Storia ed evoluzione del quartiere simbolo della ‘nuova Milano’ da wasteland senza una forma e un’identità a luogo iconico frequentato da migliaia di persone al giorno.
La zona dove oggi sorge il quartiere di Porta Nuova, come molti milanesi sanno, è stata per molti decenni un grande spazio urbano irrisolto nel bel mezzo della città. Per capire il perché bisogna andare indietro nel tempo, alle origini dell’urbanizzazione di questo lembo di territorio.
Come spesso accade, la forma urbana è determinata dalle infrastrutture e, quando ancora l’abitato era quasi tutto contenuto all’interno delle mura spagnole, qui, cioè all’incrocio delle attuali vie Melchiorre Gioia e Monte Grappa, sorse la prima stazione ferroviaria della città di Milano: la stazione di Milano Porta Nuova, appunto, inaugurata nel 1840.
Era la stazione terminale della linea Milano-Monza, seconda ferrovia ad essere mai stata costruita in Italia (la prima è la Napoli-Portici, inaugurata l’anno prima) che tagliava l’area da Sud a Nord, inconsapevolmente condizionandone il destino futuro per molto tempo. Appena dieci anni dopo, nel1850, il successo della ferrovia impose di costruire una stazione più grande, poche decine di metri più a Nord della prima, lungo il naviglio Martesana che allora scorreva ancora a cielo aperto; la nuova stazione aveva anche la funzione di terminale della linea per Magenta, aperta nel 1858. Gli edifici di entrambe sono ancora esistenti, nonostante la ferrovia non ci sia più da parecchio tempo: il primo è diventato un hotel e il secondo è sede della Guardia di Finanza.
Nel 1861 la linea che proveniva da Magenta venne prolungata verso Piacenza, tagliando l’area in direzione Est-Ovest, e, qualche anno dopo, nel 1864, venne inaugurata la prima Stazione Centrale di Milano, una stazione con binari passanti situata in corrispondenza dell’attuale Piazza della Repubblica.
Le due linee ferroviarie che si incrociavano proprio al centro dell’attuale quartiere di Porta Nuova, i raccordi costruiti, più i binari di servizio e per l’instradamento in vista delle stazioni, fecero sì che un’area molto ampia di territorio fosse dedicata all’utilizzo ferroviario. La città crebbe attorno a queste infrastrutture, che ne condizionavano anche l’aspetto e la fruizione. Ad esempio il quartiere Isola, sorto a Nord-Ovest di questo intrico di binari, era raggiungibile soltanto dal ponte all’altezza di via Farini. Per cui era isolato dal resto della città. Tuttavia, anche se è diffusa la credenza che questa condizione abbia dato il nome alla zona, in realtà il toponimo deriva da uno molto più antico e precedente (Insola de Porta Comasina, originariamente) che diede il nome al borgo. Ciò non toglie il fatto che la ferrovia fosse una barriera fisica ingombrante che condizionò lo sviluppo urbano per oltre un secolo.
A partire dal primo decennio del ‘900 si vuole attuare una riforma ferroviaria a Milano che disegni un più ampio anello ferroviario e crei una grande Stazione Centrale circa 700 metri a Nord di quella vecchia. Per varie vicissitudini il piano venne attuato solo nel 1931, anno di inaugurazione della nuova stazione. Conseguentemente la storica Centrale venne demolita e la ferrovia arretrata di circa un centinaio di metri a Ovest della stessa, creando la stazione di testa delle Ferrovie Varesine, che sorgeva su un terrapieno all’altezza di via Galileo Galilei.
Nel secondo dopoguerra avviene una svolta per quest’area, che era stata legata per oltre un secolo alla ferrovia. Il Piano Regolatore Generale del 1953 individua due assi principali (poi solo molto parzialmente realizzati) che devono diventare l’ossatura portante dello sviluppo urbano e che chiama assi attrezzati.
L’incrocio dei due assi deve essere l’area principale di sviluppo e viene prevista, in quell’area, la realizzazione di un moderno centro direzionale. L’area all’incrocio dei due assi destinata a questo incredibile sviluppo è proprio quella di Porta Nuova.
Si decide quindi di arretrare ulteriormente la ferrovia all’attuale stazione di Porta Garibaldi, inaugurata nel 1963. La stazione delle Varesine viene dismessa, così come tutte le aree ferroviarie attigue, compresa la bretella che connetteva alla direttrice per Monza, mentre il raccordo proveniente dalla nuova stazione viene interrato così come la stessa direttrice per Monza fino all’altezza di piazza Carbonari; configurazione che rimane così tutt’oggi.
In questo modo si libera un’area enorme da destinare alla costruzione del nuovo centro direzionale, che prevedeva alte torri ad uffici e ampi viali di scorrimento per agevolare, così si pensava allora, lo spostamento rapido in automobile, dato che la motorizzazione di massa in quegli anni stava divenendo una realtà ed era vista come traguardo di progresso. Anche il naviglio Martesana venne tombinato, per fare di via Melchiorre Gioia un’arteria stradale ad alta capacità.
Nonostante questa visione grandiosa, il progetto venne realizzato molto parzialmente, colpa anche di un frazionamento della proprietà delle aree liberate dalla ferrovia. L’area delle ex-Varesine venne, con gli anni, occupata da un Luna Park che prese posto sul terrapieno abbandonato, mentre una enorme area tra la stazione Garibaldi e le ex-Varesine stesse rimaneva ‘terra di nessuno’, wasteland come si diceva all’inizio, con solo stradoni di scorrimento che la tagliavano al suo interno. E rimase così per decenni.
Non mancarono comunque i tentativi di dare seguito alle intenzioni originarie del piano e, a partire dagli anni ’80, si cerca di riprogettare l’area, che viene denominata Garibaldi Repubblica ed inserita in uno specifico ambito di intervento. Infatti, viene bandito nel 1991 un concorso di progettazione vinto dall’architetto Pierluigi Nicolin che prevede, tra le altre cose, anche la costruzione della nuova sede della Regione Lombardia in una torre ad uffici di nuova costruzione.
Qui la situazione inizia, però, ad ingarbugliarsi. Come accennato sopra, le aree su cui insisteva il piano erano in mano a molteplici proprietà. In particolare l’area delle ex-Varesine era di proprietà dell’arch. De Mico che si oppose al piano così come presentato e ricorse al TAR (Tribunale Amministrativo Regionale) prima e infine al Consiglio di Stato. Quest’ultimo gli diede ragione, perché, spiegava la sentenza, il proprietario dell’area aveva diritto a sviluppare la volumetria originaria prevista dal piano del 1953, che, invece, nel nuovo piano, era notevolmente ridotta. A seguito di questa sentenza De Mico presentò per l’area delle ex-Varesine un progetto che prevedeva due alte torri, una dedicata ad uffici e l’altra ad albergo.
La questione legale già bloccò per anni l’attuazione del piano, ma la sentenza lo affossò, poiché la volumetria che avrebbe consentito di costruire sull’area ex-Varesine sarebbe stata praticamente tutta quella disponibile del piano Garibaldi-Repubblica. Per cui, di fatto, non si sarebbe potuto costruire niente al di fuori dell’area delle ex-Varesine che ‘consumava’ tutta la volumetria prevista.
Qualche anno dopo, però, la Regione Lombardia cambia radicalmente le normative in materia di urbanistica, consentendo indici di edificabilità superiori all’indice massimo consentito a livello nazionale. Anche in questo caso partono i ricorsi al TAR e si arriva di nuovo al Consiglio di Stato che ritiene le norme valide. La normativa ha ovviamente valenza generale su tutto il territorio regionale, ma l’effetto più evidente è quello di avere ‘salvato’ il piano Garibaldi-Repubblica consentendo di costruire volumetria in aggiunta al di fuori dell’ambito delle ex-Varesine.
Nel frattempo, nel 2001, Luigi Nicolin aveva aggiornato la versione di quello che era intanto divenuto il Programma Integrato di Intervento (PII) Garibaldi-Repubblica, ridisegnandone soprattutto la disposizione dell’edificato. Un passaggio che viene spesso trascurato, ma che a nostro parere è fondamentale, perché ha l’intuizione di creare una grande area centrale libera, da destinare a verde pubblico, relegando le volumetrie previste ai margini e ridefinendo quelli che fino ad allora erano stati gli schemi proposti tra costruito e spazio pubblico. E impostando l’ossatura di quello che sarà il piano effettivamente attuato.
A nuovo millennio da poco avviato entra in gioco quello che sarà l’attore principale che darà la spinta decisiva per trasformare l’area, il fondo immobiliare americano Hines, allora guidato nella sua branca italiana da Manfredi Catella. Questi compra tutte le aree che insistono sulla zona, escluse le ex-Varesine e due piccoli lotti appartenenti a Sai Fondiaria, e fa sviluppare un masterplan unitario all’architetto argentino di fama internazionale César Pelli, che ricalca l’ultima versione di Nicolin e la sviluppa creando una enorme piastra pedonale sopraelevata incentrata su una piazza circolare circondata da tre alte torri digradanti progettate dallo stesso Pelli, piazza Gae Aulenti. L’area che insiste sul quartiere Isola, che formalmente era organizzata in un piano specifico denominato Isola-Lunetta, dalla forma dell’area stessa, viene invece disegnata dall’architetto Stefano Boeri, che poi progetterà qui le due torri del Bosco Verticale. Poco più avanti Hines acquisterà anche il lotto delle ex-Varesine e ne armonizzerà il progetto con il resto del masterplan.
L’area di trasformazione prende ufficialmente il nome di Porta Nuova, termine con cui è ancora identificata. Per ogni edificio e per alcuni spazi pubblici viene bandito un concorso di progettazione con l’intento di dare qualità architettonica e urbana a ogni singolo componente.
I lavori, iniziati a partire dalla seconda metà del primo decennio degli anni 2000, trasformano rapidamente la zona e restituiscono alla città uno spazio che era da sempre stato infrequentabile, prima perché dedicato alle infrastrutture ferroviarie, successivamente perché rimasto un non luogo senza una destinazione d’uso. Quale che sia il giudizio su questo quartiere sorto (o ri-sorto) in pochi anni, non si può negare che ha il merito di avere ricongiunto zone della città una volta divise e di avere portato i cittadini a viverlo, dato che è stato sin da subito molto popolare presso i milanesi.
La storia di Porta Nuova potrebbe finire qua, ma la verità è che i progetti di sviluppo dentro e attorno al quartiere non si sono esauriti e nei prossimi anni ci sarà ancora molto da raccontare. E noi siamo qui proprio per fare questo.
Fonti: http://www.metroricerche.it – http://www.storiadimilano.it
Come sempre, bel post! ? Grazie
UF, se non ci fosse, bisognerebbe inventarlo!
Molto interessante; complimenti e grazie.
Interessante ricostruzione
In continuo miglioramento ….. speriamo!