Nell’epoca del cambiamento climatico, le nostre città stanno diventando sempre più calde, meno vivibili, e spesso ostili per chi le abita. Le isole di calore urbano – quelle zone dove le temperature risultano sensibilmente più alte rispetto alle aree rurali – sono un fenomeno ormai misurato e studiato. Milano, ad esempio, può registrare in estate fino a 4°C in più nel centro rispetto alla campagna circostante. Il motivo principale? L’assenza di vegetazione, l’uso massiccio di materiali impermeabili come asfalto e pietra, e la scarsità di ombra.



Secondo uno studio del Politecnico di Milano, introdurre alberature nei contesti urbani può ridurre la temperatura superficiale fino a 10°C, migliorando il microclima, riducendo la spesa energetica per il raffrescamento e aumentando la qualità della vita.
Eppure, in molte piazze e vie storiche italiane, l’introduzione di alberi è vietata o fortemente limitata. Il motivo? Le Sovrintendenze ai Beni Culturali, che vigilano sulla tutela dei beni architettonici, paesaggistici e culturali, si rifanno spesso al principio della “conservazione storica”, impedendo modifiche significative ai luoghi così come erano in origine – anche se si tratta di ambienti oggi completamente esposti al sole, senza un albero, una tenda o una pensilina (o a volte persino modificati architettonicamente con interventi moderni).

Il ruolo delle Sovrintendenze
Le Sovrintendenze, organi periferici del Ministero della Cultura, hanno il compito di tutelare il patrimonio storico-artistico nazionale. Possono esprimere pareri vincolanti su qualsiasi intervento in aree sottoposte a vincolo culturale o paesaggistico. Questo significa che anche una semplice piantumazione di alberi o la sostituzione della pavimentazione può essere bloccata se ritenuta “non conforme” alla storicità del luogo.
Ma oggi, in un mondo che cambia rapidamente, ci si chiede: questa rigidità ha ancora senso?


La città storica è anche città viva
Se una piazza medievale, nel corso dei secoli, è rimasta priva di vegetazione, è giusto che continui a restarlo anche quando le condizioni climatiche sono radicalmente mutate? È più importante “vedere” integralmente una facciata o permettere alle persone di viverci davanti, all’ombra di un albero, in condizioni di comfort?
Emblematico il caso di piazza Cordusio a Milano, il cui progetto di riqualificazione, attualmente in corso d’opera, è stato più volte modificato perché gli autori pretendevano di inserire fioriere alberate che avrebbero “contaminato” un luogo storico e monumentale pensato sin dal principio senza alberature o aiuole. Ma anche Roma ha visto recentemente un caso simile, Piazza Augusto Imperatore, dove, dopo anni di lavori è stata restituita ai pedoni, in modo impeccabile, una porzione di piazza, bella, per carità, ma in questi giorni di caldana è un deserto perché non un centimetro d’ombra e la bella pavimentazione l’ha resa una superficie incandescente.



Molti amministratori locali e urbanisti iniziano a domandarsi se non sia il caso di bilanciare la tutela con l’adattamento climatico. In alcuni casi, i progetti di forestazione urbana leggera o l’inserimento di pavimentazioni innovative vengono bloccati proprio per via dei vincoli delle Sovrintendenze. Ma i dati parlano chiaro: secondo l’ISPRA, le città italiane perdono ogni anno oltre 600 ettari di suolo naturale, e gli alberi e il suolo permeabile urbano, oggi più che mai, sono una risorsa strategica.
Pavimentazioni drenanti e depavimentazione: strumenti per il clima urbano
Non solo alberi: anche il suolo sotto i nostri piedi può fare la differenza. Le pavimentazioni tradizionali – come l’asfalto o le pietre cementate – rendono il suolo impermeabile, contribuendo al surriscaldamento e all’aggravarsi degli allagamenti durante le cosiddette “bombe d’acqua”. Le pavimentazioni drenanti, invece, permettono all’acqua piovana di infiltrarsi nel terreno, riducendo i flussi verso la rete fognaria e contribuendo alla ricarica delle falde.
Anche la temperatura ne trae beneficio: materiali drenanti e chiari riflettono più luce e trattengono meno calore rispetto all’asfalto o alla pietra scura, aiutando a mitigare le isole di calore.
Un altro approccio innovativo è quello della depavimentazione urbana, ovvero la rimozione di superfici impermeabili non più necessarie (come vecchie aree pedonali o parcheggi in disuso) e la loro trasformazione in aree verdi o spazi pubblici permeabili. Questa strategia è già in atto in città come Eindhoven o Lovanio, ed è stata raccomandata anche in Italia da più istituzioni ambientali. Nei centri storici potrebbe voler dire ridurre l’eccesso di pietra per fare spazio a superfici drenanti o moduli verdi rimovibili, senza compromettere l’estetica del contesto.
Serve un nuovo patto tra cultura e clima
L’obiettivo non è trasformare le piazze storiche in giardini o cambiare la loro natura, ma renderle abitabili anche nel nuovo contesto climatico. Un albero può non esserci mai stato, ma oggi potrebbe essere ciò che ci manca per vivere meglio lo spazio urbano. Lo stesso vale per un pavimento drenante o per un’aiuola dove prima c’era solo cemento.
È tempo che le Sovrintendenze diventino alleate dell’adattamento climatico, contribuendo a soluzioni rispettose ma evolute. Perché conservare significa anche permettere alla storia di continuare, senza condannare i nostri centri urbani a un’immutabilità che oggi rischia di diventare insostenibile.
- Referenze immagini: Roberto Arsuffi
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Lanciate una petizione come UrbanFile, sono 1.000 firme per il comune di Milano e 50.000 per il Parlamento. In questi giorni di infermo le firme le trovate in meno di 24 ore. Io saro’ il primo a firmarla
Avete ragione. Lanciate una petizione su come UrbanFile. Per il comune di Milano bastano 1000 firme e per il parlamento 50.000 per farle avere valenza consultativa. Con questo caldo le firme le trovate in 24 ore.
Ve la firmerei subito
Ma se non si riesce ad alberare correttamente le zone nuove (vedasi villaggio olimpico) – questà cittá ha perso completamente la visione di se stessa e del proprio futuri – diventando una semplice pedina di immobiliaristi e palazzinari
Faccio notare che nella prima immagine gli alberi sono posizionati in via Dante, infatti la piazza Cordusio è solo l’ellisse, lo slargo a sud del Cordusio è già via Dante.
Bravi
Questi ragionamenti devono entrare nelle teste rigide dei dinosauri da cattedra. Ma è mai possibile che non si rendano conto dei danni che fanno a non prevedere il verde come elemento centrale di una progettazione?
Si dicono preoccupati per lo sfregio alla monumentalità, per la prospettiva strozzata, per la facciata coperta? Gli alberi sono intralcio al pedaggio urbano? Oggi è necessario. Devono esserci alberi.
Punto.
Se un giorno saremo riusciti a debellare il cambiamento climatico, restituiremo tutta la monumentalità alle città, ma oggi è essenziale non trasformare in un braciere le piazze e le vie e mitigare il cambiamento climatico.
Applausi
Totalmente d’accordo su tutto.
Unico appunto, si chiama Soprintendenza, con la P 😉
Coraggio, ce ne vuole tanto per convincere le menti ottuse. Non cedere alle lobby retrograde e ai fondoschiena pesanti. Via le auto, parcheggi a pagamento per tutti, compresi i residenti, sottoterra dove possibile. Piste ciclabili, sviluppare un servizio di cura del verde efficace e potenziare il transporto pubblico. È quello che é in atto a Parigi, non senza polemiche e mugugni, ma stanno andando avanti senza piegarsi e la città diventa sempre più vivibile e bella.
Insisto nel dirvi: candidatevi, cercate di infilarvi in qualche ruolo comunale. Siete gli unici con una visione di milano corretta, indiscubitile, oggettiva – In ogni proposta riscontro rispetto di ciò che è pre-esistente e, al contempo, soluzioni reali, concrete (migliorie).
Milano è stupenda, ma ora manca VERDE (e acqua.. ci siamo capiti).
Per renderla si più bella ma sopratutto più vivibile.
Che senso ha una via/piazza mantenuta “come era in origine” è un modo di tenere in vita il passato ma se una zona viene da tutti evitata per via del suo calore insostenibile, la si dovrebbe considerare viva o morta ?
Capisco che la Soprintendenza sia facile bersaglio dei nostri giusti strali, ma non dimentichiamoci che come Comune siamo totalmente avulsi da qualsiasi minima attenzione all’aspetto del cambiamento climatico nella progettazione degli spazi pubblici.
Guardiamo alle ultime piazze, al villaggio Olimpico, ai rifacimenti in superficie della MM4.
Approcciata in modo dilettantesco, credo che giustamente la Soprintendenza abbia qualche dubbio a trasformare una piazza Ottocentesca in un boschetto.
Nel contesto di un nuovo modo di progettare la città, non credo sarebbe poi troppo rigida.
occorre anche pensare a quali specie piantumare, per evitare che muoiano o secchino come i tanti giovani alberi secchi in giro.
Se si investe con cervello invece che con altri parti del corpo la soluzione è una cosa semplice . Meno asfalto , meno cemento più alberi e sempreverdi. E introdurre essenze capaci di svilupparsi rapidamente e che reggono la siccità. La città è di chi la abita non di chi la abitava .
Anni fa, la propaganda mediatica, incessante, sul caldo non c’ era però:
il caldo c’ era già e le amministrazioni quello che si chiede nell’ articolo già lo facevano.
Vorrei fare alcuni esempi:
zona sud est della città; alberatura, con pista ciclabile, del cavalcavia di corso Lodi:
alberatura di via Colletta, una delle vie ex-industriali più deprimenti, totalmente trasformata da bellissime roverelle; alberatura dei marciapiedi lungo piazza Insubria.
Più verso il centro, via Mameli, dove sono state posizionate aiuole con arbusti fiori e alberi
Zona sud: via pezzotti, irriconoscible. in meglio, dopo la piantumazione di bellissimi platani lungo la metrotranvia.
Zona Sempione, via paolo Sarpi, semipedonale e con aiuole
In centro: la prima parte di piazza san Babila è stata pedonalizzata e pavimentata, sì, ma con grandi aiuole a forma di collinetta, con arbusti e una grande fontana, non il massimo dell’ estetica, ma anni luce meglio dello squallore che hanno fatto ora.
Piazza della Scala, ripavimentata, ma insieme a stupendi tigli, che creano un’ oasi di ombra e fresco.
Davanti al castello, dove fu rimessa la splendida e refrigerante fontana, ora hanno pensato di circondarla dalla sabbia del sahara: sfido chiunque a non provare disagio e ancora più caldo nel calpestare il “fenomenale” calcestre con il caldo che c’è.
Più straparlano di ambiente e si autoproclamano ambientalisti, con il copyright, meno lo sono e meno fanno.
Ipocrisia pura nel bloccare aree verdi per non inquinare il paesaggio storico e al contempo non fare assolutamente niente per evitare la sosta selvaggia. Diversi attori coinvolti, certo, ma la contraddizione è evidente