Milano | Gallaratese – Il bosco della Merlata e quel che ne rimane

Oggi immaginare un grande bosco all’interno del territorio comunale di Milano pare impossibile, naturalmente escludendo i molti parchi che circondano la città d’oggi, che poi non sono boschi. Per secoli, l’odierno settore occidentale di Milano, era costellato da macchie boschive vaste e abbastanza impenetrabili o quasi.

Anzitutto vi era il famoso Barcho Ducale dei Visconti e degli Sforza presso il Castello Sforzesco.

Il parco, creato per desiderio di Gian Galeazzo Visconti alla fine del ‘300, si estendeva su un’ampia superficie a nord ovest del Castello. A partire dal 1457 venne ampliato da Carlo da Cremona per Francesco Sforza, fu quindi cintato da un muro alto anche 2 metri e mezzo, e dotato addirittura di 7 porte, tutte dotate di torri campanarie che avevano la funzione di avvistamento e di allarme. La tenuta di caccia era così ampia che raggiungeva l’odierna via Faravelli, dove si trovava la Cascina detta del Portello (una delle molte porte del Barcho che ancora oggi da il nome al quartiere). Per volere del Signore di Milano, grande appassionato di caccia, venne popolato di caprioli, cervi, lepri, fagiani e pernici. Tutti questi animali furono fatti portare a Milano dalle zone di Varese, del Seprio e del lago di Como. Al vero parco di caccia, o “barcho” , erano affiancati una parte a giardino dotata di una peschiera, boschetti e vasti campi coltivati a frumento, miglio, segale e avena. Non mancava la zona destinata a frutteto.

Sotto il ducato di Lodovico il Moro, nel momento di massimo fulgore della vita di corte, addirittura Leonardo da Vinci fu incaricato di organizzare cerimonie e feste nel “barcho” ducale. 
Dopo la caduta degli Sforza e l’arrivo successivo degli Spagnoli nel Cinquecento, l’ampia area cadde in abbandono. Su parte di essa, prossima al castello, furono edificate le fortificazioni spagnole e una parte trasformata in piazza d’Armi (oggi Parco Sempione), mentre il resto venne man mano reso agricolo e oggi urbanizzato.

Ma oltre, ancora più a Nord-Ovest, nei territori degli antichi comuni di Musocco e Trenno, tra il fiume Nirone e l’Olona, vi era una vera e propria foresta, in origine più ampia e fitta, ma che col passare dei secoli, si ridusse sino a sparire in favore dei campi coltivati e di nuove abitazioni. Si trattava del famoso Bosco della Merlata. Probabilmente in epoca antica il bosco era così ampio che raggiungeva le odierne città di Novara, Varese e Como.

Ancora ben sviluppato nel seicento con una discreta fauna, tra cui animali da selvaggina e anche lupi, il bosco divenne famoso per essere infestato da bande di temuti briganti. Tra questi i più celebri furono Giacomo Legorino e Battista Scorlino, di sicuro capibanda tra i più famosi e temuti sul territorio. Il bosco scomparve lentamente con i disboscamenti di inizio ottocento, per una più remunerativa conversione in area agricola.

L’area coperta dal Bosco della Merlata, copriva parte dei territori degli odierni distretti di Roserio, di Musocco, Villapizzone, di Cascina Merlata e del Gallaratese, oltre a buona parte dei confinanti Comuni di Baranzate e Pero.

Alla scomparsa del bosco contribuì anche il suo sfruttamento per ricavare combustibile da utilizzare nelle varie fornaci che sorsero in zona e che sfruttavano l’argilla presente nel terreno. Già a metà Ottocento del bel bosco rimaneva poco o niente, sostituito da marcite e risaia, grazie all’abbondanza di acqua proveniente dai numerosi fontanili e risorgive presenti in zona.

A Villapizzone, all’incirca dove oggi vi è la Scuola Materna (Via Console Marcello 9), vi era la Cascina Melgasciata, un antico Cascinale risalente al XVI Sec. collocato fra le marcite e il fiume Nirone, che qui passava per scendere sino al cuore di Milano e il fontanile dal nome curioso che cela forse la storia stessa della cascina, il Cagadenari. La cascina era nascosta all’interno di un boschetto fitto e scuro.

Sull’uscio vi era un’iscrizione accanto a due ingenue pitture popolari di avventure brigantesche, racconta un’enigmatica storia :QUI È MURATA LA TESTA DELLA MULA DEI CELEBRI BRIGANTI GIACOMO LEGORINO E BATTISTA SCORLINO GIUSTIZIATI NEL MAGGIO DEL 1566.

L’osteria ricorda cioè l’epilogo della tremenda masnada dei famosi briganti che infestavano il Bosco della Merlata.

E’ memorabile effettivamente la loro esistenza verso la metà del XVI Sec. quando essi, con una consistente banda di criminali, impaurivano i viaggiatori costretti ad attraversare, provenienti dal varesotto, il vastissimo e fitto bosco “Della Merlata”, del quale appunto le piante che regalano ombra all’asilo oggi esistente sembrano essere un piccolo avanzo. I due briganti, tuttavia, non se la cavarono a buon mercato. Catturati, assieme a un’ottantina di loro complici, senza le molte preoccupazioni garantiste tipiche della giustizia moderna, vennero giudicati e condannati a morte e quindi giustiziati nel Maggio del 1566. Secondo le usanze in voga in quel periodo della storia il loro strazio fu terribile. Trascinati per ore a coda di cavallo, avevano poi gambe, braccia e schiena spezzati, quindi legati sulla ruota in attesa di morire dopo una lunga ed atroce agonia, il cappellano che li seguiva, per assicurare al perdono celestiale almeno le loro anime, scongiurò il boia di accelerarne la morte tagliandogli la gola. Giudicati e giustiziati in contumacia per aver ucciso in modo efferato circa 300 persone, le loro gesta sono giunte sino a noi creando in taluni una fantomatica risonanza con la storia di Robin Hood e la foresta di Sherwood. Leggende popolari ci tramandano oralmente le gesta di questi due “Galantuomini” come dei veri e propri Robin Hood del Milanese che, come i loro omonimi inglesi, si pensa rubassero ai ricchi per dare ai poveri ma, questa è un’altra storia che non ci è dato di sapere… Ai giorni nostri non rimane traccia alcuna di questa antica e rinomata “Cascina”.

Ma oggi, del Bosco della Merlata che rimane? Nulla o quasi.

Noi abbiamo provato a cercare qualche indizio e, a dire il vero, qualcosa potemmo aver trovato nell’area di via Gallarate 265 e 271, tra la via e il quartiere di via Uruguay. Non è certo l’antico bosco, ma il luogo è un piccolo lembo di quello che era e che spontaneamente si è ricreato.

Anzitutto va ricordato che i comuni di Trenno (con le frazioni di: Figino, Quinto Romano, Quarto Cagnino, Lampugnao) e Musocco (con le frazioni di: Roserio, Cascina Triulza, Vialba, Quarto Oggiaro, Garegnano Marcido, Villapizzone e Boldinasco), diventarono parte del territorio milanese nel 1923, ma già nel 1880 circa, il Comune di Milano decise di riunire in un grande cimitero buona parte delle sepolture cittadine, sopprimendo i vari cimiteri sparsi sul territorio. Così nel 1886 iniziò a prender forma l’odierno Cimitero Maggiore, sorto proprio abbattendo e spianando parte della superstite foresta della Merlata che qui ancora vi era. Successivamente il cimitero venne ampliato più volte sino al 1934.

In quegli anni si cominciò anche a considerare lo sviluppo della zona, passata sotto il municipio milanese. Così piani urbanistici un po’ avveniristici, avevano previsto, come si vede dalla mappa anni Trenta qui di seguito, vie ampie come grandi boulevard e un parco che corresse lungo il fiume Olona, il tutto circondato da una fitta maglia urbana (Tra le proposte dell’epoca anche il quartiere Costanzo Ciano mai realizzato).

Le sorti però del territorio che va dal Cimitero Maggiore sino a via Novara non si svilupparono se non a partire dal dopoguerra, quando venne realizzato il Quartiere Triennale 8 (QT8, 1948), con il Monte Stella realizzato coi detriti dei bombardamenti del periodo bellico. Successivamente presero forma, tra gli anni Sessanta e Ottanta del Novecento i nuovi quartieri del Gallaratese, come il G1,  G2 (via Chiarelli e Via Uruguay), Torrazza, Bonola,  Monte Amiata, San Leonardo e Molino Dorino.

Distretto che prende il nome da via Gallarate ma che si collega ad essa solo in pochi punti: viale Alcide de Gasperi, via Bolla, via Torrazza e via Appennini.

Ad esempio, tra via Gallarate e via Uruguay corre ancora oggi una fascia verde rigogliosa e selvaggia che potremmo definire come l’ultima parte superstite del famoso Bosco della Merlata. Diciamo che il “bosco” nel corso del tempo pare essersi impossessato nuovamente del suo spazio in questo punto di Milano. Infatti lungo questo tratto di via Gallarate a lato del Cimitero Maggiore si trovano terreni improduttivi e abbandonati da decenni, un tempo occupati da magazzini, piccole industrie e cave.

Qui di seguito l’area di via Cefalù.

Percorrendo via Cefalù, una via ad anello che si addentra per un centinaio di metri e torna a ricollegarsi con via Gallarate, si viene catapultati in un’altra realtà, pur essendo circondati dalla città, ci si ritrova quasi in campagna. Nuovi insediamenti stanno sorgendo in zona e di nuovi ne sono programmati, come il nuovo complesso residenziale di via Gallarate 265 angolo con via Luigi Rizzo che vedrà sorgere (probabilmente) EcoDistrict. Ma un’altra minaccia incombe nel piccolo lembo di verde selvaggio della zona, quello che riguarda il Centro Sociale, Ricreativo e Sportivo ad uso dei dipendenti del Corriere della Sera aperto alla fruizione dei cittadini di quartiere.Si tratta di un’area ancora non edificata, preziosa all’interno del panorama urbano milanese, un pezzo di natura in città rinfrescata da 406 alberi di ben 55 specie diverse.
Questo luogo svolge oggi un ruolo importante, perché migliora la qualità ambientale del quartiere, già interessato da recenti interventi edilizi, e della città stessa. Infatti l’area è stata inserita nel processo di dismissione degli immobili e delle aree di proprietà di RCS MediaGroup e rischia di subire un inevitabile stravolgimento.

Intanto l’area in questa stagione torna ad inverdirsi anche se, come si vede dalle immagini, purtroppo in parte è diventata una discarica e di sicuro, lasciata così, non ha motivo d’esser, ma sarebbe tanto bello che venisse tutelata e convertita in parco, come unico rimasuglio di quel famigerato Bosco della Merlata senza più banditi però.

Fonte: Francesco Liuzzi di Milano Sparita; Le Strade di Milano”, Newton Peridici 1991; “Le Città nella Storia d’Italia” – Milano, Edizini la Terza 1982; “Milano il patrimonio dimenticato” di Roberto Schena; La pagina Facebook de Il curiosone;

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Per l'utilizzo delle immagini scrivere a info@dodecaedrourbano.com

12 commenti su “Milano | Gallaratese – Il bosco della Merlata e quel che ne rimane”

    • la cosa più ridicola semmai è che tu, da analfabeta funzionale par tuo, non avendo capito nulla dell’articolo possa fare un commento così scervellato..

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    • Ma come si fa a sparare certe ca… senza aver letto? Han scritto più volte che si tratta di un’area risicata. Sott’inteso c’è scritto che forse, il Comune dovrebbe tenerne conto e salvaguardarlo senza darlo alla speculazione imminente.

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  1. l’articolo storico lo ritengo, personalmente, di interesse. Il problema, sempre a mio parere modesto e personale, è che con la fame di denari per le casse del comune, invece di salvaguardare il verde pubblico (anche quello incolto come in questo caso) possa vendere l’area o far sviluppare altre edificazioni. E per una giunta che vanta, tra le sue bandiere, 3 milioni di alberi entro il 2030 ma continua a far abbattere alberi ad lato fusto … si spiega da sè !!!!

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  2. Ma dai! Non ho mai realizzato che Uruguay sia così vicina al Maggiore e che in mezzo ci fosse questa fascia verde. Pierfrancesco Maran dovrebbe tutelare questo spazio verde, altro che speculazione.

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  3. Complimenti per l’articolo Roberto Arsuffi!
    Sto immaginando un bosco continuo che unisce il mio lago Maggiore con la Certosa di Milano e penso ai miei compagni universitari che scherzosamente mi davano del montanaro..
    Stes

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  4. Interessante, ma manca un pezzo della storia. Nell’Ottocento, il progetto Castello-Parco-corso Sempione è stato modellato chiaramente sul modello parigino Louvre-Tuileries-Etoile. E dall’Etoile il viale si stacca per portare al Bois de Boulogne. Il Bosco della Merlata (di cui al tempo erano ancora presenti vaste parti) avrebbe dovuto appunto essere il Bois de Boulogne di Milano, e il Comune aveva già iniziato a comprare le aree. Solo, al tempo serviva anche un nuovo cimitero. Così, con tipico pragmatismo milanese (un po’ meschino, in verità) al posto del Bois adesso abbiamo il Maggiore

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