Milano | NoLo – Il quartiere inventato, rinato ma anche amato e odiato

Per lungo tempo l’odierno angolo incastrato tra il rilievo ferroviario della Stazione Centrale, via Padova, viale Brianza e Loreto non aveva nome. La gente si riferiva chiamandolo con elaborati appellativi: tra Loreto e la ferrovia; zona Monza (che poi Viale Monza è lungo più di 3 km); zona Pasteur; zona Rovereto; la zona di via Venini… e così via, senza avere una vera e propria identità; in un tempo molto antico, un tempo qui vi era la frazione di Greco di Pasquee di Seveso e la zona della Bellingera, viste le due cascine qui presenti che portano questo nome e ora scomparse completamente. Oggi invece viene chiamato NoLo acronimo di Nord Loreto, amato da chi ci abita e odiato da molti “esterni”. Noi cercheremo di darne una descrizione più o meno completa e magari vi facciamo venir voglia di farci un giro.

Anzitutto la leggenda vuole che il nome sia stato creato in un bar di New York.

«Artisti, professionisti e giovani abitanti: è stato quel primo fermento a ispirarci», racconta Francesco Cavalli al Sole24Ore, fondatore e direttore creativo di LeftLoft, studio di design e marketing con sede a Milano e New York. «L’idea di NoLo è sbocciata negli Stati Uniti, circa cinque anni fa. Ero al Brooklyn Social bar con Luisa Milani e Walter Molteni, grafici dello studio La Tigre, scherzando tra un bicchiere e l’altro sulla possibilità di creare un brand di quartiere, un contenitore “adatto” alla trasformazione. A conti fatti – sottolinea il noler Cavalli – s’è rivelata un’operazione di branding a costo zero, realizzata con il passaparola, abbiamo cominciato a usare questo nome, che ha preso a circolare».

Confini approssimativi del quartiere di NoLo – Nord-Loreto

Infatti il problema era come definire l’area che si allarga a nord di piazzale Loreto arrivando poi a chiamarla come Soho, come Tribeca, come NoLo, appunto Nord Loreto.

Così ecco l’acronimo che lentamente si è fatto strada sino all’ufficializzazione da parte del Comune di Milano.

Da anonima periferia qual era, oggi abitare nel quartiere pare sia di tendenza. Una crescita di locali e piccole botteghe lo sta rigenerando senza stravolgerlo e sopratutto, per ora, senza trasformarlo nella ‘fighetta’ Isola. Qui si è scoperta anche una grande comunità social, riunitasi su Facebook e Instagram, ma che alla fine si ritrova nei locali sotto casa.

Ma cos’era NoLo prima di NoLo?

Anzitutto, tornando indietro nel tempo, la zona era campagna aperta sino a metà Ottocento. Ci saremmo trovati nel Comune autonomo di Greco (Pasquee di Seveso) e in parte quello di Turro. Tra il nucleo di Greco e il confine col Comune di Milano vi erano alcune cascine, come la Cascina Bigli, la Cascina Bellingerella e Bellingera (dove oggi si trova lo slargo di via dei Transiti). Qui vi scorrevano diversi corsi d’acqua e fontanili, soprattutto il famoso Acqualunga, il fontanile che alimentò la città romana e medievale per lungo tempo e che scorreva nel settore orientale dell’odierno quartiere (via Andrea Costa). Ma vi scorrevano anche il cavo Brioschi, il fontanile Santa Corona e il Tre Once.

Nel 1904 l’amministrazione comunale grechese cedette alle pressioni di quella milanese onde addivenire ad una revisione di confine a favore del capoluogo, che poté così completare la costruzione della circonvallazione (viale Brianza) prevista dal piano Beruto come nuovo limite dell’espansa città meneghina. Tra le aree cedute rientrarono l’odierno piazzale Loreto e la zona della futura stazione Centrale.

Lentamente il Comune di Greco, che in sessant’anni dall’unità d’Italia era letteralmente decuplicato, passando da duemila a ventimila abitanti, si stava espandendo, naturalmente urbanizzando i terreni verso viale Monza e Loreto.

Vennero disegnate le nuove vie già in previsione di collegarsi al Comune di Milano e con il nuovo tracciato per la ferrovia che avrebbe portato alla nuova stazione ferroviaria.

Via Libertà e via Marconi (oggi via Venini) formavano l’asse principale, via Popoli Uniti, via Libero Pensiero (oggi Varanini), via de Amicis (oggi Oxilia) e via Insegnamento (via Sauli) erano vie laterali, mentre piazza della Libertà poi 4 Novembre (piazza Morbegno) era il cuore del nuovo quartiere che stava crescendo. Le architetture della zona riflettono ancora il primo periodo di sviluppo del quartiere: liberty, eclettico e art déco iniziarono a tempestare le nuove strade.

NoLo-Greco – L’attuale Piazza Morbegno, al tempo nel comune di Greco col nome di 4 Novembre

Nel 1923 il Comune di Greco fu annesso definitivamente nel Comune di Milano assieme ad altri comuni limitrofi alla città.

Subito, vista la crescita del quartiere, fu necessaria anche una nuova chiesa per la comunità. In principio la scelta per l’edificazione cadde su un terreno lungo Viale Monza (dove oggi sorge il mercato coperto di via Crespi); poi venne proposto un sito lungo Via Sauli, ma, visto lo scarso spazio a disposizione, si dovette cercare altrove. Finalmente fu trovata un’area sufficientemente ampia in Via Oxilia (allora ancora chiamata Edmondo De Amicis).

Prima chiesa progettata dalla prestigiosa Scuola d’Arte intitolata al “Beato Angelico”(fondata da monsignor Giuseppe Polvara nel 1921), la moderna Santa Maria Beltrade, sorta in via Oxilia, vale davvero una visita, forse più per l’interno decorato che per l’esterno che, tutto sommato, appare alquanto anonimo. La nuova chiesa venne consacrata nel 1927 e si può definire come un esempio di edificio Art Decò camuffato in forme neo-romaniche. Al suo interno si custodisce la statua Settecentesca della Madonna seduta dei Sette Dolori.

Di fronte alla chiesa si trova il palazzo di via Oxilia 13, bell’esempio eclettico con due specie di bovindo terminanti con un timpano gotico.

Cuore del quartiere è senza alcun dubbio la graziosa Piazza Morbegno. Qui troviamo vari esempi di architettura, come la bella palazzina d’angolo tra via Venini e Via Nicola D’Apulia, realizzata in un discreto liberty con bovindo centrale. Altre palazzine liberty agli angoli, tra cui spicca però per completa modernità e la più preziosa architettonicamente parlando, Casa Lavezzari, realizzata nel 1935 su progetto di  Giuseppe Terragni.

Una nota di critica ai progettisti dell’arredo urbano, che come al solito progettano sulla carta e poi la gente si arrangia creando sentieri per accorciare i percorsi… così dall’edicola si dipartono due sentieri che unendosi conducono sul lato opposto della piazza, dove, in teoria, non ci sono attraversamenti. Altro problema della piazza sono i parcheggi selvaggi che si dispongono ai lati dell’aiuola centrale.

Via Venini, arteria principale che corre parallela a viale Monza e passa attraverso piazza Morbegno. La via è percorsa dal tram 1. Le architetture che possiamo ammirare nella via sono principalmente appartenenti ai primi decenni del Novecento, quasi tutte in stile Liberty e Art Decò.

Segnaliamo alcuni begli ed interessanti esempi: via Venini 23 – Casa Parva del 1924, coi suoi mosaici al primo piano abbastanza particolari; i civici 24 e 26 riccamente decorati, con graffiti; l’incredibile ricchezza di decori del civico 27 all’angolo con via Pietro Marocco, uno degli ultimi esempi di edificio eclettico realizzato nel 1925; passiamo al civico 39 all’angolo con la via Privata Oldrado da Tresseno realizzato sicuramente negli anni Trenta, presenta una scenografica composizione d’angolo stondata con balcone circondato da due gruppi di colonne; come non ammirare la casa d’angolo con la via Privata Oldrado da Tresseno (dove si trova l’entrata principale al N°2) coperta in parte da un glicine che ne aggrazia l’aspetto austero, come fosse una donna col boa di struzzo. Qui vi dimorò Tiberio Pansini, medico e soldato, che fu tenente colonnello della seconda divisione Garibaldi, attiva in Valtellina e Valsassina; venne catturato, torturato e ammazzato dai militi della RSI poche settimane prima della Liberazione. Fino a Piazza Morbegno troviamo una lunga sequenza di case liberty, dove spicca quella che affaccia sulla piazza al civico 2; saltiamo all’angolo con via Martiri Oscuri, dove troviamo due interessanti edifici, la scuola Maddalena di Canossa, col suo splendido neo-barocco anni Venti, e lo stupendo palazzo di Via Martiri Oscuri 16, posto a cuneo sullo slargo formato dall’incrocio di 5 vie che potrebbe essere riqualificate.

In via Venini al civico 61 si trovava anche un’ex casa chiusa chiamata “Cavallino bianco”, che un tempo era la più frequentata della città. Prima della legge Merlin nel 1958, le case chiuse in città erano molte e le si poteva trovare soprattutto nelle zone più popolari.

Il liberty lo troviamo anche nelle vie limitrofe, come via Pietro Marocco, dove vi consigliamo di guardare attentamente le decorazioni dei palazzi.

Piazza Cotoletta… come viene chiamata affettuosamente dagli abitanti per la scelta del colore del catrame steso nell’area pedonale; in origine uno degli incroci molto ampi formato da 5 strade che convergono in un unico punto. Dopo la riqualificazione, avvenuta qualche anno fa, la piazza è stata resa pedonale, sono stati piantumati alberi e create delle aiuole, per poi essere ribattezzata ufficialmente Giardino degli Artisti.

Percorrendo via Soperga, ci possiamo imbattere in altre splendide architetture, come la moderna palazzina al civico 19 (a dire il vero fuori “quartiere”, ma ne vale la pena), dal disegno particolare anni Trenta del Novecento, tanto che è stata immortalata persino in un dipinto di Marco Petrus, famoso pittore di architetture eccezionali milanesi.

Ma anche altre architetture deliziano la via, in questo caso, comunque più degli anni Trenta che precedenti.

Prima di passare sul lato Est del quartiere, oltre viale Monza, volevamo segnalare anche un grazioso edificio decò al 21 di via Martiri Oscuri e poi il palazzo d’angolo con via Ferrante Aporti 60.

Menzioniamo anche alcune curiosità toponomastiche:

Via dei Popoli Uniti: il toponimo che vuole esaltare la concordia internazionale, non è un’invenzione dei nostri giorni, ma risale ai primi del Novecento. Toponimo che fu soppresso dal regime fascista che la dedicò allo squadrista milanese Eliseo Bernini (1902-1922), ucciso a tradimento all’angolo di questa via. Con delibera comunale, alla via fu restituito, nel 1945, il suo toponimo originario.

Via degli Elimosinieri: (a fondo chiuso) con questo nome si vollero onorare i dispensieri da papa Gregorio X (Tebaldo Visconti) a Roma nel 1274 istituiti per la gratuita distribuzione di medicinali ai poveri ed a Milano regolarizzati solo un secolo dopo per interessamento dei monaci di Sant’Ambrogio (qualcuno sostiene che qui vi fosse un piccolo convento, ma onestamente non abbiamo trovato traccia, anche se la via sembra appartenere ad un altro contesto).

Passiamo su viale Monza, dove volevamo senza alcun dubbio menzionare due case particolari: il Castello di Turro e il palazzo di via Bolzano 1.

Qui trovate la storia sul Castello di Turro o Castello di Pietra, una costruzione realizzata nel 1910 a forma di castello medievale e completamente rivestita in pietra.

Il palazzo di via Bolzano 1, invece, venne realizzato negli anni Trenta ed è, secondo noi, un piccolo gioiello d’architettura, imponente e con uno splendido disegno architettonico che sfrutta al meglio l’angolo smusso su viale Monza.

Altra meraviglia architettonica del quartiere è senza alcun dubbio il Mercato Coperto di via Crispi del 1933. A noi, e non solo, piacerebbe venisse riqualificato.

Sul lato Est di viale Monza troviamo altre interessanti architetture, come la casa “brutalista” di via Giacosa 47 e il palazzetto turrito all’angolo tra le vie Giocosa e Merano. Uno sguardo anche alla curiosa via Merano che si infila verso Turro sotto i ponti ferroviari. Le casette sono tutte di inizio 1900.

Molto belle anche le case liberty di via Rovereto all’angolo con viale Monza.

Segnaliamo, tra i palazzi di viale Monza in questa zona, anche la Casa Ferrario di viale Monza 51. Fu costruita nel 1906 per Enrico Ferrario, ex garzone di macelleria diventato straordinariamente ricco. Il palazzo vive in bilico fra uno stile un po’ kitsch e un neoclassicismo decisamente più compassato. La struttura è coronata da uno stemma gentilizio sorretto da due nudi dalle forme classicheggianti. L’uomo (la statua è un ritratto del padrone di casa) ammira una donna dall’atteggiamento vezzoso (la moglie, Carolina Reina) sulla sommità della facciata.

Svoltando in via dei Transiti, ora un contesto completamente moderno o quasi, fatta eccezione per la casa al civico 28, occupata da decenni, che è sicuramente uno stabile di fine Ottocento, troviamo un giardinetto e realizziamo che la via si allarga per poi stringersi e proseguire per via Padova. Qui si trovava l’antica Cascina Bellingera, oggi completamente scomparsa e dimenticat;, al suo posto (via dei Transiti 24) si trova un brutto palazzo moderno.

La Cascina Bellingera, che si trovava nella zona dell’attuale via dei Transiti in uno schizzo di Ugo Nebbia del 1909; da Milano che sfugge

Via dei Transiti: si tratta di una breve via con una vita toponomastica alquanto travagliata. Verso il 1906 si ebbe il toponimo di via della Bellingera, perché a nord di una curva, oggi raddrizzata prima di via Guinizelli (allora via Ponzio,) si trovava -ancora per poco- la cascina Bellingera, da non confondere con la Bellingeretta al di là di viale Monza. La riduttiva indicazione di “cascina” indicava la decadenza della dimora di campagna dei Bellingeri, famiglia patrizia milanese che si vantava di discendere da Rozone da Cortesella, il “maestro” della Zecca fondatore della chiesa di San Sepolcro nelle Cinque Vie, in centro. La dimora venne ceduta nel 1699 al conte di Vaudemont, ultimo governatore spagnolo di Milano, questi la fece sede di sontuosi e a volte piccanti ricevimenti, favoriti dalla florida verzura che la circondava. Dopo gli spagnoli, toccò ai chierici del seminario vescovile e infine a stallieri e carrettieri, che nel nostro secolo la condussero presto alla rovina attraverso il saccheggio di stemmi e camini marmorei che ancora la adornavano.
Scomparsa naturalmente anche la Bellingeretta, che s’affacciava su via Ferrante Aporti. Durante il periodo fascista la via cambiò nome e fu intitolata al torinese Aldo Sette, «il primo caduto del fascismo milanese» ammazzato all’angolo di via Insegnamento (oggi via Sauli) nel 1921. La discutibile commemorazione (il Sette era aggressore e non vittima) lasciò il posto nel dopoguerra all’oscuro toponimo attuale: forse riferibile alla vicinanza dei magazzini della Stazione centrale o forse perché permetteva un veloce transito tra via Padova e viale Monza.

Naturalmente a NoLo non manca la torre Eiffel (antenna Telecom) e la stranezza di una villetta che presenta delle decorazioni alquanto bizzarre, come gli insetti sotto il cornicione; siamo in via Pasteur 14.

Terminiamo il giro del quartiere con la bella chiesa moderna di San Gabriele Arcangelo in Mater Dei, in via Termopili. Viene progettata a partire dal 1956 dai fratelli Achille e Pier Giacomo Castiglioni su sollecitazione del Cardinale Giovanni Battista Montini, futuro papa Paolo VI, e la costruzione è ultimata nel 1959.

I fratelli Achille e Pier Giacomo Castiglioni, con il progetto della chiesa di San Gabriele, propongono una coraggiosa soluzione architettonica che si stacca in maniera netta dalla tradizionale immagine degli edifici per il culto, in particolare per l’originale prospetto. La facciata principale è composta dal volume dell’edificio destinato alle opere parrocchiali, allineato a filo strada con un prospetto elevato su quattro piani, quasi a confondersi coi palazzi confinanti. La chiesa è invece arretrata di alcuni metri, con l’ingresso preceduto e protetto da un ampio portico che si eleva sino al filo di gronda.

Internamente è caratterizzata da una sola navata, molto sobria ed essenziale. Interessante è l’illuminazione, che è graduale, proprio a rappresentare il simbolismo dall’ombra/buio alla luce; dettaglio che si può notare soprattutto nelle giornate di sole.

Per l'utilizzo delle immagini scrivere a info@dodecaedrourbano.com

10 commenti su “Milano | NoLo – Il quartiere inventato, rinato ma anche amato e odiato”

  1. E’ la prima volta da tanti e tanti anni che vedo un articolo di UF dove non si vede un palazzo che sia uno con una tag o una scritta, dove le auto son parcheggiate sempre bene, e dove ad ogni incrocio ci sono immancabilmente i dissuasori sui marciapiedi.

    Conoscendo un po’ la zona, c’è il rischio di dare quell’impressione un po’ finta e zuccherosa che si ha quando si legge la Lonely Planet prima di un viaggio e poi ci si va e …ci si fa un’opinione di persona. 🙂

    Comunque una serie di articoli un po’ “promozionali” sui nuovi 88 quartieri di Milano credo siano una buona idea – cioè spero farete anche i rimanenti 87!

    PS in realtà nelle foto ci sono anche le tag sui muri, son riuscito a trovarne una nella foto del Mercato Comunale (infatti è da riqualificare 😉 )

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  2. Grazie, è un caso che non siano comparse delle tag… comunque questo non è il primo articolo sui quartieri…

    Avevamo parlato del Casoretto:
    https://blog.urbanfile.org/2016/11/18/milano-casoretto-un-quartiere-eclettico-attorno-a-piazza-aspromonte/

    Precotto che abbiamo suddiviso in tre parti:
    https://blog.urbanfile.org/2017/04/30/xxxmilano-precotto-un-giro-per-il-quartiere-terza-parte/

    Quartiere Magenta:
    https://blog.urbanfile.org/2013/06/21/zona-magenta-un-bel-quartiere-di-fine-ottocento/

    Pratocentenaro:
    https://blog.urbanfile.org/2016/10/11/milano-pratocentenaro-il-quartiere-poco-conosciuto/

    e sicuramente anche altri…

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  3. molto interessante, grazie di aver pubblicato la storia e I luoghi di interesse.
    faro’ in tour all’interno del MIO NOLO

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  4. Di sicuro, per quanto triste possa sembrare ad alcuni, avere un nome contribuisce a dare identità ad un luogo e a dare orgoglio e senso di appartenenza, di riscatto.
    P.S. Al di là dello scadente arredo urbano a mo avviso Milano non è più brutta di molte città europee, la differenza sta nella nostra incuria ed indifferenza nel trattare la nostra città oltre al fatto che manchi un po’ di coerenza (tipo casermone anni ’50 di 7 piani accanto a villetta dell’800, ah il libero mercato)

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  5. Questo quartiere non è proprio una meraviglia si sa, ma è unico e ha un suo carattere forte. Se solo ci fosse un’associazione di quartiere (in questo come negli altri) che investisse concretamente sull’ immagine di questo quartiere diventerebbe allora una vera meta turistica per intenditori e non solo. Rifare le facciate, i marciapiedi, le aiuole, curare e sviluppare le aree verdi, illuminare i palazzi con luci adeguate, proporre un’ offerta culturale con un programma coordinato di attività, ecc…….allora si’ che diventerebbe una meraviglia. E tra l’altro i proprietari potrebbero anche vendere meglio i loro immobili. Le ricadute economiche sarebbero numerose, e i vantaggi sociali evidenti.Tutto questo si chiama strategia e pianificazione: 2 termini spariti dal nostro vocabolario….peccato!

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    • Se per lei la riqualificazione serve solo a fare “vendere meglio” gli immobili, ovvero alimentare la speculazione in un mercato già eccessivamente escludente le fasce deboli della popolazione (senza parlare della gentrificazione che sta subendo Nolo), ci teniamo con piacere il nostro modello, grazie… Tanto più che una associazione di quartiere c’è eccome, ed è ATTIVISSIMA, ma lei nella sua ignoranza parla di prezzi delle case. Sì vergogni.

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  6. Come mai non c’è il minimo accenno al Trotter? Gli avete dedicato molti altri articoli, ma qui almeno una citazione (magari semplici link) era doverosa, dato il ruolo storicamente importante che ha avuto la Scuola del Sole.

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  7. Cio che trovo veramente assurdo, ma anche molto ingiusto, è che questo gruppo di “creativi” che hanno inventato questo acronimo anglofono, dimostrando un provincialismo totale, abbiano fatto di tutto perchè diventasse il nome ufficiale di un vecchio quartiere storico che è sempre esistito con nomi differenti, che so Pasteur, Piazza Morbegno o via Venini etc. Si stava benone senza, nessuno ha mai sentito la mancanza di NoLo (north of Loreto). E google map ormai lo ha ufficializzato. Nessun abitante storico di questo luogo, come il sottoscritto, è stato consultato. Lo hanno deciso loro, persone che neanche sono abitanti storici di questa zona. Be dovremmo fare una contestazione a Google per porre fine a questa buffonata che serve solo a far alzare il prezzo degli affitti e delle case, a mettere le basi di una gentrificazione come tante che la nostra città ha conosciuto negli ultimi anni. L’unico risultato visibile è il pullulare di locali e bar con una pletora di beventi birra che lasciano poi i bicchieri e bottiglie in giro per il quartiere. Poi a mezzanotte se ne vanno, i bicchieri vuoti giacciono lì, e tutto torna come prima. Cioè un quartiere coi suoi problemi sociali che NoLo non risolverà di certo. L’unico impatto sociale è che i proprietari dei bar e le immobiliari si arricchiscono mentre gli abitanti non hanno nessun vantaggio materiale, specie i poveri e gli stranieri che qui sono moltissimi.

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