Viale Monte Grappa fa parte della cerchia di viali (che poi non tutti sono veri viali, visto che non hanno alberi) che, esterni alle mura del 1500, circondano la Milano antica. Tutti o quasi tutti questi viali sono stati dedicati ad episodi o luoghi legati alla Prima Guerra Mondiale come: Pasubio, Premuda, Vittorio Veneto, Monte Nero, Sabotino, Bligny, Coni Zugna e Gorizia.
Forse non tutti se ne sono resi conto, ma, fra tutti i viali di Milano, Monte Grappa è quello più ricco di architetture e luoghi importanti, pur essendo abbastanza corto.
Purtroppo, come si vede dalle foto, tutti questi gioielli architettonici sono veramente buttati lì come degli stracci, senza dare alcuna importanza al luogo e alle architetture stesse. Marciapiedi larghi a sproposito, senza alberature, oppure marciapiedi troppo stretti, come davanti alle Cucine Economiche. Insomma, il nostro sogno sarebbe vedere una via ben fatta, con alberature, lampioni in stile e parcheggi ben progettati.
Ed ecco i gioielli architettonici che non sempre appartengono alla stessa epoca. Anzitutto va menzionato l’edificio neoclassico dal scintillante bianco e dalle deliziose finestre verdi. Si tratta della più vecchia stazione ferroviaria di Milano (1840) e all’epoca la seconda linea ferroviaria realizzata in Italia (la prima è stata la Napoli-Portici, realizzata nel 1839).
Con la previsione del successo che avrebbero avuto le strade ferrate, venne deciso di costruire a Milano una strada ferrata che unisse da subito la città con Monza.
In quest’ottica sorse così la prima stazione, la cui costruzione suscitò non poche polemiche e contrasti, soprattutto per la sua collocazione, che alcuni avrebbero voluto più centrale. Ma in quegli anni il Comune di Milano era contenuto entro la Cerchia dei Bastioni e le porte della città, ben munite, e presidiate da efficienti guarnigioni militari, venivano ancora tassativamente chiuse all’imbrunire. Anche il “Tombone di San Marco“, attraverso il quale le acque del Naviglio, passando sotto i Bastioni, si riversavano nella Fossa Interna, veniva chiuso, impedendo il passaggio dei barconi che, prima dell’avvento della strada ferrata, costituivano uno dei principali mezzi di trasporto per le merci. Venne così deciso di costruire la stazione accanto alla Porta Nuova, vicino al Ponte delle Gabelle, fuori le mura. E quindi non nel comune di Milano, ma nel Comune dei Corpi Santi (i borghi sorti attorno al nucleo storico), nel settimo Mandamento, settimo Riparto. Non si trattava semplicemente di una costruzione provvisoria, ma di un solido edificio in muratura, che esiste ancora, dalla linea neoclassica, a due piani, sormontato da un timpano triangolare. Qualcosa che doveva durare, e già previsto per un futuro sviluppo, anche se in realtà rimase in funzione solo per pochi anni. Infatti già nel 1850 venne realizzata la nuova stazione di Porta Nuova, a solo pochi metri di distanza. Di fronte ad essa si attestavano i binari, completi di due piattaforme girevoli per le manovre, e coperti da più modeste tettoie come si vede da una stampa dell’epoca.
L’edificio è stato restaurato nel 2008-9 e trasformato in hotel. Purtroppo non comprendiamo perché sia stato mantenuto il mozzicone di edificio posto di fronte e a lato, dove oggi c’è un ristorante.
Sorto a ridosso di quella che era la stazione, quindi su terreni delle ferrovie, troviamo lo splendido edificio progettato dagli architetti Giuseppe Mentasti e Stefano Lissoni, che cominciarono, con il padiglione Alfredo De Bernardi all’Esposizione del 1906, una collaborazione che durò fino a metà degli anni Venti, che comprese la realizzazione, nel 1905-1910, di questo bell’edificio, sede della Società Cooperativa Ferroviaria Suburbana, sul viale di Porta Nuova (ora via Monte Grappa 14) comprendente locali di vendita, di produzione, mensa, lavatoi, laboratori artigianali, amministrazione, alloggio per i dipendenti. La particolarità, se si notano le decorazioni liberty, è che tra il secondo piano e il terzo, a segnare l’inizio delle lesene tra una finestra e l’altra ci sono delle ruote di treno.
Di fronte troviamo un altro bellissimo edificio liberty recentemente restaurato, Viale Monte Grappa 7, molto simile a Casa Bogani realizzata da Ernesto Pirovano in via Fabio Filzi, nel 1906, pertanto riteniamo della stessa mano. A fianco si trova invece un altro esempio, della stessa epoca ma in versione liberty-neo-gotica, molto bella e suggestiva. Poco oltre si vede il lato del palazzo che ospita l’ex-teatro Smeraldo, oggi Eataly, fu progettato tra il 1939 e il 1940 da Alessandro Rimini che, essendo di origini ebraiche, non poté firmare il progetto a causa delle leggi razziali fasciste all’epoca vigenti.
Altro simbolo di Viale Monte Grappa è la bellissima palazzina delle Cucine Economiche.
(da l’Ordine degli Architetti di Milano) Tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo la fabbrica diviene protagonista del paesaggio urbano di Milano, che in quel periodo si va definendo come capitale industriale e finanziaria della nuova Italia unita. E’ in questa fase che si assiste ad una vera e propria “questione operaia”, in virtù delle nuove esigenze sociali dettate dal massiccio inurbamento. Il dibattito culturale innescato dai diversi congressi svoltisi in concomitanza con l’esposizione universale del 1881 crea un fermento culturale che sfocia in una vera e propria questione sociale. In tale contesto, il concetto di assistenza passa da “pietà religiosa” a vero e proprio impegno civile assumendo un ruolo importante, concreto e insieme simbolico, nel definire il paesaggio urbano in formazione. Accanto agli edifici religiosi nascono strutture integrative: le scuole di avviamento professionale dei Salesiani e gli oratori. Sorgono inoltre i primi esempi di filantropia sociale: le cooperative sociali, le società di mutuo soccorso, le cooperative di consumo per la formazione di spacci alimentari. Da queste ultime prenderanno avvio le costruzioni edilizie destinate ai loro associati e nel 1908 nascerà anche l’Istituto Case Popolari.
In questo scenario l’edificio in mattoni a vista dell’ “Opera Pia Cucine Economiche” – presso il vecchio Ponte delle Gabelle sul Naviglio della Martesana, l’attuale viale Montegrappa – progettato dall’architetto Luigi Broggi nel 1883 per conto dell’Opera Pia omonima, assurge a monumento sociale oltre che architettonico. Inaugurate il 15 Dicembre 1883 dal “Comitato promotore per le Cucine Economiche e i Forni sociali”, le cucine economiche sono nate per fronteggiare un bisogno primario del sottoproletariato e della classe operaia. Ispirate alla prima cucina per gli ammalati poveri, aperta nel 1879 da Alessandra Massini, che distribuiva pasti caldi gratuitamente agli abitanti del quartiere, fin da subito le cucine economiche hanno goduto di vasta notorietà per l’efficacia sociale dell’iniziativa, in quanto in grado di offrire cibo ai lavoratori e ai poveri della zona. Il fabbricato, in stile neoromanico decorato in terracotta con facciata in mattoni a vista, su due piani (al piano terra la mensa e le cucine e al piano soprastante gli uffici dell’amministrazione) è un importante esempio di architettura assistenziale a Milano. Le cucine economiche non sono più in uso dagli anni Settanta; quando erano in attività vi era un refettorio con 160 posti. Durante i recenti lavori di restauro per l’adeguamento a centro polifunzionale, a cura dell’arch. Carlo Catacchio, sono emerse le decorazioni originali della facciata in stile eclettico ed i locali di servizio, un tempo al piano dell’alzaia sulla Martesana, ora interrati. L’edificio ospita oggi diverse attività culturali.
Come si vede dalle foto, anche la cura per questo storico edificio manca completamente. Marciapiede antistante inesistente, imbrattamuri che hanno lasciato le loro stupide firme e un vago sentore di sciatteria. In pochi avranno notato il muretto che si appoggia alla palazzina: è ciò che resta della balaustra che proteggeva i passanti dal cadere nel naviglio della Martesana, che qui scorreva sotto il ponte del viale e si infilava nel ponte delle Gabelle, poco oltre. Qui di fronte, come abbiamo già mostrato in un precedente articolo, le acque della Martesana si univano (e si uniscono ancora) al Seveso formando il Redefossi.
Altra testimonianza del fatto che qui, ad un livello inferiore, scorreva un canale è la discesa per raggiungere i magazzini posti dietro le Cucine Economiche.
Continua l’incredibile percorso architettonico della via e, voltandoci, non possiamo non notare lo splendido palazzo in restauro e rifacimento posto a cavallo del vecchio terrapieno dei bastioni (la strada è decisamente in salita). Questo è un rinnovo progettato da GBPA Architects per Monte Grappa 3. Nel rispetto dell’architettura del vecchio edificio progettato nel 1970 da Claudio Longo e Giulio Ricci, il gruppo di architetti sta rinnovando e alleggerendo il rivestimento di questo edificio.
Sempre altri edifici lungo il viale che ricordano come la via abbia assunto l’aspetto attuale intorno al primo decennio del 1900, con parecchie case realizzate in stile liberty. Dirigendoci verso piazzale Principessa Clotilde sulla destra troviamo un bell’edificio scolastico sempre del primo Novecento.
Per concludere il nostro viaggio non possiamo non rammentare che recentemente il Comune ha realizzato questa bella distesa di asfalto. Il nostro sogno è che simili cose il Comune non le realizzi più e che al loro posto vengano realizzate aiuole e piantate essenze vegetali; come abbiamo già mostrato tempo fa con dei semplici fotomontaggi. Così forse avrebbe senso chiamarlo Viale Monte Grappa.
Troppo cemento, troppo catrame,troppe auto, troppa strada.
Povera Milano che non ama le cose belle..
Con tutti i soldi che questa città ha macinato negli ultimi 70 anni veramente poco ha messo per umanità e bellezza.
Bisogna ridare indietro qualcosa, non prendere solamente, da questa città..
come sempre lodevole il puntare sempre al meglio, ma c’è anche da dire che un ipotetico viaggiatore del tempo che giungesse qui solo da 10 anni or sono rimarrebbe positivamente colpito dagli sviluppi che ci sono stati. A parte i restauri dei quali si parla nel post, per esempio, la “distesa di asfalto”, per quanto brutta, ha eliminato una zona di orrida sosta selvaggia che esisteva all’interno della svolta tranviaria fin da prima dei lavori del parcheggio di piazza XXV aprile. per non parlare del percorso ciclabile, prima inesistente con i ciclisti costretti a saltellare su uno dei pavè più ammalorati della città.
ripeto, benissimo la critica costruttiva che è la cifra di questo blog. cerchiamo però di ricordare anche l’indubbio progresso quando questo c’è stato.
Tutto giusto, ma come si dice in vecchio milanese, “già che sei a dietro” a fare una cosa, la fai bene… o no?
Visto che oltretutto è lungo poche decine di metri e non sarebbe costato miliardi, ci voleva tanto a fare i marciapiedi come in piazza XXV Aprile? O a mettere un’aiuola al posto di quell’ansa di catrame?
Non è che ci voleva Calatrava o Libeskind, perfino un tecnico comunale ci poteva arrivare a proporlo…
senza la “a”. “già che sei dietro”. comunque, dicevano anche “il meglio è nemico del bene” e “piutost che nagott, l’è mej piutost”. il che non vuol dire, si badi bene, di accontentarsi. ma significa darsi una mossa e fare qualcosa di dignitoso con quello che si ha anche se non si raggiunge la perfezione. per quanti anni, invece, interi pezzi di città sono stati paralizzati in attesa che si facesse qualcosa di “meglio”? io mi rallegro che questa mentalità sia venuta meno. intanto lo spazio è dignitoso. da qui si può partire per farlo bello. sempre tenendo presente che il comune non ha il deposito di paperon de paperoni…
Mi spiace doverti correggere, ma è proprio con la A, traduzione dal milanese “gemò che te see a dree”
Niente a. Non ci vuole nemmeno nel milanese. “Vess dree” e non “vess a dree” ls a va dopo e regge il verbo di cui “vess dree” è il servile.
Verissimo0,
Però se un favore si vuole fare a questa città è quello di cercare di cambiare la sensibilità generale verso il bello.
Assuefarsi al brutto, al fare marciapiedi larghi in asfalto, a trovare normale avere palazzi buttati li su marciapiedi stretti e brutti,crea assuefazione al brutto.
Dando a Cesare ciò che è di Cesare, non bisogna assuefarsi, perché l’obiettivo è di arrivare a una sensibilità cittadina che trovi intollerabili degli angoli del genere.
Questo non vuole togliere nulla agli sforzi fatti,ma anzi.
Se Milano è brutta laddove è effettivamente brutta è essenzialmente per una certa assuefazione dei cittadini, che trovano naturale e normale ciò che in Europa non sarebbe tollerato nemmeno in periferia.
Quindi sono lamenti e critiche pro.
Bellissimi i suggerimenti di urbanfile ad esempio.
Se viale Monte Grappa vi sembra tenuto male, provate a girare l’angolo e percorrere via Melchiorre Gioia. A eccezione dello spezzone in corrispondenza del Grand Hotel Verdi e della torre Solaria, e un brevissimo tratto accanto al palazzo della Regione, sembra di essere in una città mediorentale o nordafricana (con tutto il rispetto per il Medio Oriente e il Nordafrica).
Marciapiedi pieni di buche e avvallamenti, rattoppi casalinghi (della serie “il flessibile, questo sconosciuto”…) asfalto colato sui cordoli, archetti & paletti assortiti, per lo più storti e/o ammaccati, pali di tutti i tipi (innumerevoli) e cartelli stradali piegati e/o divelti (pare che sia l’ultima moda tra gli sfaccendati), naturalmente tag ovunque — molte delle quali d’annata… il tutto a poche centinaia di metri dagli scinitillanti grattacieli di Porta Nuova.
Questo è lo spettacolo indecoroso che vedono i turisti che per sbaglio decidessero di andare a piedi dall’hotel Crowne Plaza a piazza Gae Aulenti.
Voglio sperare che l’inerzia attuale dipenda dal fatto che una risistemazione complessiva è prevista quando sarà completata la famosa fase 3 del progetto Porta nuova, quella del parco e del palazzo ex INPS… voglio sperare.
Lo spero vivissimamente.
Uno dei migliori articoli di Urbanfile.
Bellissimo articolo, però è vero che in zona non è la strada tenuta peggio. Viale Pasubio è un orrore, con parcheggio selvaggio, binari abbandonati, pave sconnesso e uno dei due marciapiedi impraticabile per le buche. Melchiorre Gioia non parliamone, un’autostrada urbana con triste e grigio ricovero per auto (ah e ogni tanto un pezzo di ciclabile).
Abito al 2 della via Montegrappa dal ’99..vari i cambiamenti in nome della movida della milano da bere e da ribere, dallo smeraldo asfaltato in nome di un farinetti qualunque, all’ultimo vegano ugualmente movidoso, altro capo della stessa via con il piu recente Soulgreen posto all’angolo di vespucci, porta nuova/piazza clotilde/via montegrappa…siamo ormai lontani dalla libertà del liberty e , a proposito di movida pappatoria e bevitoria contemporanea, ben lontani dalle cucine economiche…e ci tocca leggere anche questi articoli (http://www.dagospia.com/rubrica-29/cronache/milano-ri-bere-boom-arrivi-investimenti-capoluogo-lombardo-140280.htm) …quindi onore e gloria a questo vostro di urban file milano, sito davvero serio, onesto intellettualmente, al di la dei gusti personali , della nostalgia verso altri tempi e storia di Milano o delle convinzioni su cosa sia civiltà e illusioni sulla stessa.
un caro saluto a tutti
rosanna
Splendido articolo, da condividere totalmente. Ma in Comune qualcuno li legge? Speremm de sì.
Grande articolo. Basta rassegnarsi al “è meglio di prima”, Milano ha bisogno di un cambio di marcia (ulteriore) a mio parere.