C’è un vero gioiello nel centro della città: Palazzo Borromeo. Purtroppo l’edificio, essendo privato, non è visitabile se non attraverso specifiche richieste ai proprietari.
Questo capolavoro costituisce per importanza ed integrità l’esempio più rilevante di residenza privata architettonicamente ascrivibile al periodo gotico. Le parti più antiche del complesso sono tardo-trecentesche e risalgono al momento dell’arrivo a Milano della famiglia, di origine fiorentina. Ricchi mercanti, i Borromeo entrarono presto in contatto con i duchi – Giovanni e Vitaliano furono ad esempio consiglieri di Francesco Sforza – e acquisirono progressivamente tutte le proprietà che si estendevano fino alla contrada dei Morigi e di S. Orsola; nel 1442 acquisirono poi il giuspatronato sulla chiesa di S. Maria Podone. L’aspetto originario della costruzione è conservato solo in alcune parti, dopo i numerosi rimaneggiamenti, i danneggiamenti a seguito dei bombardamenti del 1943 e i successivi restauri condotti nell’immediato dopoguerra da Ferdinando Reggiori.



Il palazzo è formato da un complesso di corpi di fabbrica edificati per addizioni successive sfruttando in parte fabbricati preesistenti; privo di un progetto unitario, esso forma una sorta di articolata “cittadella”, di totale irregolarità planimetrica. La facciata su piazza Borromeo è assai sobria, con paramento in mattoni a vista, e conserva tracce della fondazione ancora trecentesca nelle piccole finestre quadrangolari dalla forte strombatura. Al centro è posto il grande portale di inizio Quattrocento, con arco a sesto acuto su robuste spalle; l’archivolto presenta conci alternati in marmo rosa di Candoglia e rosso di Verona ed è riquadrato da un largo fregio con cordonatura e motivi a tralci di vite e foglie di quercia, che ricorda il piano terreno di Casa Panigarola. A sua volta inserito all’interno di una sottile cornice marmorea, l’arco è concluso da una cuspide che raffigura il dromedario coronato, uno degli emblemi araldici dei Borromeo.
La sala centrale del piano terreno è affrescata con un ciclo di soggetto profano scoperto durante i lavori di recupero che seguirono i bombardamenti del 1943. Le scene occupano senza soluzione di continuità tre pareti della sala, mentre la quarta è perduta. Si tratta della raffigurazione di alcuni “giochi”, come quello della palla o quello dei tarocchi, i passatempi cioè della classe nobiliare della società del tempo. L’anonimo frescante, convenzionalmente denominato Maestro dei Giochi Borromeo, si mostra debitore dei modi tardogotici del Pisanello e di Masolino da Panicale. Per i referenti stilistici esibiti, oltre che per la foggia degli abiti (alcune parti erano originariamente finite a oro) gli affreschi sono databili agli anni Quaranta del Quattrocento e sono stati individuati dalla critica come modelli di riferimento per una serie di cicli a soggetto profano collocati in alcune residenze nobiliari lombarde (ad es. Oreno e Masnago).