San Dionigi, dov’è la basilica di San Dionigi fondata da Sant’Ambrogio nel 380 dopo Cristo? A dire il vero oggi c’è una parrocchia a Pratocentenaro (vicino a Niguarda per chi non lo sapesse) che porta lo stesso nome, ma naturalmente questa è ben più moderna, visto che venne eretta negli anni Trenta del 1900.
Quella alla quale noi vogliamo portare l’attenzione era la chiesa dalla storia tormentata che sorse nel IV e V secolo per volere del santo vescovo di Milano, Sant’Ambrogio a Porta Orientale, oggi Porta Venezia.
Alla basilica di San Dionigi appartiene anche la leggenda del Tredesin de mars, la data di inizio dell’era cristiana a Milano, quando San Barnaba, soffermandosi a Milano, nell’anno 46 d.C. conficcò la croce (esattamente il 13 Marzo del 51) in un foro di una pietra celtica nei pressi di un cimitero a Porta Orientale, una chiesetta sarebbe sorta per racchiudere questa pietra, una lapide ricordava l’avvenimento citando: “In questa rotonda pietra fu eretto il vessillo del Salvatore da S. Barnabaapostolo, fondatore della chiesa milanese, com’è provato dall’autorità degli scrittori e dall’antica tradizione del popolo, qui accorrente il 13 marzo”. La leggenda è databile intorno alla fine del X secolo.
Ma tutto ebbe inizio, pare, quando il Vescovo Ambrogio diede l’ordine di recuperare la salma di un suo predecessore, San Dionigi (Dionisio, eletto nel 349 vescovo, di origine probabilmente greco-orientale) perché potesse essere meglio onorata dai cristiani milanesi. Secondo una consolidata tradizione la salma del santo, dopo un lungo viaggio lungo dalla Cappadocia, sarebbe ritornata a Milano per essere deposta in una cappelletta oltre Porta Argentea o Orientale (Oggi piazza San Babila), intitolata Sanctorum Veteris Testamenti o Santorum Omnium Prophetarum et Confessorum. Doveva trattarsi della cappelletta del Tredesin de Mars o di una di quelle cappelle poste nei pressi di cimiteri sorti ai bordi della città, pre-esistente o probabilmente fatta erigere dallo stesso Ambrogio per conservarvi le spoglie di Dionigi. Nella stessa basilichetta, nel 475, venne posta anche la salma del vescovo armeno Aurelio, deceduto mentre era di passaggio a Milano e da quel momento la piccola cappella ebbe il titolo di Santi Dionigi e Aurelio. La chiesa, retta da monaci, conservò anche reliquie di altri santi, per esempio dei santi Canziani e di Aquileia. In essasi trovavano il sarcofago di epoca romana di Valerio Petroniano, che ora si trova nel Museo Archeologico, e anche il magnifico labrum di porfido rosso, ora in Duomo come fonte battesimale, che conteneva le reliquie del santo titolare.
Purtroppo a noi sono giunte solo leggende o manoscritti, ma pochissimi reperti o immagini. Infatti nessun particolare di rilievo della planimetria originale della nobile basilica ambrosiana ci ha consentito di conoscere forma e dimensioni. La supposizione proposta dal Traversi, il quale sosteneva che l’edificio paleocristiano si rifacesse a Santa Tecla, perciò con cinque navate, è priva di fondamento dopo il ritrovamento di una mappa dove compare una piantina di chiesa, per la verità non molto grande, che però ci documenta, secondo il Mirabella Roberti, la reale forma paleocristiana del tempio, rappresentato a nave unica con l’abside rivolta ad oriente e con due absidi minori sulle pareti laterali, nel rispetto di un modello greco. Le absidiole furono probabili sedi sepolcrali per privilegiati, come si riscontra per le quattro absidi della basilica di San Nazaro e per le due della piccola Basilica di Samagher presso Pola.
Secondo alcuni scritti antichi del VI secolo (l’Itinerario Salisburghese), sappiamo che la basilichetta era già in forte decadenza, così pure il culto dei due santi si era un po’ affievolito, tanto da indurre, nell’830 l’arcivescovo di Milano a donare al vescovo di Vercelli, Nottingo, parti del corpo di Sant’Aurelio, trattenendone a Milano solo la testa. Nell’882 l’arcivescovo Angilberto I si prodigò dunque a ricostruire e riparare la nuova chiesa, più grande per degnamente onorare il corpo di San Dionigi. Ciò lascia presumere che la basilica di San Dionigi abbia subito trasformazioni come ogni altro edificio religioso, ma non radicali e che non compromisero la linea architettonica se non per opera di Ariberto da Intimiano (Intimiano, 970 circa – Milano, 16 gennaio 1045) che la fece restaurare e sistemare alla maniera romanica. Venne anche costruito il campanile molto alto che si conserverà sino al 1700.
La basilica fu testimone di molti episodi sanguinolenti e gravi saccheggi, anche perché si trovava molto lontana dalle mura di cinta e alla mercé di tutti.
Nel Medioevo la basilica di San Dionigi divenne un nodo politico e religioso molto importante negli scontri tra i Patavini e i Ghibellini, che nel Duecento furono massacrati presso la chiesa dopo l’uccisione del loro capo Paganino. Così nel 1266 si tenne un eccidio di ghibellini ordinato da Napo Torriani che fece decapitare 28 esponenti della fazione politica come rappresaglia contro l’uccisione di suo fratello Paganino, nominato da poco podestà di Vercelli.
Intorno al 1410 subentrarono i benedettini riformati di Santa Giustina, più noti come Cassinesi, che lasciarono il monastero intorno al 1433. Una carta del 13 ottobre 1478 cita il primo abate commendatario: Giov’Annantonio da Busseto.
Nel Cinquecento tutto il complesso era ormai decaduto e poco era valso l’onore derivato al luogo dall’essere Luigi XII salito a cavallo davanti alla chiesa nel 1509, dopo la vittoria di Agnadello. Il fatto era stato riportato sull’arco che immetteva nel sagrato e il Torre aveva potuto ricopiarne l’iscrizione.
Nel 1528 si ha un episodio di rapimento per riscatto di reliquie: i famigerati Lanzichenecchi devastano chiesa e monastero e sottraggono le sante reliquie nella cripta. Riscattati questi beni preziosi per la cura dell’anima, nel 1532 tutte le preziose reliquie vengono trasportate in Duomo.
Nel 1535 il governatore di Milano dell’epoca, il celebre Antonio de Leyva decise di abbattere l’antica e ormai cadente chiesa per far spazio alla costruzione dei nuovi bastioni di difesa della città, le famose mura spagnole. Così venne dato ordine di costruire una nuova chiesa, il cui progetto venne affidato a Pellegrino Tibaldi che la realizza a tre navate con otto cappelle laterali. Il nuovo complesso sarà realizzato a sud della vecchia basilica di Ariberto, dove si trovava il vecchio sagrato e il vecchio campanile romanico che adornava la facciata rimane, risultando però posto sul retro del nuovo edificio. Ultimati i lavori per la nuova chiesa, il vecchio complesso e parte del monastero vengono definitivamente abbattuti nel 1549.
Di questa nuova chiesa ci restano, oltre ad una mappa settecentesca, anche i disegni eseguiti intorno al 1573 dall’Anonimo Fabriczy. Che dimostra come l’antico campanile sia stato conservato e riutilizzato nella nuova costruzione del Tibaldi. Nel Settecento nell’atrio antistante la chiesa e il sagrato, c’era una cappella con una vasca d’acqua che curava gli occhi dedicata a Santa Lucia.
Nel 1770 si iniziò a sopprimere il convento e nel 1783 anche la chiesa venne sacrificata definitivamente per far posto ai Giardini Pubblici di Porta Venezia. I Serviti portarono a Santa Maria del Paradiso (in Corso di Porta Vigentina), dove si trasferirono, le reliquie superstiti, tra le quali la pietra del Tredesin de mars, oggi posta al centro della chiesa. Il sarcofago di Ariberto venne trasferito in Duomo, dove tuttora si trova, così come la croce di Ariberto, popolarmente abbinata al Carroccio, che dapprima passò alla chiesa di S. Calimero; nel 1848 fu ottenuta dal Governo provvisorio che ne fece il simbolo della libertà civica, per essere deposta nel 1849 nella chiesa di S. Maria del Paradiso e, infine, passare nel 1872 in Duomo sopra l’urna di Ariberto.
In Corso Venezia, fino all’Ottocento si trovava ancora una colonna resa famosa anche in un passo dei Promessi Sposi, tale colonna era detta di San Dionigi, eretta nel 1600 formata da un basamento, una colonna con capitello e una croce alla sommità.
Il sarcofago di Valerio Petroniano
Fra le antichità conservate nella chiesa, ma della cui provenienza non si sa nulla, c’è un sarcofago pagano in marmo di Musso dell’inizio del IV secolo, scolpito a Milano. Grazie alla descrizione fatta da Ciriaco d’Ancona nel XV secolo conosciamo il titolare, Valerio Petroniano, il cui nome era scolpito al centro del sarcofago, recentemente abraso.
Nell’edicola ad arco di sinistra vi è un personaggio col pallium, forse suo padre C. Valerio Eutichiano; a destra un personaggio togato, identificato come Valerio Petroniano. Le testate raffigurano scene della vita del defunto, mentre studia i documenti di una causa e mentre la difende davanti a un personaggio importante, forse l’imperatore. Petroniano era decurione, ossia consigliere municipale, pontifex e sacerdos della iuventusmilanese, causidicus, quindi una persona di tutto rilievo nella scena politica milanese. La scritta ricordava che aveva sostenuto a Roma cinque legazioni gratuite per la città.
Varie mappe che provano l’esistenza della basilica nelle varie epoche.
Da: Milano Chiese Scomparse Civica Raccolta d’Arte e Milano Romana Rusconi
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Veramente un articolo ben fatto e documentatissimo!!
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Grazie e complimenti ancora.