Milano | Centro Storico – Come hanno distrutto il quartiere del Pasquirolo

Milano, Centro Storico. Milano, la città del futuro, la città all’avanguardia, la città moderna e la città dei “dané”, dei soldi ma anche della speculazione edilizia, questi potevano essere gli obiettivi che spinsero le amministrazioni comunali della fine dell’Ottocento e del primo Novecento a voler cambiare l’aspetto di questa grossa e sonnacchiosa città della Pianura Padana, che si apprestava a diventare la locomotiva d’Italia.

Già nell’Ottocento si iniziò a sventrare e rivoluzionare intere zone in vista del nuovo secolo, come piazza del Duomo e piazza della Scala, il Cordusio e il Castello. Si iniziarono a costruire anche interi quartieri oltre le mura spagnole: fino all’inizio dell’Ottocento, Milano era concentrata per la maggior parte all’interno della cerchia dei bastioni e poco oltre, con piccoli borghi e frazioni sparse nell’area denominata Corpi Santi. Poi, nel 1923, nacque la grande Milano, che inglobò i paesi di prima fascia che costellavano il vecchio comune dando nuovo impulso alla crescita.

Tutto questo fermento doveva necessariamente portare a sviluppi e obiettivi internazionali anche nell’area centrale, soffocata da una griglia urbanistica ancora di impronta medievale. Vicoli, vie strette, palazzi obsoleti dalle stanze piccole, abitazioni per artigiani e bottegai che persistevano ancora ai piedi della cattedrale. L’area a nord del Duomo, con la costruzione della Galleria Vittorio Emanuele dopo la metà dell’Ottocento, aveva avviato un rinnovamento significativo, così come l’area attorno al Cordusio fino al Castello portati a termine alla fine del XIX secolo. A sud del Duomo vi era ancora per poco il Bottonuto e verso oriente il Verziere, quartieri popolari che mal si adattavano al nuovo volto di Milano.

La parte a nord e a ovest del Duomo venne realizzata tra la fine dell’Ottocento e il primissimo Novecento, in un periodo in cui lo stile eclettico conferiva alle nuove costruzioni un sapore “antico” che ancora oggi possiamo ammirare e apprezzare, oltre che nella Galleria, anche in via Dante e nel Foro Bonaparte.

Storia diversa ebbero il Bottonuto, il Verziere e il Pasquirolo, che videro le demolizioni a partire dai primi anni Venti e Trenta, protrattesi fino alla ricostruzione postbellica degli anni Cinquanta del Novecento.

Tuttavia l’architettura che prese forma in quegli anni, tranne rare eccezioni, non riuscì a ridare un’anima ai quartieri, lasciandoci in eredità angoli asettici e poco apprezzati ancora oggi.

Il Pasquirolo era un quartiere antico situato tra Corso Vittorio Emanuele, piazza Fontana, piazza San Babila e il Verziere. Il fulcro era la chiesetta di San Vito al Pasquirolo, ancora presente ma oggi spaesata nel centro di largo Corsia dei Servi, più un grande cortile con parcheggio interrato che una piazza vivibile, nonostante i recenti sforzi per animarla con ristoranti e il rinnovo del 2017 (foto a termine dell’articolo).

Largo Corsia dei Servi prende il nome dalla denominazione data all’antico Corso Vittorio Emanuele, a sua volta intitolato a Santa Maria dei Servi, chiesa medievale demolita nel 1847 per far spazio alla nuova Chiesa di San Carlo al Corso.

L’area a oriente del Duomo era nota come il Pasquirolo, dal termine milanese “pasquee”, ovvero pascolo. Nell’alto Medioevo, infatti, vi era ancora un’ampia area prativa con le rovine delle Terme Erculee, uno dei più imponenti palazzi imperiali romani, di cui oggi restano piccoli tratti di mura, frammenti di mosaico e un torso di statua, forse una copia dell’Ercole Farnese (alcuni rimasti in loco e altri conservati nei musei).

Al centro del quartiere, sorto sulle macerie delle Terme Erculee, si trova la chiesetta di San Vito al Pasquirolo. Costruita sui resti del frigidarium delle terme romane, risale originariamente al XII secolo e dal XIV secolo fu chiesa parrocchiale. Nel corso dei secoli l’edificio si deteriorò e, su impulso del Cardinale Federico Borromeo, fu ristrutturato in stile barocco nel 1621 dall’architetto Gian Pietro Orobono. Il portale, progettato dal pittore Bartolomeo della Rovere, detto il Genovesino, fu realizzato nel 1626. Oggi la chiesa, affidata alla comunità russo-ortodossa, è nota anche come Parrocchia di Sant’Ambrogio Mediolansky.

Il Pasquirolo era un dedalo di vicoli sorti alla rinfusa, che seguivano percorsi antichi. Qui partiva anche l’antica strada per Paullo, che attraversava la scomparsa via San Zeno e l’antica Porta Tosa, proseguendo poi lungo le odierne via Cavallotti, via Cesare Battisti, via Fontana e via Anfossi si perdeva verso Sud-Est per diventare oggi la Paullese.

Nel quartiere si trovavano il Palazzo del Capitano e alcune piccole chiese oltre a San Vito, come Santa Maria in Passerella, San Martino Oratorio de Calzolari, Santa Maria Immacolata in Campo Santo e la chiesa di San Zenone, tutte sconsacrate a partire dalla fine del Settecento e demolite nei decenni successivi. Ad ogni modo tutto rimase pressoché immutato fino a quando si decise di modernizzare la città, rendendola più “monumentale”.

Negli anni Venti e Trenta si iniziò a progettare una nuova città moderna. Piero Portaluppi e Marco Semenza vinsero nel 1926 il concorso per il Piano Regolatore di Milano con il progetto “Ciò per amor” (anagramma dei loro nomi). Il piano prevedeva un’ampia piazza tra l’Arcivescovado e il Palazzo del Tribunale (l’odierno Palazzo del Capitano, sede dei Vigili Urbani), con nuove strade per smistare il traffico crescente e la chiusura progressiva dei canali dei navigli. Il Piano Regolatore di Albertini del 1934 introdusse la cosiddetta “Racchetta“, un’arteria di grande scorrimento che avrebbe attraversato il centro storico. Alla fine, furono realizzate solo alcune delle strade previste, mentre molte demolizioni furono lasciate incomplete.

La Seconda Guerra Mondiale interruppe i lavori, ma nel Dopoguerra, tra il 1960 e il 1961, il progetto della Racchetta fu ripreso, per fortuna solo in parte. Il quartiere del Pasquirolo, pesantemente bombardato nel 1943-44, non fu ristrutturato, bensì completamente raso al suolo, uno scempio simile a quello del Bottonuto, creando in questo caso il nuovo Corso Europa e Largo Corsia dei Servi.

Vennero salvati solo pochi edifici: Palazzo Litta Cusini Modignani, l’edificio settecentesco di palazzo Pizzini, il Palazzo del Capitano e la chiesa di San Vito al Pasquirolo, oggi isolata in un contesto che non le appartiene.

Per compensare la perdita del vecchio Pasquirolo, la ricostruzione fu affidata a grandi architetti come Gio Ponti, Luigi Mattioni, lo studio BBPR, Luigi Caccia Dominioni e Vico Magistretti. Tuttavia, nonostante il valore di alcune architetture, il quartiere rimane asettico e impersonale.

Oggi il nome Pasquirolo sopravvive solo nei ricordi di chi frequentava l’omonimo cinema, situato in corso Vittorio Emanuele 28 e chiuso definitivamente nel 2006. Al suo posto, oggi, vi sono negozi internazionali.

Della piazzetta, dei vicoli e delle graziose strade non v’è rimasto che il ricordo nelle vecchie foto dell’epoca, che dovrebbero ricordarci che non sempre bisogna distruggere per essere “moderni”, ma anche saper conservare.

Vi consigliamo anche la visione di questo video che ricostruisce la storia della Racchetta.

  • Referenze immagini: Roberto Arsuffi; Googlemap; per le foto d’epoca sono immagini diffuse in rete.
  • Fonte: “Le Strade di Milano”, Newton Peridici 1991; “Le Città nella Storia d’Italia” – Milano, Edizini la Terza 1982; Lombardia Beni Culturali; StoriadiMilano .it; Skyscrapercity Milano Sparita
  • Milano Sparita, Pasquirolo, Corso Vittortio Emanuele, Corso Europa, via San Zeno, San Vito al Pasquirolo, Racchetta, Verziere, San Babila,
Per l'utilizzo delle immagini scrivere a info@dodecaedrourbano.com

11 commenti su “Milano | Centro Storico – Come hanno distrutto il quartiere del Pasquirolo”

  1. In che senso Milano a fine Ottocento sarebbe stata “sonnacchiosa”?!? E l’ illuminismo, il Verri, Beccaria? Cattaneo, Manzoni, Verdi, gli Scapigliati? E mi fermo qui. Milano era un centro culturale vivissimo, altro che (vedi Stendhal). Mi stupite davvero, fare ammenda immediatamente!

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    • Tutti quelli che citi a fine ottocento erano morti e sepolti (in un caso da un secolo). E’ vero c’era Verdi, che però ha composto gran parte delle sue opere ben prima.

      In realtà è vero che Milano a fine ottocento non era una cittadina sonnacchiosa, ma è altrove che vanno cercate le forze vitali: quelle che Bava Beccaris nel 1898 pensò bene di prendere a cannonate.

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  2. Che scempio senza senso. La speculazione edilizia ha fatto più danni delle guerra. Milano avrebbe potuto essere una città completamente diversa. Fa veramente male vedere queste foto.

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  3. Ciò che colpisce chi non è italiano è il disordine. Milano non è diversa dal resto del Paese. Al di fuori dei centri storici gli edifici sembrano gettati lì a caso. Le auto parcheggiate ovunque, la sporcizia e la giungla di cartelli contribuiscono a deturpare ciò che è già caotico. Se da un lato si prova a mettere ordine in alcuni punti della città, anzi delle città, perché il fenomeno non è solo milanese, dall’altro non esiste un approccio uniforme negli arredi urbani. Lampioni che cambiano forma e colore a ogni comune, ciclabili idem e tanta incuria in generale. Non credo che ci voglia un genio per mettere ordine in mezzo alla giungla urbanistica italiana. E non servono nemmeno architetti visionari, archistelle o archiquasar. Basterebbe mettersi d’accordo sugli arredi, giontà on ciccinin de òli de gómbet e tanta voeuja de laorà. A ris a verz 🙂 G. PS Perché non togliere i cartelli di divieto di sosta introducendo le doppie linee gialle come nel Regno Unito? Chi sgarra, parcheggiando dove ci sono le linee, paga.

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  4. Più leggo e mi informo sulla storia di Milano, più inizio ad “odiare” la citta che conosco ogfi. Lo dico da non Milanese e da non italiano.

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  5. Un altro resoconto storico, molto interessante e molto dettagliato, però…Milano sonnacchiosa? NO, il problema è esattamente il contrario.

    Pensiamoci: quel che c’è a Milano di bello e grandioso – il Duomo, il Castello, lo si deve al periodo storico durante il quale Milano era una città libera e indipendente, oppure quando le fu riconosciuto, inevitabilmente, il ruolo di capitale: basilica di sant’ Ambrogio.
    La vicenda descritta dall’ articolo relativa al Pasquirolo e agli altri quartieri di Milano, dall’ unità in poi, altro non è che l’ inevitabile frutto che si ottiene quando si è, da sempre, produttivi, industriosi e “utili” a qualcuno, ma non si ha lo status di capitale; allora si finisce nelle mira di chiunque abbia il potere di speculare e di colonizzare, che sia lo stato italiano per cui Milano è sempre stata un bancomat o qualche assurda ideologia (fascio) o qualche altra stramba “cultura” di “architetti” per cui la bellezza risiede nella freddezza e nella anti-umanità delle strutture oppure, forse sopratutto, di un qualche impresario edile venuto da chissà dove a “ricostruire” una città della quale nulla gli importava, soldi che faceva a parte.
    In tante altre città europee vi furono pesanti bombardamenti, ma solo qui venne ricostruito così.

    Al proposito, anche il noto e problematico Rozzano è stato progettato da “famosi” cosidetti “architetti”…infatti, chi può va via da lì e tanti altri esempi, al sud, come le famigerate “vele” o il quartiere “zen”.

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  6. Esiste un modo per rimediare allo scempio che la città ha subìto? Voglio sperare di sì. Fa veramente male vedere le foto d’epoca e il contesto orribile che troviamo oggi.

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