Testo: Gianluca Gennai e Sara Manazza
Il sentiero, dall’antico francese “sentier” in derivazione tardo latina “semitarium”, ci riporta alle storie di una volta, ai racconti fantastici di avventure in luoghi magici e sconosciuti, ed è questo che immaginiamo nel vedere quel piccolo tracciato spesso in mezzo a sterpi e piante, talvolta appena visibile. I sentieri un tempo erano l’unico modo di spostarsi da un luogo ad un altro. L’idea del sentiero poggiava sul bisogno di comunicare con altri esseri umani, sovente per muoversi da una cascina all’altra o da un paese all’altro. C’erano le strade maestre, ma la gente del posto sviluppava percorsi alternativi, scorciatoie di buon senso.
Sentieri che segnavano l’immaginario, spesso complici di avventure temerarie di ragazzini in cerca dell’ignoto da svelare, da raccontare. Il sentiero era l’avventura, l’idea del chissà dove porterà.
L’evoluzione della città ha cancellato molti riferimenti storici ridisegnando i luoghi, spesso alienando il senso dello spostamento a piedi, dei riferimenti sociali che univano i luoghi e la gente entro certe distanze. Si sono interrotti così quei flussi naturali e antichi, che erano il legame con il territorio, con la gente.
Oggi i luoghi della memoria rivivono nei racconti o in una fotografia. Spesso i sentieri sono divenuti strade, ma l’idea della scorciatoia, ha legami con la parte primitiva del pensiero ed è una delle azioni automatiche che s’innescano in tutti noi, quando ci dobbiamo spostare da un posto ad un altro.
È dunque l’idea del sentiero che ci porta a Musocco, un quartiere che può essere oggi per molti milanesi, una sorpresa, una riscoperta di un luogo sconosciuto, in cui i “sentieri” portavano a corsi d’acqua, a ponti, a mulini e carbonaie, una fitta rete di viuzze che attraversavano i campi e univano i luoghi rurali della zona.
Si andava in Certosa di Garegnano piuttosto che a Roserio, passando attraverso i campi coltivati a grano e frumento. I nobili che avevano residenze estive in zona andavano a caccia nelle loro proprietà terriere, in cerca di buona cacciagione e di aria salubre, spesso facendo passeggiate con i cavalli in visita ai fontanili di cui Musocco era ricco.
Così quei percorsi forse oggi dimenticati o sepolti dall’asfalto e dai cambiamenti urbanistici, non sono sempre una leggenda metropolitana, ma ancora un’alternativa vissuta e agita da chi vive il quartiere a piedi con coraggio contrastando la vita contemporanea fatta di iperconnessione in cui esiste oramai il “tempo zero”, paradosso del concetto di spazio e velocità di spostamento.
È dunque il tempo del ritorno al sentiero, un divenire, che mette da parte i principi cardine della dinamica iper-connessa e rimette al centro il valore dello spostamento lento, a piedi o in bicicletta con la finalità di ripristinare quelle connessioni dell’istinto e delle emozioni oggi perse.
Il sentiero, come simbolo della strada percorsa a piedi, ha il potere di annullare il concetto di urbanizzazione, restituendo una modalità del vivere oggi condizionato dalla necessità di integrazione nei meccanismi del vivere, soprattutto a Milano. Ognuno di noi tuttavia, ha dei sentieri, dei percorsi che danno tranquillità più di altri, spesso istintivi, comodi e furbi, probabilmente scelti in base ad antichi sensi che senza saperlo, ancora oggi ci orientano quali olfatto, il senso dell’andare verso una direzione che ci fa sentire meglio di un’altra, probabilmente senza neanche fermarsi a pensare sul perché.
“Bisogna uscire e camminare. Camminate e vedrete che molti presupposti sui quali si basano i progetti, sono sbagliati. Se chi riqualifica deve dipendere così tanto dalle mappe invece che dalla semplice osservazione: non esiste altro modo che camminare e guardare, osservare la città. Le strade non sono elementi separatori di aree ma elementi unificanti. Non fissiamoci sull’isolato, guardiamo la strada”. – Jane Jacobs, Città e libertà
Per questo il team de La Vecchia Musocco propone delle camminate di quartiere, che vadano a rianimare un concetto di urbanistica circolare che parte dall’uso reale del quartiere, fatto di persone che camminano e si spostano usando strade come sentieri.
Ma vediamo quali sono i sentieri proposti:
La premessa è che il miglior modo di pianificare e progettare la città sia di guardare come la gente la usa e di cercare di individuare quegli snodi che non funzionano o che potrebbero funzionare meglio, o valorizzare invece gli snodi che funzionano e che non devono essere turbati.
Ecco come nasce l’idea di proporre delle camminate su sentieri quotidiani usati dalle persone del quartiere.
Che strade percorrono le persone, che traiettorie seguono?
Quell’evoluzione sociale passante per l’urbanistica, che tanto amava l’architetto Piero Bottoni quando pensò di costruire nuovi quartieri con abitazioni a costi contenuti, tuttavia dignitose e con una certa estetica anche nei contesti, per dare a tutti una possibilità di crescita nel bello, seppur con un limite economico, ma non come una ridotta della società.
Prendiamo visione attenta della periferia, come punto di riferimento nel ripensare i luoghi con coraggio, con capacità d’interpretare le nuove esigenze rispettando quelle antiche o quotidiane di chi vive il quartiere: le conseguenti scelte urbanistiche, dovrebbero camminare sul solco del buon fare. Oggi Musocco è un luogo dove riscoprire quei sentieri.
L’idea è di camminare nel sentiero, per esperire con i propri piedi e i propri occhi le strade e i luoghi i vissuti del quartiere, di chi vive il quartiere, per vedere i punti focali di convergenza, i punti di forza (sfruttarli e rinforzarli) o i punti di debolezza (andarli a sciogliere, risolvere).
I suoi viottoli, le sue scorciatoie, le sue croci.
Quali sono?
Proviamo qui di seguito a evidenziare i nodi focali, magnetici, per provare ad aprire l’immaginazione a un miglioramento, futuribile, anche nell’ottica di un ritorno di investimento per chi sta atterrando con progetti di real estate nel quartiere Musocco.
Un viaggio per esplorare fisicamente e documentare, come contest fotografico ma anche a beneficio di future mappature urbanistiche o semplicemente per prendere appunti su dove sia più utile investire capitali o risorse pubbliche, a beneficio di grandi sviluppi di riqualificazione di real estate.
Si immagini ad esempio, uno studio di fattibilità di rigenerazione urbana, sviluppato anche dal POLI su mandato pubblico (il Municipio 8 si è distinto per essere molto attento a certe tematiche).
Il sentiero da Largo Boccioni a Zona Stephenson
Sull’impronta del sentiero, ancora oggi si stabiliscono delle connessioni che non sono strade, spesso tunnel se non ponti. Il quartiere Musocco è circoscritto da 3 ponti e ben connesso con la città tramite tram, autobus e il passante ferroviario in stazione Certosa. In prossimità c’è il “quartiere Stephenson”.
Lo sviluppo del quartiere Stephenson è in divenire, e ad oggi, ospita strutture anche alberghiere, alle quali ha fatto seguito un timido collegamento in tunnel ciclo/pedonale con Largo Boccioni sotto la Milano-Laghi, parallelo al tunnel Eritrea – Expo, con l’alternativa pedonale di via Stephenson, tuttavia oggi fatiscente e in attesa di una riqualificazione definitiva.
L’idea di un passaggio che sia congeniale allo sviluppo di una connettività facile, corta e anche piacevole, dunque esteticamente accettabile e certamente sicura, è non solo fattibile, diremmo necessario.
Oggi questo appare più come un ibrido funzionale al concetto di collegamento dovuto, se si pensasse alla Funzione Urbana che dovesse dare i mezzi pubblici (in questo caso tram e autobus) come elemento di supporto alle strutture ricettive e a importanti uffici.
Su questo tema, una riflessione va fatta allargando il concetto di sentiero, con una valutazione su Largo Boccioni, oggi una landa urbana, un nowhere, senza piante ne geometrie che possano dare un’idea di Piazza, di luogo d’appoggio e di transito adatto a rendere piacevole una passeggiata degli ospiti degli alberghi che volessero andare in centro città, in direzione dell’Ospedale Sacco o del nuovo Ospedale Galeazzi.
Così il visitatore, si trova oggi, a contatto con la realtà della periferia milanese trascurata, sciatta, funzionale a vite secondarie, certamente lontane dal vivere del forestiero che volesse muoversi senza usufruire dei taxi o delle navette messe a disposizione dagli alberghi, nell’attesa di un autobus che oggi connette il quartiere come se fosse un paese e non un elemento integrato con la città che vive.
Largo Boccioni va visto come un hub da valorizzare anche in funzione della stessa Musocco, che potrebbe beneficiare di uno sviluppo turistico, anche con check point turistico, avamposti vitali di presidio sul territorio. Puntare su un’economia del food, ad esempio, con pub o bar affacciati ad una umanità multietnica che qui è una realtà. Largo Bocconi ha un potenziale importante, avendo spazi in cui progettare una nuova dimensione dell’accoglienza del viaggiatore. Al tempo stesso, il sottopasso oggi degradato andrebbe valorizzato, diventando ad esempio un luogo colorato, forse anche un luogo dove allestire un ufficio per il turismo, se non addirittura dove fare promozione tramite immagini, a favore delle iniziative del quartiere.
Il sentiero da Musocco al Politecnico di Villapizzone/Bovisa
C’è un sottopasso ferroviario in via Pacuvio che collega Musocco con la zona della Stazione Bovisa, Villapizzone e il Politecnico di Milano. Questo storico tunnel stradale (nella foto qui sotto), potenzialmente strategico, risulta in realtà disagevole per gli autoveicoli in transito a causa della sua scarsa larghezza e pericoloso per pedoni e ciclisti a causa della scarsa visibilità interna (manca completamente l’illuminazione) e per il manto stradale dissestato. Ricordiamo anche il ridotto limite di altezza per gli automezzi in accesso, che preclude il passaggio di mezzi pubblici come l’autobus numero 35, che potrebbe allungare fino al passante di Villapizzone di Bovisa, dove ferma anche il Malpensa Express.
A tal proposito, va anche considerata la prospettiva di sviluppo della zona, in cui si nota la metrotranvia 7, come filo conduttore di una progettualità che parte dall’area Bovisa e arriva proprio all’antico borgo di Musocco e a Quarto Oggiaro e una probabile metropolitana (la M6) proiettando uno sviluppo della zona ben oltre il 2050 e le stazioni adiacenti quali Quarto Oggiaro, Villapizzone e la iperconnessa Certosa, dove erano previste delle stazioni di BikeMi mai realizzate.
Un sottopasso dai sapori antichi, certamente immerso in quella campagna che univa e separava le cascine e i nuclei abitativi della zona, tra campi di grano e frumento.
Se si volesse usare la fantasia con un po’ di ratio, non sarebbe difficile rivedere il sentiero dal nucleo storico di Villapizzone a Quarto Uglerio, semplicemente riunendo via Negrotto a via Pacuvio in un tracciato assolutamente attendibile.
È una chiave di lettura interessante, il progetto ex Gronda Nord che prevede il collegamento con la Bovisa tramite una tramvia leggera (linea 7). Un’ipotesi che potrebbe essere un asset progettuale importante per il collegamento di via Eritrea con il polo ingegneristico di Bovisa e della stazione di Villapizzone, passando da una riqualificazione del sottopasso di via Pacuvio. Un’opportunità per tutti gli studenti che già oggi si muovono verso il Politecnico dallo studentato In-Domus Campus Certosa Olympia .
Il sottopasso carrabile, se ripensato e restaurato, potrebbe essere strategico per la connessione del quartiere di Musocco con la nuova area “La Goccia” in via di sviluppo a firma di Renzo Piano Building Workshop, dove sorge ancora lo scheletro di un gasometro. Il progetto si colloca all’interno del più ampio contesto di rigenerazione urbana dell’area “Bovisa-Goccia-Villapizzone” dove è stato appena inaugurato il campus a zero emissioni di CO2 EN-LAB.
Una pista ciclabile in via Castellammare potrebbe collegare strategicamente insieme alla linea 35 di ATM, lo studentato di via Palizzi e il Parco di Euro Milano con il polo universitario del Politecnico in Bovisa, anch’esso sofferente di problemi di sicurezza e isolamento, depresso per lo più.
Si creerebbe un interessante trigono tra tre snodi ferroviari del passante su due diverse direttrici: Stazione Certosa, Stazione Villapizzone, Stazione Bovisa (munita di Malpensa Express), che diventerebbe il prolungamento ideale della pista ciclabile che parte appunto da via Varesina, riprendendo i mitologici Raggi Verdi di morattiana memoria. Un’idea di sentiero che congiunga anche gli spazi del pensare a livello progettuale, creando una continuità coerente e simmetrica, nel solco della storia della zona e dei suoi antichi percorsi battuti da carovane, viandanti, eserciti e nobili patrizi.
Il sentiero perduto da Musocco alla Certosa di Garegnano
Uno dei sentieri più belli e affascinanti, è senza dubbio quello che congiungeva Musocco con la Certosa di Garegnano, parallelo alla Via Varesina, storica arteria della Milano Imperiale. Così non è difficile immaginare il Generale Bonaparte, impettito davanti alla sua Armée; a pronunciare uno dei suoi discorsi:
“On ne conduit le peuple qu’en lui montrant un avenir : un chef est un marchand d’espérance”. (Si guida un popolo solo mostrandogli il futuro: un leader è un mercante di speranza)
D’altra parte, a Musocco si narra che il Generale si fermò con le sue truppe per accamparsi fuori da Milano e far urinare i suoi uomini in quel vespasiano che è oggi un pezzo di storia. A Napoleone fu intestata: Via 5 maggio a perenne memoria (il Manzoni ne fece uno dei suoi cavalli di battaglia).
Il sentiero di cui si parla, ci offre la possibilità di riprendere l’argomento della Via Varesina, vera protagonista della storia di queste zone.
La via Varesina, nel comune di Milano, si trova a dover declinare la sua grande storia, a semplice via comunale, in conseguenza della ferrovia Milano – Torino che la tronca di netto all’altezza di via Triboniano. Ecco che Via Varesina in Musocco diventa via Mambretti, via Fattori e poi via Grassi. Si crea così quel fenomeno di sviluppo urbanistico, come si diceva: al di qua e al di là della ferrovia.
Con il cambiamento radicale delle vie di comunicazione, peraltro avvenuto rapidamente, sono caduti quei vincoli di socialità che caratterizzavano questa zona fortemente rurale ma con borghi e villaggi ben identificati.
In questa visione, si possono individuare interventi di ricucitura del tessuto urbano tra la via Varesina e la via Mambretti nel quartiere Musocco. Una ricongiunzione auspicabile e definitiva potrebbe prevedere la riprogettazione o risanamento dell’attuale sottopasso della Stazione Certosa (degradato, sporco e pericoloso) in un’ottica della città in 15 minuti. Via Varesina e via Fattori/Barrella potrebbero essere al centro di una bella storia di continuità grazie anche al Certosa District di via Varesina e al futuro co-living Wao di via Barella, un’opera di riqualificazione della società Real Step.
Dunque, il sentiero verso la Certosa, probabilmente lo stesso che percorse il Petrarca quando volle visitare le campagne della Vialba, per ammirare i fontanili, ospite probabilmente dei Simonetta, di schiatta nobile milanese, molto vicini ai Duchi milanesi, che in questa zona amavano ristorarsi dal faticoso Ducato di Milano.
Sentieri e strade che richiamano la letteratura di Pratolini e i leggendari gruppi milanesi di cultura proletaria: per queste strade hanno camminato Dario Fò e Franca Rame, Franca Valeri e altri, protagonisti del Teatro Rossini di via Mambretti, oggi sparito, ma che fu una fucina per molti.
Il sentiero verso ovest: da Musocco al bosco della Merlata – Via Stephenson
La via Stephenson è il passaggio obbligatorio per chiunque transiti dalla stazione Certosa per andare o venire a piedi, sia nelle strutture alberghiere sia nei luoghi di lavoro e nuove residenze, sparsi qua e là in zona.
La via Stephenson è oggi molto fatiscente e poco decorosa per il ruolo che svolge, come si diceva di passaggio pedonale e veicolare verso la zona
Stephenson purtroppo ancora indefinita nel suo post-industriale difficilmente raggiungibile con i mezzi pubblici.
Prendiamo in prestito il sentire di Giovanni Testori, per definire un sentiero in cerca di una nuova identità e bellezza, senza dimenticarne la storia. Un casermone, una periferia, un mondo alla fine, dove non si è più padrone di niente. È il “Fabbricone” di Testori, 1961, il romanzo ambientato in una delle prime case popolari della periferia nord-ovest Milanese degli anni ‘50, tra via Zoagli e via Aldini, non a caso.
I cittadini di Musocco e i loro sentieri sono sopravvissuti a numerosi fenomeni da periferia: la chiusura delle fabbriche, l’integrazione sociale dei primi anni ‘70, i terribili e tossici anni 80, la convivenza con numerosi campi rom stanziali e nomadici, la malavita e la microcriminalità diffusa, e non da ultimo l’integrazione multietnica. E sono pronti a vivere i frutti di tanta resistenza, confidando in una nuova prospettiva, progetti per le persone che si muovono e vivono per il quartiere.
C’è da dire che la zona Stephenson è inserita nel progetto Circle Line, che prevede la nascita di una stazione ad hoc, prevista nell’area dell’attuale stoccaggio merci ferroviarie. Nel progetto Circle Line, è inserita anche la stazione Certosa, un vero e proprio HUB a nord di Milano.
Un’idea che piacerebbe allo scrittore Alessandro Robecchi che ha ambientato proprio in uno dei capannoni di via Stephenson il suo romanzo “Flora” – 2021 Sellerio Editore.
I sentieri che collegano via Fattori, via Barrella, Villa Caimi e Villa Scheibler
Questo sentiero rappresenta un punto importantissimo di riequilibrio del quartiere. Crediamo che Villa Caimi possa essere inserita tra le aree d’intervento comprese nel progetto di rigenerazione di zona, un trait-d’union con la stazione Certosa e Villa Scheibler, nel tratto di via Aldini verso la chiesa rosa di SS. Nazaro e Celso, già a scomputo della società costruttrice ma mai realizzato per via di alcune proteste dei residenti e nuove proposte mai vagliate definitivamente.
Villa Caimi, o quel che ne resta, è un complesso di origine Settecentesca costituito da una parte principale su due piani adibita a villa (nord) e una prospiciente a stalla (sud).
Un po’ di storia: dal 1768 dimora di Giorgio Giulini nominato Conte di Quarto Oggiaro e Villapizzone da Maria Teresa d’Austria. A seguito della morte del Giulini (1780) diventa casa di campagna della famiglia nobile milanese Caimi. Nei primi del Novecento viene acquistato da Cesare Finoli. Dal 1930 al 1940 viene adibito a orfanotrofio femminile. Durante la II Guerra Mondiale diventa rifugio per sfollati fino al 1948 quando torna ad essere orfanotrofio femminile. Fu anche sede di un’associazione laica. Dal 1956 fu un pensionato per immigrati dal sud. Dal 1963 inizia il declino e l’abbandono della villa.
Su deliberazione della Giunta Comunale 2656 del 20/12/2013 e approvazione delle linee guida per l’affidamento della concessione in uso dell’immobile comunale e relative pertinenze già denominato «Villa Caimi-Finoli», sito in via Aldini-Piombino, nonché della concessione in diritto di superficie delle aree confinanti da destinarsi a servizi di interesse pubblico e generale, si cerca di attuare la restituzione alla comunità con una funzione di interesse pubblico di un bene di interesse storico artistico, tramite un bando per un “Intervento di recupero e restauro di Villa Caimi-Finoli – Via Aldini, 42 20157 Milano – Area Municipio 8”.
Esito bando 2014 deserto per la crisi edilizia e del settore immobiliare, causa di poca appetibilità degli imprenditori nel sociale. Conseguentemente a questo insuccesso della Giunta Comunale, il risultato è stato un incremento delle problematiche comuni a tutto il quartiere: bivacchi, occupazioni abusive, rifiuti, incendio. Per arginare o limitare quanto possibile, sono stati fatti degli interventi da parte dell’Amministrazione Comunale: su tutti la demolizione di alcuni fabbricati (ex porcilaie) e l’annessione del parco signorile, annesso a quello di Villa Scheibler (2019-2020).
Oggi il Parco di Villa Scheibler ex riserva di caccia e nobile vivaio è un reticolo di sentieri che camminano su vecchi corsi d’acqua che gli abitanti del quartiere percorrono come scorciatoie di benessere per tagliare velocemente da una parte all’altra del quartiere e che fanno propri giocando a bocce, facendo sport, organizzando piccole feste di compleanno o grandi manifestazioni scolastiche: un portale spazio temporale impreziosito dalla Villa Scheibler, bellissima dopo il restauro e fulcro di tante iniziative culturali.
Ecco allora che le strade, i sentieri vivi e dinamici, le scorciatoie quotidiane permettono a chi vive il proprio quartiere di interagire, di costruire legami sociali e di sentirsi parte di una comunità.
Chiudiamo con l’idea di mixitè sempre della Jacobs: diversi usi, funzioni e persone nello stesso spazio urbano, creando un tessuto sociale ricco e complesso. Questo principio è fondamentale per una città vitale, poiché i sentieri così concepiti favoriscono la sicurezza, la creatività e l’innovazione all’interno dei quartieri.
La progettazione urbana deve a nostro avviso tenere conto di come i cittadini vivono spontaneamente il quartiere creando con i propri tracciati quotidiani “luoghi di vita” per tutti.
Possiamo ricordare anche il pensiero di Ursula von der Leyen sulla “Nuova Bauhaus Europea” che supporta il Green Deal europeo: la sostenibilità, l’inclusività e l’estetica, cercando di integrare design, tecnologia e natura per affrontare le sfide ecologiche contemporanee secondo principi di inclusività e accessibilità, assicurando che gli spazi urbani siano utilizzabili e accoglienti per tutti i cittadini, indipendentemente dalle loro abilità o background.
Un design integrato, appunto Bauhaus, che tenga conto delle esigenze delle persone per rispondere alle esigenze moderne e alle sfide ecologiche del XXI secolo e che incoraggi un approccio collaborativo, coinvolgendo artisti, scienziati, architetti e cittadini per co-creare soluzioni che migliorino gli spazi abitativi affrontando al contempo il cambiamento climatico. Questa visione si allinea con alcuni dei principi di Jane Jacobs, come l’importanza del coinvolgimento della comunità e lo sviluppo organico degli spazi urbani, pur integrando obiettivi di sostenibilità moderni e una collaborazione interdisciplinare. Un Nuovo Rinascimento, se letto all’italiana.
I sentieri della città moderna, come quelli di Musocco, vogliono appunto dimostrare che sono ancora le strade e i luoghi spontanei ad essere il cuore pulsante della comunità, dove la diversità e l’interazione quotidiana danno vita a quartieri vitali e resilienti.
- Referenze immagini: ROberto Arsuffi; Google Map
- Testo: Gianluca Gennai e Sara Manazza
- Tempo di lettura: 19 minuti
- Itinerario, Itinerari, Musocco, Certosa, Villapizzone, Quarto Oggiaro, Roserio, Cascina Merlata, Via Palizzi, Via Varesina, Certosa di Garegnano, Garegnano, Via Stephenson
Bellissimo articolo. Conosco parzialmente queste zone e il vostro articolo mi suggerisce di provare questi percorsi a piedi.
Grazie Rodolfo per il suo commento.Noi stiamo organizzando delle passeggiate su questi itinerari.Segua la pagina fb della vecchiamusocco per avere maggiori informazioni.
Avete purtroppo ragione, lo snodo di largo Boccioni è un “nowhere” mentre potrebbe essere di più: una via di borgo crocevia verso la periferia, e poi invece ci si trova divisi dalle barriere autostradali e con un sottopasso che non ho mai provato e dubito proverò, rendendo di fatto inesplorabile quello che c’è del resto di Stephenson se non alle auto (o con le poche corse della 35). Spero prima o poi si trovi un modo più felice per ricucire le due aree, anche perché tutta l’area “Stephenson” sta sempre più degradando 🙁 la mia non vuole essere una polemica ma una onesta constatazione, che so non rende giustizia al bello e alle cose interessanti che raccontate sempre in questi articoli. E lo dico perché invece sono zone interessanti e che possono ancora raccontare storia e reinventarsi, se c’è la volontà di farlo
Grazie del suo commento che è anche unz constatazione di una realtà.Lei ha ragione chiosando: se c’e’ la volontà.purtroppo una volontà che passa dal ragion del dinar e da scelte politiche.