Milano | Porta Monforte – Origine del nome della porta: dagli eretici al “risorgimento”

Porta Monforte è quella parte di Milano che si estende dalla “Cerchia dei Navigli” sino all’odierno piazzale Dateo e “incastrata” tra il distretto di Porta Venezia e quello di Porta Vittoria. Nome purtroppo destinato a sparire dopo l’apertura della stazione M4 Tricolore (già sentir dire Monforte o Porta Monforte era raro).

Corso Monforte è il nome dato alla via unificando sotto il toponimo attuale con delibera del 13 settembre 1865 due contrade ben distinte: da piazza San Babila al Naviglio (Visconti di Modrone) era la contrada di San Romano, dal nome della chiesetta presente dietro alla basilica di San Babila, e Borgo di Monforte nel tratto dal naviglio verso i bastioni.

Il distretto è anche impreziosito da nomi che ricordano il Risorgimento italiano (1848-1871). Infatti, oltre a piazza Tricolore, Corso Concordia, piazza Risorgimento, Corso Indipendenza, troviamo anche piazza Fratelli Bandiera, dedicata ad Attilio ed Emilio Bandiera, patrioti italiani e protagonisti del Risorgimento. Ma ancora: Ciro Menotti, altro patriota dello stesso periodo, Goffredo Mameli e i Fratelli Bronzetti, sempre protagonisti dello stesso periodo storico, immortalati nella toponomastica del quartiere.

A proposito della sequenza di nomi strani che troviamo nel rettilineo principale formato da una serie di corsi (a Milano i “corsi” sono le vie principali che in genere -con poche eccezioni- si diramano dal centro verso la periferia) realizzati a partire dalla fine dell’Ottocento, come proseguimento di corso Monforte, subito dopo il vecchio dazio della porta, oggi piazza Tricolore venne aperto e nominato il Corso Concordia. Per l’esattezza al corso venne affidato questo nome astratto nel 1893 collegandolo alla vicina Piazza Risorgimento e al successivo Corso Indipendenza a indicare “che la Concordia dei cittadini rende possibile il Risorgimento che guida all’Indipendenza della Patria“.

Qui di seguito alcune immagini di Corso Indipendenza riqualificato lo scorso anno dopo i cantieri per la realizzazione della M4.

Ma perché Monforte, come mai questo bizzarro nome? Ci sono alcune ipotesi, due di queste ve le raccontiamo qui di seguito.

Una prima ipotesi, meno accreditata perché non vi sono riscontri, fa derivare il nome da una presunta fortificazione non lontana dall’attuale corso Monforte. Mentre una seconda e più plausibile origine del nome va fatta risalire al medioevo, agli eretici e alle condanne al rogo. Una storia abbastanza trucida per un quartiere o distretto oggi decisamente borghese.

Landolfo Seniore, nella sua Historia Mediolanensis, narrò i fatti che si svolsero fuori da Porta Argentea, accaduti pochi anni prima della sua nascita e di cui, quasi certamente, trovò dei testimoni oculari degli eventi ancora vivi.

Il racconto narra degli eventi verificatisi nel 1022 a Orléans, Francia, quando la Chiesa si trovò in conflitto con un gruppo di eretici guidati da due canonici, Stefano e Lisoio. Questi diffusero un pensiero religioso eretico proveniente dal nord Italia, che negava la Trinità, la natura umana di Cristo, l’Immacolata Concezione e rifiutava i sacramenti. La regina Costanza, sorpresa dal cambio di fede del suo confessore Stefano, lo colpì nel volto con lo scettro, causandogli la perdita di un occhio.

Gli eretici, guidati da una donna, respinsero la gerarchia della Chiesa di Roma, non riconobbero papi, cardinali, vescovi e santi. Rifiutarono la possibilità di redimersi dal peccato originale attraverso opere buone e considerarono la vita terrena inutile, cercando unicamente la morte per martirio per ascendere al Paradiso.

Il cavaliere Arefasto, venuto a conoscenza dell’eresia nel suo feudo, avvisò il re di Francia, che fece arrestare i due canonici e i loro seguaci. Solo due abjurarono, mentre gli altri, fedeli al loro credo, furono condannati al rogo. Questo evento rappresentò il primo rogo di eretici dopo secoli.

Sei anni dopo, un’eresia simile emerse a Monforte, probabilmente il borgo nelle Langhe.

Il Vescovo di Milano, Ariberto di Intimiano, vescovo guerriero, che guidava sia le anime che le spade dei milanesi, andò nei primi mesi di quel 1028 in visita al vescovo di Torino, sede suffraganea di Milano sino al 1515.

A colloquio col vescovo di Torino, seppe della presenza di eretici a Monforte. Fece così convocare nei giorni successivi un alto rappresentante religioso della comunità, Gerardo, e lo interrogò sui loro usi e il loro credo. Tanto da convincere Ariberto ad organizzare una Crociata contro gli eretici di Monforte. Dopo un primo arresto, gli eretici furono lasciati liberi, ma iniziarono nuovamente a fare proselitismo. Costringendo nuovamente il Vescovo Ariberto ad arrestare nuovamente tutti gli eretici di Monforte, portandoli a Milano e radunandoli in un spiazzo fuori da Porta Argentea, l’antica porta di epoca romana e che si trovava nell’odierna piazza San Babila.

Qui venne eretta una enorme pira di legno, a cui venne poi dato fuoco; a fianco venne innalzata una grande croce di legno. Gli eretici di Monforte vennero posti in fila e a chi si dirigeva verso la croce, abiurando il loro falso credo e baciando il legno del vero cattolicesimo, veniva risparmiata la vita. Chi ancora negava la fede cattolica, doveva gettarsi da solo nell’enorme massa di fiamme e fumo. La quasi totalità degli eretici di Monforte si recarono, pregando e con le mani sul volto, verso le fiamme, gettandosi in una morte atroce.

Perciò a questo evento, accaduto nel lontano 1028, si fa risalire il toponimo di Monforte a Milano, che ha dato un nome al corso, a un quartiere e alla Pusterla di Monforte, una piccola porta minore che venne aperta nel XII nelle Mura Medievali fatte costruire dal Guintellino. Non esistono immagini di questa porta minore, di cui nemmeno si conosce l’anno esatto di demolizione.

Dopo la costruzione dei Bastioni, non venne aperta nessuna porta nel quartiere del Monforte per diversi secoli; fu infatti solo nell’ottobre del 1888 che Porta Monforte venne aperta lungo l’asse dell’omonimo corso, dando poi sviluppo al nuovo quartiere, anch’esso detto di Porta Monforte, lungo l’asse di corso Plebisciti e Indipendenza.

La nuova porta nei Bastioni era in realtà formata da un varco nelle mura e da due caselli daziari, che vennero però demoliti già nel 1919, ritenuti di scarso o nullo valore. I Bastioni di Porta Vittoria, quelli a sud della porta, erano già stati abbassati e poi demoliti nel 1913, mentre quelli posti a nord, i Bastioni di Porta Monforte, vennero demoliti durante la Grande Guerra.

Come dicevamo all’inizio, la via moderna è formata da vari tracciati storici, unificati sotto il toponimo attuale con delibera del 13 settembre 1865; da San Babila al Naviglio (Visconti di Modrone) era la contrada di San Romano, dal nome della chiesetta accanto a San Babila; sul Naviglio, era il ponte di San Damiano, subito dopo il quale si trovava la chiesa; in seguito, fino ai Bastioni, prendeva il nome di Borgo di Monforte. All’altezza della contrada della Passione (ora Conservatorio), si levava dal 1655 la «croce» di S. Mirocleto, settimo vescovo di Milano, ovvero una colonnna in marmo su cui s’innalzava una statua della Madonna del Rosario. La parte costituente il vecchio Borgo si ornava di maestosi palazzi patrizi del Sei-Settecento e di edifici religiosi ancora più vetusti. Durante la demolizione del palazzo Arnaboldi, che sorgeva all’inizio della via, per ampliare la nuova piazza di San Babila, venne alla luce anche una cripta di epoca romana, identificata come probabile resto di un santuario dedicato al dio Mitra, la divinità solare il cui culto era stato portato dall’Oriente da legionari dell’Impero. Anche in questa strada ora incombe la presenza dell’architettura moderna, che com’è frequente nel centro storico ha snaturato la città senza riuscire a creare un’alternativa di eguale compiutezza e valore architettonico. Al n. 9 si è aggiunto un fabbricato per uffici e abitazioni di Luigi Caccia Dominioni (1965); all’angolo con via Conservatorio, si è inserito un edificio in stile classicheggiante, opera di Pier Giulio Magistretti (1928), mentre sul lato opposto, al n. 32, un palazzo di Alfredo Campanini (1911) offre un esempio di contaminazione tra lo stile Liberty e il barocchetto lombardo: ora è sede dell’Ufficio Tecnico erariale.

Chiesa di San Romano, detta ad Concilium Sanctorum, era un’antica chiesa – costruita probabilmente nel IX sec. – che sorgeva dietro l’abside di San Babila e godette di notevole importanza, tanto da identificare una strada. Il Torre si dilunga a descriverla ma tutto quel che se ne estrae è che nel Seicento veniva usata dai parrocchiani di San Babila perché la loro chiesa era occupata dalle monache benedettine, prima che ne trasferissero il convento in Santa Margherita. Perdute le ricche elemosine dei «sanbabilini», S. Romano perse anche di importanza. Composta da una sola navata, era stata sostanzialmente rifatta nel 1562 dall’architetto Giuseppe Barca, poi «rimodernata» nel 1603, rifatta ancora nel 1729; vi si conservava, oltre alle «Sacre Ossa di S. Petronilla figlia di San Pietro», anche «la fascia adoperata dalla Vergine Madre, per sostenere in braccio il Bambin Gesù, quando haveva ella à far lungo viaggio». Però vi si amministravano anche «notabili aiuti per povere Famiglie» [1674]. Soppressa in epoca giuseppina, fu parzialmente demolita nel 1797; la parte residua fu adattata a uso commerciale dopo il 1810 e vi si allogo una locanda in cui pare che andasse regolarmente a mangiare un giovane Giuseppe Verdi.

Chiesa di San Damiano in Monforte. Sopra il ponte che scavalcava il Naviglio era stata costruita una pusterla che dall’episodio degli eretici piemontesi aveva preso il nome di Monforte; anche la chiesa, che forse li aveva ospitati seguì la stessa identificazione, aggiunta al titolo ufficiale di San Damiano. Dopo la costruzione dei Bastioni spagnoli, la pusterla medievale ormai superflua fu demolita. L’antica chiesa che vi sorgeva accanto resistette qualche secolo in più: soppressa nella seconda metà dell’Ottocento, fu demolita nel 1921. Aveva avuto modificato il titolo quando nel 1485 era passata ai frati armeni di San Basilio, che vi avevano aggiunto il nome di San Cosma. Dopo la soppressione di questi frati, al tempo di Innocenzo X, nel 1657 la chiesa era stata conferita agli agostiniani: questi riformarono la struttura dell’edificio secondo la moda del barocco ma rispettarono la cripta quattrocentesca; secondo il Torre il campanile era stato eretto sopra i ruderi dell’antica Rocca detta di Monteforte che, secondo lui e altri, sarebbe la vera origine del nome. A ogni modo anche gli agostiniani furono estromessi e secolarizzati nel 1810. Nel 1857 toccò ai gesuiti subentrare nel modesto convento annesso: ma poco dopo la chiesa fu sconsacrata e l’intero complesso destinato ad uso profano per pochi decenni ancora.

Casa Cusani. Al n. 16 si nota la composta facciata neoclassica dell’ex palazzo Cusani, con un lungo balcone a segnarne il piano nobile; all’interno un mirabile cortile cinto da portici.

Palazzo Somaglia. Al n. 21, portò anche il nome dei Cicogna. Lo scenografo Alessandro Sanquirico ne decoro la facciata in stile gotico, con un bell’ effetto teatrale.

San Pietro in Monforte, ora Palazzo della Prefettura o Diotti. Circa a metà del Borgo (attuale n.31) si trovava questa chiesa arretrata rispetto alla strada. Era un priorato degli Umiliati, ma dopo la loro soppressione era passata in commenda agli scolari di San Biagio, trasferiti qui per la demolizione della chiesa di San Primo al tempo della costruzione del Collegio Elvetico; finendo nel 1616 alla congregazione dei padri somaschi, che allargarono la loro sede anche agli edifici annessi con un «assai comodo Monistero». La chiesa angusta, a navata unica di forme semplici, fu sacrificata dalla costruzione del collegio annesso, che riutilizzò probabilmente la vicina casa del conte Pirro Borromeo: un ambizioso progetto che però i padri somaschi non portarono a compimento, a seguito del trasferimento nel monastero di San Gerolamo a Porta Vercellina (via Carducci). La proprietà di questo complesso passò nel 1782 all’avv. Giovan Battista Diotti, che dilettandosi di architettura completò e unificò la struttura per farne un’aristocratica abitazione, disegnando un vasto cortile quadrato, con colonne doriche binate e col cornicione sostenuto da belle cariatidi di stile piermariniano e valorizzando un grande giardino ricco di piante ornamentali. Alcune sale furono anche decorate da affreschi di Andrea Appiani, che aveva casa al n. 36, e dagli stucchi di Clemente Isacchi. L’imponente palazzo fu venduto nel 1803 all’amministrazione statale, e vi si installarono vari uffici civili: Eugenio di Beau-harnais vi pose i Ministeri degli Interni e della Giustizia; gli austriaci ne fecero poi la sede del Governo di Lombardia. Nel 1817 l’architetto Pietro Gilardoni rimise a nuovo la tacciata aggiungendo anche una loggia esterna, sostenuta da colonne greche scanalate, chiusa d’inverno con invetriate. Ma con la proclamazione del Regno d’Italia, il palazzo passò alla Provincia di Milano, e finalmente diventò sede della Prefettura, che vi è rimasta nonostante le movimentate vicende storiche dell’ultimo secolo.

Palazzo Isimbardi, al n. 35, appartenne agli Isimbardi dal 1775 fino al 1908, ma dal 1935 è sede dell’Amministrazione Provinciale di Milano. Il suo nucleo risale alla fine del Quattrocento, ma i numerosi passaggi di proprietà, con una serie di ampliamenti e tra-sformazioni, hanno portato alla perdita definitiva delle antiche caratteristiche architettoniche; soltanto il cortile ha conservato un elegante portico cinquecentesco, con pavimento in cotto e riquadri marmorei. Conserva anche una lunga facciata settecentesca con cornici a stucco che legano le finestre del piano terreno. All’interno l’edificio appartiene al tardo periodo barocco, con inframmettenze di quello neoclassico. Nella sala della Giunta, al primo piano, nel 1954 è stato collocato nella volta un grande dipinto del Tiepolo che raffigura il Trionfo del doge Francesco Morosini (c. 1755), proveniente dal palazzo Morosini di campo S. Stefano a Venezia, e recuperato dopo essere finito in Ungheria e poi nel palazzo Rothschild di Parigi. La facciata del palazzo che guarda sul giardino è stata riformata nel 1826 da Giacomo Tazzini in stile neoclassico, con un corpo centrale sporgente. All’angolo con via Vivaio si apre l’ampliamento moderno su progetto di Giovanni Muzio (1940), articolato in due corpi separati da una torre in cui è inserito lo scalone e contraddistinti da rivestimenti diversificati in marmo e klinker; le sculture sulla facciata sono di Ivo Soli.

Chiesetta della Beata Vergine di Monforte, o della Madonna di Caravaggio. Si trovava proprio al termine dello stradone, a ridosso dei Bastioni e fu costruita dopo l’innalzamento di questa difesa: vi si accedeva «per grandiosa e rudimentale scalinata». Vi era annesso un convento in cui nel 1702 si insediarono i monaci detti Trinitari Scalzi, emanazione dei Trinitari fondati nel 1198 da Giovanni da Matha per favorire la liberazione dei crociati prigionieri degli musulmani. Chiesa e convento furono demoliti nel 1817. Un affresco con la Madonna di Caravaggio attribuito al Bramantino, che si trovava nel santuario, fu staccato e trasferito nella vicina S. Maria della Passione.

Referenze immagini: Milano Sparita, Roberto Arsuffi, Google

Fonti: testo Francesco Liuzzi, “Le Strade di Milano” Newton Peridici 1991, “Le Città nella Storia d’Italia” – Milano, Edizini la Terza 1982,

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Per l'utilizzo delle immagini scrivere a info@dodecaedrourbano.com

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