgo che ha abbagliato quelli che nel novecento si sono autodefiniti urbanisti mentre agivano da architetti “più in grande”. la storia ci insegna invece che il contesto muta a pezzi, e basta un solo elemento per cambiarlo. ma attenzione: il contesto come fine non deve essere inteso come concetto estetico, per cui, anche se il palazzo fosse davvero un grattacielo (e non lo è, ha 15 piani) e le case intorno fossero davvero piccole (e non lo sono, capannoni degradati e sala slot a parte lì ci sono blocchi da 8 piani in su), questo non costituirebbe, e non cosituisce, di per se, un problema.

    Viviamo in una città in cui secoli fa si decise di inserire una montagna di marmo rosa in un mare di coppi rossi, senza piani integrati di intervento e senza urbanisti demiurghi.

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