Milano | San Babila – Una passeggiata tra la Porta Argentea e le Terme Erculee

Eccoci ad un altro capitolo dell’esplorazione della Mediolanum del 300 d.C., quando Milano era capitale dell’Impero romano d’Occidente, dal 286 al 402.

Questa volta, dopo avervi mostrato la ricostruzione sempre “ipotetica” e un po’ di fantasia di Porta Comacina e del tratto di strada con pilone di piazza Mercanti, ora vi portiamo ad esplorare la porta Orientale, o all’epoca Argentea, la porta che conduceva verso Bergamo e Brescia.

Panoramica di Mediolanum nel 300 d.C.

Percorrendo la strada che da Bergomum (l’odierna Bergamo) o da Argentiacum (ora Crescenzago), costeggiando il torrente o fontanile dell’Acqualonga 

si giungeva dove oggi si trova piazza San Babila. Qui a lato, più o meno dove si trova oggi la basilica di San Babila, si trovava un edificio importante, tempio o basilica, costruito fuori le mura.

Un piazzale e un ponte sul Seveso, deviato per fungere da fossato difensivo, ci consentivano di accedere attraverso un portale (qui, nella nostra ipotetica ricostruzione, a due fornici, ma non è detto, visto che non ci sono notizie certe di come fosse fatto il varco cittadino) alla città fortificata di Mediolanum.

Come le altre porte d’accesso, Porta Argentea possedeva due torrioni laterali che sorvegliavano chi entrava e usciva.

La porta venne costruita durante il periodo imperiale e fu eretta lungo il nuovo perimetro di mura, frutto dell’estensione della cinta muraria verso nord est, che venne realizzata dopo il 291 su volere dell’imperatore Massimiano in seguito alla crescita urbanistica e all’elevazione di Mediolanum a capitale dell’Impero romano d’Occidente.

Prima dell’estensione della cinta muraria

esisteva però un’altra Porta Orientale, che si trovava lungo il vecchio tratto di mura, più interno, all’altezza dell’odierne via Agnello e Pattari. Rimase con ogni probabilità per lungo tempo inglobata nella città senza venire demolita, un po’ come succede ancora oggi per le vecchie porte, diventate monumenti storici.

Qui di seguito la nostra ricostruzione.

L’ubicazione della nuova Porta Argentea corrisponderebbe all’incirca all’area dove oggi si trova l’incrocio tra piazza San Babila e corso Vittorio Emanuele II.

Entrando ci saremmo trovati, probabilmente, in una specie di piazzale dove abitazioni semplici con botteghe e taverne si affacciavano fungendo da primo approccio alla grande città. Sicuramente mercanti di ogni genere avranno allestito un baracchino per vendere i propri prodotti.

Con ogni probabilità avremmo trovato anche i “compita” (al singolare “compitum”) altari posti ai crocicchi importanti, dedicati ai Lares Compitales, protettori di chi percorreva le strade.

Edicole e altari, che nelle strade rurali segnalavano e proteggevano i confini fra i campi, all’interno della città segnavano a volte il confine fra i diversi quartieri ed erano il fulcro di cerimonie officiate dai magistri vici, magistrati preposti al decoro ed al controllo urbano.

Da qui la strada proseguiva in direzione del centro città, verso dove si trovava l’area sacra (piazza del Duomo) e il foro (piazza santo Sepolcro), che vedremo in un altro nostro  articolo.

Anche all’interno della città, canali e rogge dovevano trovarsi un po’ ovunque, tant’è che qui, nell’odierna piazza San Carlo venne rinvenuto un arco di ponte di epoca romana, con ogni probabilità consentiva l’attraversamento di un piccolo canale interno.

Mediolanum – I resti dell’arco del ponte romano rinvenuto in piazza San Carlo nel 1961

Tutta quest’abbondanza d’acqua permise anche la costruzione di uno degli edifici pubblici di Mediolanum più grandi e forse maestosi dell’epoca, le Terme Erculee.

Le terme pubbliche erano un luogo fondamentale per la vita della città in età romana, destinate sia a salvaguardare la salute dei cittadini che a costituire un luogo di ritrovo e incontro. La prassi sviluppò nel tempo un vero e proprio “percorso benessere”, che prevedeva passaggi da ambienti caldi (calidaria) a locali freddi (frigidaria), attraverso vani mantenuti a medie temperature (tepidaria). Il funzionamento di tale sistema di ambienti a temperature differenti presupponeva un articolato impianto idrico e di riscaldamento. In età romana imperiale si andò progressivamente definendo l’organizzazione degli spazi degli impianti termali secondo uno schema assiale, che prevedeva che gli ambienti principali si trovassero allineati lungo lo stesso asse.

A Milano la costruzione delle cosiddette terme “Erculee” viene fatta risalire all’iniziativa dell’imperatore Massimiano (250 d.C. – 310 d.C.).

Le strutture dell’impianto, eccezionalmente estese, occupavano un’area di circa 14.500 mq, attualmente delimitata da corso Europa e corso Vittorio Emanuele II, verso piazza San Babila: l’area scelta per il nuovo impianto corrispondeva alla zona nordorientale nei pressi della porta Orientalis e venne inclusa nella città dalla cosiddetta “addizione massimianea”. Il poeta attivo alla corte dell’imperatore Graziano II, Ausonio, parlando dell’allargamento delle mura, ricorda infatti la “regio Herculei celebris sub honore Iavacri” owero “il quartiere che ha per ornamento le famose terme Ercu|ee”: il nome dell’eroe era l’appellativo specifico dell’imperatore Massimiano.

La zona attorno alle terme era ancora non molto urbanizzata nel 300 d.C. e dovevano trovarsi poche case e ancora campi a prato o pascolo e orticelli sebbene inclusi nelle nuove mura di cinta.

Le terme sorsero su un terreno già occupato da un piccolo complesso termale del II Secolo d.C., all’epoca extraurbana.

Ed eccoci giunti alla visita del complesso termale. Un grande portico o propileo (nella piantina l’ambiente numero 1) ci accoglieva e ci invitava ad accedere all’interno delle terme. Da questo portico si accedeva alla palestra (amb. 2), un grande cortile circondato da un colonnato. Qui si svolgevano esercizi fisici, si giocava alla palla o altri tipi di allenamento, oppure ci si intratteneva con gli altri ospiti, magari conversando seduti all’interno delle otto esedre distribuite sui tre lati del porticato.

Per accedere all’interno delle terme vi erano probabilmente due ingressi ben distinti, quelli maschili  quelli femminili ai lati del nucleo centrale evidenziato da una grande abside.

Entrando dal lato sinistro si entrava in un grande ambiente, presumibilmente uno dei due apodyteria, destinato a spogliatoio (amb. 3-4). Avremmo visto e ammirato, probabilmente il pavimento musivo che decorava la stanza.

La decorazione della stanza numero 4 (della 3 non è stato rinvenuto nulla, solo porzioni di fondamenta) è una delle meglio conservate, si trattava di un tessellato geometrico-figurato policromo, inquadrato da una fascia monocroma bianca. Esso è costituito da una composizione ortogonale di figure geometriche a doppia T, verosimilmente interrotta agli angoli da quattro riquadri caratterizzati dai busti delle Stagioni, dei quali si è conservato solo quello con la personificazione della Primavera, oggi conservato in parte all’interno della Pinacoteca Ambrosiana.

Proseguendo il nostro cammino saremmo entrati in altri piccoli ambienti posti a sud (amb. 5-10), riscaldati, con due distinti percorsi che si riunirebbero poi nel calidarium (amb. 12). Lungo il lato occidentale, a Sud del vano 3, si sviluppava il piccolo ambiente 5, absidato, il cui utilizzo è ancora ignoto. Lungo il lato orientale, alcuni ambienti (amb. 7, 9) a Sud dell’apodyterium 4, conservavano ancora al momento del rinvenimento la decorazione pavimentale. Il calidarium 12 era biabsidato a Est e a Ovest e comunicava con un ulteriore ambiente posto a Sud (amb. 11) o, forse, una terza esedra. Uno stretto corridoio a Nord (amb. 13) fungeva da collegamento con il tepidarium (amb. 14-15), dove, una serie di vani quadrangolari di piccole dimensioni, riscaldati, uno dei quali (amb. 14) si sono conservate tracce della decorazione pavimentale in tessellato. Dal tepidarium (amb. 14-15) si passava al frigidarium (amb. 16), l’ambiente più ampio, di forma rettangolare con pavimentazione in lastricato, caratterizzato dalla presenza sul lato Nord di un’ampia esedra con funzione di vasca, pavimentata anch’essa in lastre marmoree.

Ornavano gli ambienti anche sculture in marmo, come il torso di Ercole rinvenuto negli scavi di un palazzo nell’Ottocneto, statua reimpiegata come semplice materiale edile in epoca alto medievale.

Venuto casualmente alla luce nel 1827 nell’area delle grandiose terme Erculee, il maestoso torso è quanto rimane di una statua colossale in marmo raffigurante Eracle in riposo, appoggiato alla clava, dopo la conquista dei pomi delle Esperidi. La scultura, che deriva lo schema iconografico da un celebre bronzo dell’artista greco Lisippo (seconda metà del IV secolo a.C.), è un prodotto di notevole qualità, realizzato in più parti separate, poi assemblate mediante perni. Probabilmente scolpita in Asia Minore all’inizio del II secolo d.C., la statua è stata successivamente importata a Milano per arricchire, insieme a numerose altre sculture e preziosi marmi, la sfarzosa decorazione del complesso delle terme Erculee, che l’ imperatore voleva degno della nuova residenza imperiale. La foglia copri pudicizie, è un’aggiunta ottocentesca. Oggi il torso è conservato nel Museo Archeologico di Milano.

Il complesso termale venne danneggiato irrimediabilmente da un incendio e

fu probabilmente abbandonato nel V Secolo d.C. Con ogni probabilità i ruderi rimasero a lungo circondati da pascoli, da qui il nome della zona, Pasquirolo.

Il complesso divenne, come tutti i monumenti milanesi, una gigantesca cava di materiale edile: colonne e marmi furono ridimensionati , come nel caso della statua di Ercole, e riutilizzati per diventare pietre per le fondamenta dei palazzi di epoca successiva.

Delle terme si perse ogni traccia, tanto che nel tempo anche le nuove strutture e i nuovi vicoli che vennero realizzati successivamente non seguirono alcuna traccia dell’edificio, cancellando o quasi l’esistenza delle terme.

Sopra il Frigidarium sorse in epoca medievale la chiesa di San Vito al Pasquirolo, ricostruita successivamente nel 1621, quella che ancora possiamo ammirare al centro della brutta piazza di Largo Corsia dei Servi, creata negli anni Cinquanta per rimodernare la città distrutta dalla Seconda Guerra Mondiale.

Abbiamo provato a fare un rendering delle terme in distruzione, quando la zona era diventata un pascolo.

Cosa si è preservato dell’antico complesso? Durante gli scavi per la creazione dei nuovi palazzi di Corso Vittorio Emanuele e Corso Europa, vennero alla luce, a meno 3,50 metri dall’attuale piano stradale, i muri di fondazione di alcune parti dell’edificio termale, sopratutto l’ambiente identificato come Frigidarium. Si trattava di un’aula a piata rettangolare con abside in corrispondenza del lato lungo a Nord.

1960 Ritrovamento della pavimentazione di una stanza delle Terme Erculee nel sottosuolo di Corso Europa a due passi da San Babila

Era dotato di una piscina semicircolare nell’abside (lungo 20 m e profondo 12 m), pavimentata originariamente da lastre marmoree come si può dedurre dalle impronte nel piano di cocciopesto con i frammenti di marmo che ne regolavano la messa in posa. La sala era anch’essa dotata di un pavimento a lastre di marmo delle quali si conservano alcuni frammenti in marmo fior di pesco, con tracce di bruciatura. Tre tessere musive dorate scoperte sul piano suggeriscono una ricca decorazione della volta.

Nelle strutture si distinguono le parti dell’elevato da quelle delle fondazioni. L’alzato è formato da un paramento in mattoni che poggiano su una prima fila di pietre squadrate e da un nucleo composto da malta mista a mattoni spezzati, pietre e ciottoli.

Le fondazioni hanno spessore maggiore e sono costituite da ciottoli legati da malta. In un grande blocco di fondazione è visibile — nella parte inferiore – un frammento di anfora capovolta, che potrebbe indicare la presenza di una bonifica del terreno forse relativa a edifici più antichi delle terme. In occasione delle indagini archeologiche è stato più volte accertato che le fondazioni delle terme, come molti edifici milanesi, poggiavano invece su pali di legno.

Altri due tratti delle fondazioni sono conservate nel giardinetto a lato della chiesa di San Vito al Pasquirolo. Tutto venne rimosso per poter costruire il parcheggio sotterraneo, cosa oggi probabilmente impossibile da realizzare.

Il ritrovamento dell’abside del Frigidarium durante gli scavi degli anni Cinquanta dietro la chiesa del Pasquirolo

Altre testimonianze, più preziose, sono state scoperte e preservate in un palazzo prospiciente la chiesa di San Vito, in Corso Europa 11, dove oggi si trovano i resti di parte del tepidarium. L’ambiente era riscaldato tramite un sistema ad ipocausto, che lasciava passare l’aria in un’intercapedine al di sotto del pavimento vero e proprio: in questo caso, oltre ai pilastrini, furono usati dei piani formati da file di mattoni rettangolari sovrapposti che crearono dei veri e propri canali di passaggio per l’aria; il piano d’appoggio era formato da laterizi rettangolari, a loro volta sostenuti da una spessa preparazione che poggiava direttamente sul terreno. Il peso che dovevano reggere sia i pilastrini sia i piani in laterizi era notevole: il pavimento, infatti, era rivestito da lastre in marmo bianco e la sua preparazione in conglomerato molto tenace era spessa circa 40 centimetri. Sotto la parte di pavimento conservato si possono ancora osservare i mattoni e i pilastrini crollati sotto il suo peso. Su una delle pareti del vano sotterraneo, è stato musealizzato un mosaico geometrico a tessere bianche, nere e arancioni con decorazione a grandi “T rovesciate”: si tratta di una parte dello stesso pavimento a cui apparteneva anche il mosaico raffigurante la Primavera (oggi nella Biblioteca Ambrosiana), recuperato in precedenti indagini sotto corso Europa. È stato ipotizzato che in origine il pavimento avesse una decorazione geometrica e che ai quattro angoli fossero disposti i busti con le quattro Stagioni, nella piantina nell’ambiente 4.

Nell’atrio di palazzo Cusini-Figari (già Litta Modignani), Corso Europa 16 sono esposti due mosaici pavimentali, ritrovati sotto l’edificio moderno nel corso degli scavi effettuati dalla Soprintendenza negli anni Ottanta; essi decoravano due ambienti (7 e 9) del settore orientale delle terme “Erculee”: i due frammenti conservati rivelano l’eleganza e l’accuratezza del mosaico originale, caratterizzato da una sobria “quadricromia” (bianco, nero, grigio, rosa). Uno dei due mosaici, a grandi tessere bianche, nere, verdi e rosse, abbelliva il vano 7: nella parte centrale di una composizione geometrica ad ottagoni e quadrati si trova l’angolo di un riquadro, di cui si conserva solo la cornice a nastro a colori sfumati. I motivi riconoscibili negli ottagoni e nei quadrati sono molto vari, sia floreali sia geometrici: tra di essi si trova anche il cosiddetto “nodo di Salomone”.

Altri reperti appartenenti alle terme Erculee, il frammento di Ercole già citato, una colonna tortile realizzata con marmo pregiato. La vasca in granito rosso oggi utilizzata in Duomo come fonte battesimale e un pezzo di Ara d’altare, preservata nel palazzo Cusini-Figari.

Fonte: Immagini di Mediolanum, Civiche Raccolte Archeologiche di Milano; Milano Archeologica, a cura di Anna Maria Fedeli; Milano Romana, Mario Mirabella Roberti-Rusconi Immagini; Tess-Beniculturali; da Wikipedia.

Per l'utilizzo delle immagini scrivere a info@dodecaedrourbano.com

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