Per la serie di interviste di Urbanfile, abbiamo incontrato Andrea Cherchi, il fotografo premiato Ambrogino d’Oro, che con i suoi scatti racconta Milano in tutte le sue sfaccettature.
Quando si parla di fotografia a Milano c’è un nome che compare ormai da qualche anno sulla bocca di tutti: Andrea Cherchi. Ci potresti raccontare un pochino chi è Andrea?
Andrea è una persona normalissima con una passione incredibile per Milano, per le cose belle e che traduce tutto questo in fotografia. Io, tra l’altro, sono un autodidatta: non ho mai frequentato scuole di fotografia quindi sto sempre imparando. Scopro cose nuove ogni giorno, soprattutto esplorando Milano attraverso storie particolari. Racconto le persone semplici e le storie semplici, come quelle legate al volontariato. Da queste storie emerge una Milano meravigliosa, avveniristica, affascinante, storica e tanto altro ancora. Ma per me tutto ruota sempre intorno alle persone.
In realtà, tornando indietro nel mio percorso, ho iniziato studiando alla scuola interpreti e poi mi sono laureato in lingue. A quel punto avrei potuto fare l’interprete – ero anche piuttosto bravo – ma ho deciso di seguire il mio sogno: il giornalismo. Così ho lavorato per anni come giornalista e fotoreporter per piccole testate, cimentandomi anche nella televisione e nei fotoreportage. Ho sempre avuto una grande passione per le storie e per aiutare le persone, un filo conduttore che mi ha portato a fondare, da pochi anni, la pagina Semplicemente Milano.
Ad ogni modo, da sempre ho lavorato con la fotografia, cominciando in un’epoca in cui ancora si usava il rullino. Sono cresciuto insieme all’evoluzione della macchina fotografica.
Diciamo che da sempre Andrea è un fotografo che dietro all’obbiettivo mette prima il cuore degli occhi. In tutti questi anni, nei quali hai rappresentato momenti più o meno belli e facili di Milano, hai immortalato migliaia di persone. Quali sono i 2 o 3 episodi o incontri che ti hanno emozionato di più?
Uno degli incontri che mi ha emozionato di più è avvenuto all’inizio della pandemia, quando, tra le misure precauzionali, hanno deciso di chiudere le case di riposo ai visitatori. Mi trovavo al parco del Portello e ho visto una signora, Emanuela, in piedi su una panchina. Lei mi ha riconosciuto e mi ha detto di seguire la mia pagina. Si è creata subito una certa confidenza, così le ho domandato cosa stesse facendo lì in piedi. Lei mi ha risposto: “Sto salutando mia mamma che è in casa di riposo. Guardala, è alla finestra. Io non posso entrare, non posso visitarla, ma la saluto da qui.”
Quella foto, oltre ad avermi portato tanta fortuna professionale, è diventata un simbolo di ciò che per me dovrebbe fare la mia fotografia: raccontare una storia. Tecnicamente non era perfetta perché scattata al volo: la madre è venuta più piccola rispetto alla figlia e altri dettagli non erano precisi. Eppure, mi è rimasta nel cuore perché da quell’incontro è nata una splendida amicizia con Emanuela e poi perché per me quella fotografia rappresenta pienamente il mio lavoro.
Un’altra immagine a cui sono molto legato è quella scattata al tramonto dal ponte dell’Annone, sul Naviglio Pavese. In lontananza si vedono la Torre Velasca e la Madonnina, mentre al centro della scena c’è Simone Lunghi l’“angelo dei Navigli” e, anche lui, Ambrogino d’Oro. Simone Lunghi sensibilizza le persone alla pulizia, all’ordine e al rispetto della città. Quella foto ha un significato particolare per me, sia per la bellezza del tramonto sia per l’amicizia incredibile che mi lega a Simone. Anche questa immagine mi ha portato fortuna.
Tuttavia, devo dire che non mi lego mai a una fotografia in particolare, ogni mia foto vale tanto. Se ti leghi troppo a uno scatto, rischi di rimanere bloccato, cercando di emularlo o di ottenere un successo maggiore rispetto a quella singola immagine. Per me tutte le foto sono importanti e lo dimostrano i 5 milioni di scatti che ho accumulato. Quando un editore mi chiede di selezionare una trentina di immagini, per esempio, io ne mando sempre duecento. Nel momento in cui mi fanno notare che ne avevano richieste molto meno, rispondo che è molto doloroso scegliere le foto, preferisco che siano altri a farlo.
Finalmente è arrivata la Benemerenza del Comune di Milano. A chi la dedichi?
Assolutamente a mio papà. Mi dispiace tantissimo che non ci sia più perché lo avrei portato al Dal Verme e lui, da milanese doc, sarebbe stato davvero felice di vedere suo figlio in un’occasione così speciale.
Mio papà e mia mamma mi hanno adottato quando avevo 2 anni. Mi hanno letteralmente salvato la vita, mi hanno salvato dall’abbandono. Mio papà, in particolare, è il mio eroe, il mio supereroe. Se esiste un supereroe, per me è lui. Dedico tutto a lui. Mi piacerebbe salire su un bel grattacielo di cento piani, avvicinarmi a lui e porgergli la pergamena di persona.
Lavori tutti i giorni a Milano, ma poi ogni sera torni a casa, addirittura in un’altra regione. Non hai mai pensato di trasferirti nella nostra città? Oppure vivere fuori è il tuo punto di forza per avere una sguardo sempre attento e mai scontato?
No, assolutamente. Io ho vissuto a Milano per tanto tempo e mi è sempre piaciuto farlo. È stata una scelta trasferirmi: mia moglie è di Vercelli quindi ho rispettato la sua decisione di rimanere in quella città, anche perché lei lavorava in quella zona e mia figlia ha costruito le sue amicizie lì.
Torno a Milano ogni giorno e, quando serve, mi fermo a dormire senza alcun problema. Non mi pesa affatto questo ritmo, anzi: quello che mi pesa davvero è non essere a Milano. Perciò, la mattina parto presto, rientro tardi la sera, e a volte resto in città per necessità. È un equilibrio che funziona perché io sto bene sia a Milano che a casa.
La foto che non hai ancora fatto ma che aspetti da sempre?
Direi proprio una foto con gli UrbanFiler tutti incravattati! Ho tante foto con voi, ma Marco Montella è sempre vestito sportivo. Io voglio immortalare gli UrbanFiler in smoking, questo è il mio più grande sogno.
A parte gli scherzi, è una domanda che mi fanno spesso, ma faccio fatica a rispondere. Ogni giorno vivo esperienze personali e umane molto profonde, raccontando storie di solidarietà e volontariato. Per questo credo che la “foto che non ho fatto” non esista davvero. A livello umano ed emotivo, penso di aver già scattato immagini importanti, quelle che contano davvero.
Si dice che Milano sia sempre in costante mutamento. Dopo gli anni in cui sembrava che tutto fosse possibile, ora si avvertono segnali che forse sta cambiando di nuovo e che forse necessità di rivedere la proprie priorità. Da osservatore privilegiato, che cosa vedi?
Quello che vedo in Milano è una crescita costante. Lo noto dai cantieri, dalle gru, dagli edifici che continuano a salire. È una città in continua evoluzione.
Se però mi permetti di andare un po’ fuori tema rispetto alla domanda, ciò che osservo con maggiore attenzione è un cambiamento radicale nella forma di umanità di Milano. Te lo dico da milanese: dalla pandemia in poi, la città ha acquisito una consapevolezza incredibile a livello umano, sociale e nei rapporti tra le persone. Milano è cresciuta tantissimo in umanità.
Ovviamente, questa è la mia percezione personale e ci saranno sempre punti di vista diversi, ma per me questa crescita a livello umano è la trasformazione più significativa.
Come fai ad entrare ovunque per le tue foto?
Intanto conoscendo gli UrbanFiler! A parte questo, dopo tanti anni di lavoro incontri molte persone e alcune di loro si legano a te nel tempo. Oltre a fare il fotografo, collaboro con moltissime istituzioni, sia private che pubbliche, che mi aprono le loro porte con fiducia. Questo perché chiedo di raccontare non solo la loro realtà, ma anche la loro umanità. Ed è proprio grazie a questo rapporto di fiducia che spesso riesco ad accedere anche agli ultimi piani dei grattacieli, agli edifici più iconici e ai palazzi storici.
All’inizio, però, non era così semplice. Quando suonavo i campanelli delle case spesso mi mandavano via in malo modo. Oggi, invece, suonando i campanelli delle case capita che mi dicano: “Aspetta, ma io ti seguo!”. È una cosa bella, mi fa piacere vedere questo cambiamento.
C’è qualcuno che invece ancora non ha aperto la porta e che vorresti l’aprisse?
Assolutamente sì, ci sono ancora tantissimi luoghi che sogno di raccontare. Per esempio, vorrei tornare sulla Torre Rai in Corso Sempione. Mia mamma ha lavorato lì e, anche se mi hanno già fatto salire una volta, il mio desiderio sarebbe quello di fotografare anche gli studi della Rai. È un sogno, ma so che non è semplice.
Sicuramente hai tanti seguaci, ma hai anche degli haters?
Certo, come tutti! Spesso si tratta di persone che pensano che parlare male di Milano sia un must. Ogni volta che pubblico una foto dicendo quanto sia splendida la città, sotto trovi sempre almeno tre o quattro persone che scrivono cose come: “Non mi piace, mi fa schifo, detesto Milano.” Questi sono gli haters.
Tuttavia, proponendo gentilezza, come cerco di fare io, gli haters mantengono un tono abbastanza contenuto. Certo, il tono polemico ogni tanto si sente, ma non mi pesa. Milano non può piacere a tutti, in generale non si può piacere a tutti.
Fortunatamente non ne ho tantissimi, probabilmente perché propongo contenuti gentili e non impongo mai la mia opinione. In ogni caso non avrei diritto di farlo, anch’io sto crescendo e imparando.
Qualcuno però ha fotografato il nostro amico Andrea…
Referenze immagini: Andrea Cherchi
Andrea Cherchi sei bravissimo a raccontare Milano proprio così come la vediamo noi comuni cittadini. Un sentito ringraziamento x quello che fai ogni giorno e x le belle immagini che sanno trasmettere grandi emozioni.
Riconoscimento meritatissimo.
Continua così.